Paolo Rovera - Psicologo

Paolo Rovera - Psicologo Psicologo a Cuneo

Il cuore della Psicologia: ciò che l’intelligenza artificiale non può toccareL’intelligenza artificiale sta entrando in ...
21/11/2025

Il cuore della Psicologia: ciò che l’intelligenza artificiale non può toccare

L’intelligenza artificiale sta entrando in ogni ambito della vita umana, e la Psicologia non fa eccezione.
Sempre più professionisti si confrontano con strumenti digitali capaci di conversare, generare testi, analizzare dati e, apparentemente, “capire” le persone.

Questa impressione di comprensione è ingannevole.
L’AI è un supporto utile, ma non può essere un soggetto della relazione psicologica.
Non può entrare nell’esperienza viva che definisce il lavoro clinico e la crescita umana.

La Psicologia nasce dall’incontro tra due esseri viventi: due corpi, due storie, due temporalità emotive.
L’AI, per quanto sofisticata, ne è radicalmente esclusa.

1. Il limite del corpo: la Psicologia si radica nell’incarnazione

Per la Psicologia — dalla psicoanalisi alla psicoterapia corporea, dalla fenomenologia alle neuroscienze — il corpo non è un dettaglio:
è il luogo dove la psiche accade.

Il respiro, la postura, il tremore, il ritmo del cuore, la tensione muscolare, lo sguardo, persino il silenzio:
tutto questo è contenuto psicologico.

L’AI può elaborare parole, ma non possiede:

organi sensoriali,

un metabolismo,

un sistema nervoso,

un corpo in risonanza.

Non percepisce né ciò che accade nell’altro, né ciò che accadrebbe in se stessa.
E senza corpo non esiste vissuto.

📌 La Psicologia lavora sull’umano incarnato.
L’AI è un’intelligenza disincarnata.

2. Il limite dell’emozione: l’AI simula, ma non sente

Le emozioni non sono idee: sono processi neurofisiologici.
Si esprimono in movimenti, modificazioni interne, posture, cambiamenti di ritmo.

L’AI può descrivere un’emozione.
Può classificarla.
Può generare un testo su di essa.

Ma non può provare un’emozione.

Non ha:

sistema limbico,

amigdala,

cortisolo,

dopamina,

memoria emozionale,

vissuti affettivi connessi al tempo.

Per questo non può comprendere — nel senso psicologico del termine — ciò che accade dentro una persona.
In psicoterapia non ci si limita alle parole: si lavora sulla qualità emotiva del momento, sul clima relazionale, sulle sfumature non verbali.

📌 L’AI elabora, ma non sente.
E ciò che non sente non può trasformarlo né trasformare.

3. Il limite del tempo: la Psicologia vive nel “qui-e-ora”

Il tempo psicologico non è una sequenza lineare di secondi:
è ritmo interno, durata, attesa, lentezza, accelerazione, memoria viva.

Il paziente porta in seduta:

tempi di elaborazione,

tempi di difesa,

tempi di apertura,

tempi di regressione,

tempi di incontro.

L’AI non vive il tempo.
Risponde in tempo zero.
Non ha passato né futuro: solo un algoritmo che calcola la probabilità della prossima parola.

Eppure la Psicologia lavora proprio nello spazio tra una parola e l’altra, nel modo in cui una frase emerge, nelle esitazioni, nelle ricorrenze, nei ritmi.

📌 L’AI non abita il tempo della vita interiore.
E la Psicologia nasce nel tempo della relazione.

4. Il limite della relazione: l’AI non entra nel campo umano

La relazione terapeutica è più di un dialogo: è un incontro.
È fatta di:

sguardi,

sensazioni reciproche,

micro-espressioni,

sintonizzazione affettiva,

dissonanze,

riparazioni,

transfert e controtransfert.

L’AI non partecipa a nessuno di questi processi.

Non entra nel campo relazionale perché:

non ha un sé,

non ha bisogni,

non ha vulnerabilità,

non ha storia affettiva,

non ha rischi da correre,

non ha un corpo che risponde all’altro.

Simula il linguaggio della relazione, ma non la relazione.

📌 La Psicologia lavora con la reciprocità.
L’AI può solo imitare la forma, mai la sostanza.

Conclusione: l’AI come strumento, non come soggetto psicologico

L’intelligenza artificiale è utilissima:
può aiutare a organizzare dati, creare materiali, suggerire idee, stimolare riflessioni.
Ma non può sostituire il cuore della Psicologia.

Perché la Psicologia non è un sistema di informazioni:
è un incontro tra due vite.

La Psicologia lavora dove l’AI non può entrare:
nella carne, nella storia emozionale, nella complessità del tempo vissuto, nella relazione umana.

Ed è proprio questa differenza a salvaguardare la nostra umanità in un mondo sempre più digitale.

11/11/2025

L’importanza del dubbio in Psicologia

Il dubbio è spesso percepito come una condizione scomoda, un segnale di incertezza o di fragilità. Eppure, in psicologia, rappresenta una risorsa preziosa, un motore che alimenta la conoscenza di sé, la crescita personale e la capacità critica. Lungi dall’essere un ostacolo, il dubbio è un elemento essenziale nella costruzione di un pensiero consapevole e nella comprensione del comportamento umano.

Innanzitutto, il dubbio permette di mettere in discussione le proprie convinzioni. Ogni individuo cresce all’interno di sistemi culturali e familiari che plasmano idee, valori e schemi mentali. Dare spazio al dubbio significa sospendere temporaneamente queste certezze e analizzarle con occhio critico. Questo processo non porta alla distruzione dell’identità, ma al contrario ne favorisce il consolidamento: ciò che sopravvive al dubbio diventa più autentico e personale.

Il dubbio è inoltre fondamentale nei processi di consapevolezza psicologica. Quando una persona inizia a interrogarsi sui propri automatismi mentali — su reazioni impulsive, su interpretazioni abituali o su valutazioni rigide — apre la possibilità di osservare sé stessa da una prospettiva nuova. È proprio il dubbio che crea quello spazio interiore in cui può emergere un pensiero più flessibile, più maturo e meno condizionato da schemi inconsci.

Anche nella vita quotidiana, il dubbio svolge un ruolo centrale nello sviluppo del pensiero critico. In un mondo in cui circolano informazioni innumerevoli e spesso contraddittorie, la capacità di dubitare, valutare e discriminare diventa un’abilità indispensabile. Il dubbio non congela, ma orienta: permette di valutare la solidità delle proprie idee e di confrontarsi con punti di vista diversi, evitando la rigidità e l’autoinganno.

Sul piano esistenziale, infine, il dubbio è una dimensione naturale della vita umana. Ogni scelta significativa comporta incertezza: cambiare percorso, prendere decisioni importanti, affrontare relazioni o cambiamenti profondi. Accettare il dubbio significa riconoscere che non esistono strade completamente sicure e che la crescita richiede coraggio. Il dubbio diventa così un alleato prezioso, che stimola riflessione, prudenza e apertura mentale.

In conclusione, il dubbio non è un segno di debolezza psicologica, ma un atto di forza interiore. È la porta attraverso cui passa la consapevolezza, la capacità di cambiamento e la maturità emotiva. Imparare a conviverci, ad ascoltarlo e a integrarlo nel proprio modo di pensare significa sviluppare una mente più flessibile, aperta e autentica. La psicologia, in fondo, ci ricorda che non è la certezza a renderci più umani, ma la capacità di restare lucidi e curiosi proprio mentre attraversiamo l’incertezza.

11/11/2025
📰 L’importanza di ridere nel processo terapeutico*Introduzione*Ridere è un gesto umano universale, spesso percepito come...
26/10/2025

📰 L’importanza di ridere nel processo terapeutico

*Introduzione*

Ridere è un gesto umano universale, spesso percepito come semplice manifestazione di gioia. Tuttavia, la risata racchiude un potere terapeutico profondo, capace di incidere positivamente sul corpo e sulla mente.
Nel contesto psicologico, ridere non è solo espressione di benessere, ma un mezzo di guarigione: permette di alleggerire la sofferenza, di creare connessione e di favorire una nuova visione di sé. Da Freud a Frankl, fino alle moderne teorie sulla gelotologia, molti autori hanno sottolineato il ruolo dell’umorismo come risorsa psichica e relazionale.

*Freud e il valore dell’umorismo*

Sigmund Freud, nel saggio Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905), esplora la risata come via di accesso all’inconscio. Secondo Freud, l’umorismo consente all’individuo di esprimere pensieri o emozioni repressi in modo socialmente accettabile, liberando tensioni psichiche.
In un altro scritto, Freud afferma che l’umorismo rappresenta “la più elevata funzione difensiva dell’Io”: ridere del proprio dolore significa non esserne più completamente schiavi. L’umorismo, quindi, non nega la sofferenza, ma la trasforma in libertà interiore.
In ambito terapeutico, questa prospettiva freudiana offre uno spunto prezioso: la risata può diventare un segnale di integrazione e di maturità psichica, in cui il soggetto riesce a guardare con distacco ciò che prima lo opprimeva.

*Ridere come esperienza psicologica e fisiologica*

Sul piano psicologico, ridere agisce come valvola di decompressione emotiva. Stimola la produzione di endorfine e serotonina, riduce il cortisolo e favorisce la sensazione di leggerezza mentale.
Sul piano fisiologico, i benefici sono altrettanto evidenti: la risata migliora la respirazione, la circolazione sanguigna e rafforza il sistema immunitario.
Da qui nasce l’interesse crescente per pratiche come lo yoga della risata e la clown therapy, che uniscono corpo e psiche in un’unica esperienza di rilascio e vitalità.

*La risata nella relazione terapeutica*

Nel contesto clinico, la risata può diventare un linguaggio terapeutico potente. Quando terapeuta e paziente condividono un momento di umorismo, si rompe la rigidità, si riducono le difese e si crea un clima di fiducia.
L’umorismo, tuttavia, deve essere dosato con sensibilità: il terapeuta non ride “del” paziente, ma “con” il paziente. È un modo per riconoscere la comune umanità, per alleggerire senza banalizzare.
Freud stesso sosteneva che l’umorismo consente di “trovare piacere là dove sembrerebbe impossibile trovarlo”, e questa intuizione trova oggi riscontro nelle terapie orientate alla resilienza e alla crescita personale.

*Ridere come atto di resilienza*

Altri grandi autori, come Viktor Frankl, hanno ripreso il pensiero freudiano, ampliandolo in chiave esistenziale. Frankl scriveva:

“L’umorismo è un’arma dell’anima nella lotta per la sopravvivenza.”
Nel dolore e nell’incertezza, ridere non è negazione, ma affermazione della vita. È un atto di resistenza psicologica che riporta l’individuo al presente e gli restituisce potere sulla propria esperienza.

Conclusione

L’umorismo, nella prospettiva terapeutica, non è una distrazione, ma un segno di salute mentale. Permette di affrontare il dolore con coraggio e di riconquistare una prospettiva di libertà.
Da Freud a oggi, ridere resta una delle manifestazioni più alte della psiche: un atto creativo che trasforma la sofferenza in consapevolezza.
Ridere, in fondo, è ricordare che la guarigione non avviene solo nel silenzio del dolore, ma anche nella gioia condivisa di essere umani.

11/10/2025

🎯 La Partita della Vita: Scoprire e Seguire il Proprio Scopo Primario

Il campo è aperto.
Da una parte, ci sono i giocatori che sanno perché stanno giocando — conoscono la loro direzione, il loro scopo primario.
Dall’altra, ci sono quelli che si trovano in campo per abitudine, che corrono dietro alla palla perché “così fanno tutti”, ma non sanno davvero perché stanno giocando.

🏁 Il Fischio d’Inizio: Capire lo Scopo Primario

Lo scopo primario non è il ruolo che ricopri — non è l’attaccante, il portiere o il centrocampista.
È l’energia che ti muove, quella che senti quando tutto scorre, quando ogni passaggio ti riesce, quando sei completamente immerso nel gioco.
Non è “che cosa fai”, ma come vivi.
È la tua missione nel mondo, la direzione che dà senso a ogni azione.

⚽ Quando giochi senza scopo

Succede a molti: si entra in campo senza sapere quale sia la porta da attaccare.
Si corre, si fatica, si ascoltano gli ordini dagli spalti, ma non si sente più il gusto del gioco.
È come vivere seguendo schemi altrui, aspettando un fischio che non arriva mai.
Ti ritrovi a metà partita, stanco, a chiederti: “Ma che cosa sto facendo qui?”.

🔥 L’Allenamento Interiore

In terapia — o semplicemente nella consapevolezza quotidiana — si fa proprio questo: si scopre perché giochi davvero.
Si allena l’entusiasmo come un muscolo:
si riscopre cosa ti ispirava da ragazzo,
si impara a riaccendere quella scintilla,

si medita come se fossi ancora e sempre pieno di entusiasmo.

E piano piano, le azioni tornano ad avere senso.
Le partite non sono più solo “da giocare”, ma da vivere.

🧭 Il Tuo Ruolo in Campo

Tutti abbiamo uno scopo primario.
Solo che a volte giochiamo in difesa della sopravvivenza, e altre volte in attacco della realizzazione.
Sta a noi scegliere in che divisione giocare:
quella della paura,
o quella del coinvolgimento pieno.

Lo scopo primario non è un titolo in bacheca: è il livello di presenza e intensità con cui vivi ogni azione.

🧱 Gli Ostacoli: Il Karma del Giocatore

Nelle filosofie orientali lo chiamano Karma: ciò che devi superare per arrivare al tuo Dharma, la tua vera funzione nel mondo.
In Occidente lo chiamano vocazione, talento, ispirazione.
Ma, in fondo, è sempre lo stesso campo:
ciò che ti blocca — paure, sensi di colpa, limiti — è solo il riscaldamento prima della grande partita.
Ogni blocco è un difensore da superare.
Ogni scoperta è un gol nel tuo destino.

🕰️ Il Momento della Scelta

C’è un momento, in ogni vita, in cui senti che la partita è ferma.
Che giochi senza entusiasmo, come se qualcuno avesse tolto la luce dal campo.
È lì che si gioca il vero match:
ti fermi o riprendi in mano il pallone della tua vita?

Chi conosce il proprio scopo primario lo cerca, lo segue, lo onora.
Chi non sa che esiste, continua a giocare in una partita che non ha senso.

🏆 La Vittoria Vera

La vittoria non è segnare più gol.
È sapere perché stai giocando.
È sentire che, ovunque ti trovi — in attacco o in panchina — stai servendo il tuo scopo.
E quando lo fai, ogni azione diventa arte, ogni momento diventa presenza.
Quella è la partita della vita.
E il premio non è una coppa, ma una sensazione: “Sì, sto giocando la mia partita.”

Mentre i miei colleghi si chiudevano nei loro studi ad analizzare le persone, io per 10 anni andai tra la gente per cono...
04/04/2025

Mentre i miei colleghi si chiudevano nei loro studi ad analizzare le persone, io per 10 anni andai tra la gente per conoscere direttamente le persone.
Questo fu il mio tirocinio.

Ciò che fuggo m’insegue Ciò che affronto si scioglieCiò che alimento cresceCiò che mi aspetto accade
11/01/2025

Ciò che fuggo m’insegue
Ciò che affronto si scioglie
Ciò che alimento cresce
Ciò che mi aspetto accade

L'importanza del corpo.
28/07/2024

L'importanza del corpo.

Mi è venuta l'idea di interpellare l' Intelligenza Artificiale e ho chiesto al chatbot chatgbt di scrivere un breve arti...
26/06/2024

Mi è venuta l'idea di interpellare l' Intelligenza Artificiale e ho chiesto al chatbot chatgbt di scrivere un breve articolo sull'importanza della psicoterapia individuale per lo psicologo avendone fatta esperienza.

Ne ho tratto questa confortante conferma.

Per un psicologo, la psicoterapia individuale può essere estremamente importante per diversi motivi:

1. **Crescita personale e professionale:** La psicoterapia personale aiuta gli psicologi a comprendere meglio se stessi, le proprie emozioni, e le proprie reazioni. Questa auto-consapevolezza è fondamentale per evitare che le proprie questioni personali influenzino negativamente il lavoro con i pazienti.

2. **Empatia e comprensione:** Sperimentando personalmente la psicoterapia, gli psicologi possono sviluppare una maggiore empatia e comprensione per ciò che i loro pazienti attraversano. Questo può migliorare la qualità della cura che offrono.

3. **Gestione dello stress e del burnout:** La professione di psicologo può essere emotivamente impegnativa e la psicoterapia personale può essere un modo efficace per gestire lo stress e prevenire il burnout.

4. **Supervisione e miglioramento delle competenze:** Molti programmi di formazione per psicologi richiedono una componente di psicoterapia personale come parte del processo di supervisione. Questo permette ai futuri psicologi di migliorare le proprie competenze terapeutiche attraverso l'esperienza diretta.

5. **Modello di ruolo:** Essere in psicoterapia dimostra ai pazienti l'importanza del prendersi cura della propria salute mentale, incoraggiandoli a fare altrettanto.

In sintesi, la psicoterapia individuale non è solo utile, ma spesso fondamentale per la crescita e l'efficacia di uno psicologo professionista.

"C’è un unico fondamentale requisito perché una relazione sentimentale possa sopravvivere a sé stessa: “la presenza di u...
11/06/2024

"C’è un unico fondamentale requisito perché una relazione sentimentale possa sopravvivere a sé stessa: “la presenza di un contenitore più grande, comune ad entrambi”.

L’idea romantica della relazione, in cui i due amanti bastano a sé stessi, nutrendosi l’uno dell’altro, è una psicopatia.
Non siamo così interessanti da essere una ragione di vita per l’altro per il solo fatto di esistere.Eppure la maggior parte delle relazioni si basano su questo assunto.
Si sopravvive nutrendosi dell’altro, ma non è relazione "vera", è solo una pantomima.
Due amanti che si nutrono l’uno dell'altro senza la presenza di un contenitore più grande non sono “in simbiosi”, come ci piacerebbe credere, ma stanno praticando cannibalismo.
Il “contenitore più grande” è necessario sempre.E’ un interesse superiore, comune ad entrambi, più ampio di un patologico bisogno reciproco.
Nella vita di mantenimento il contenitore più grande è “farsi una famiglia”.Non è un caso se molte relazioni si sfasciano quando i figli si allontanano. E’ venuto a mancare il contenitore.
Anche avere una grande passione comune è un “contenitore più grande”.Sportivi che si sposano con sportivi.Professionisti sposati ad altri professionisti.Abbiamo un territorio più ampio, in cui sperimentarsi.Non c’è solo la gratificazione, ma un’esperienza comune.
"Farsi una famiglia" o "avere una passione in comune" sono i requisiti di una sana relazione "ordinaria".
C'è poi un tipo di relazione "superiore".
In questo tipo di relazione il "contenitore più grande" è quello della “ricerca interiore”.
E’ un territorio che non si esaurisce mai, al contrario di altre passioni che appartengono solo a fasi della vita.Due “iniziati” che vivono ogni giornata con la gioia di una nuova scoperta, una piccola consapevolezza in più, hanno un territorio comune di qualità elevatissima.
Non c’è più cannibalismo. Ci sono, invece, momenti di profonda “comunione”, la gioia di una visione comune, di una nuova comprensione.
Sentire che il nostro compagno o la nostra compagna “ci capisce”, perché abbiamo lo stesso livello di consapevolezza è qualcosa di molto vicino al "vero amore".
La regola vale per tutti i tipi di relazione, anche occasionali o amicali, ma la relazione con il nostro compagno è una relazione speciale. Il compagno/a di questa vita è la nostra possibilità di “salire al piano superiore”.
Una relazione può essere l’incontro tra due povertà o l’incontro di due “aspiranti” Divinità."

- Antonio Esposito

Forse è il caso di dirlo.LA TERAPIA ON LINE NON STA IN PIEDI. In base alla mia esperienza sostengo questi pensieri in me...
26/05/2024

Forse è il caso di dirlo.
LA TERAPIA ON LINE NON STA IN PIEDI.

In base alla mia esperienza sostengo questi pensieri in merito alla terapia on line.

IL SETTING ON LINE
-Quello del setting, cioè della postazione è stato un problema rilevante, fondamentalmente un problema di privacy rispetto ai conviventi e ai vicini: le percezioni passano in effetti attraverso questo filtro emozionale.
Si tratta di un filtro attraverso il quale è costretto il colloquio, che può indurre stati d’animo congiunturali e atteggiamenti che possono deviare il lavoro.
Ad esempio la presenza in una stanza adiacente di un consorte con cui si è avuta una discussione aggressiva può indurre comportamenti di compensazione in direzioni diverse, a seconda del ruolo avuto nello scontro precedente e del carattere personale, e ciò non solo per dimostrare qualcosa all’altro che potrebbe sentire, ma in primo luogo a se stessi.
Insomma quello spazio protetto che è il setting dello studio è perduto.
Quindi a mio parere è fondamentale che siano sempre esplicitate ed eventualmente “discusse” le condizioni del setting.
Una soluzione alternativa che ho proposto, quando necessaria, e da alcuni accettata, è stata quella di usare l’auto come spazio più protetto: essendo le città in quel momento abbastanza deserte, l’esposizione alla vista altrui non è stata sentita come un problema.
-Dal punto di vista della “liceità” ho sempre fornito un attestato di appuntamento, non strettamente necessario, ma comunque tranquillizzante.

IL CORPO NEL COLLOQUIO ON LINE
Durante i colloqui on line, nei casi in cui era attiva la funzione video, ho potuto notare che si riscontrano alcune evidenze.
Per quanto riguarda gli occhi s’incontrano alcune peculiarità.
Sul piano della relazione va evidenziato che non ci si può guardare negli occhi: vediamo l’altro che guarda il suo monitor con gli occhi che non guardano direttamente verso i nostri occhi.
L’unico modo per ottenere di potere vedere direttamente il suo sguardo è invitarlo a guardare la sua telecamera, ottenendo tuttavia di poter cogliere uno “sguardo perduto nel nulla” in quanto non starà vedendo noi ma solo un pallino verde.
Questa dissonanza risulta più forte quanto più è ampio il monitor, quindi è meno disturbante se si usa uno smartphone.
Credo che bisogna esplicitarla e tenerne conto perché può rifrangere un’impressione, anche inconscia, di scarso contatto, con tutte le possibili implicazioni proiettivo-emozionali: ho rilevato spesso un’inclinazione a un particolare “peregrinare” degli occhi, come se andassero in giro da soli a cercar qualcosa, non avendo il contatto diretto con gli occhi del terapeuta.
Sul piano energetico gli occhi sono impegnati in un costante lavoro di convergenza, tanto più severo quanto più piccolo è il monitor, che non va sottovalutato dal punto di vista dell’impegno psicofisico, anche se certamente è una situazione consueta per molti che lavorano quotidianamente col pc.
In questo caso però si ha l’aggravante di doverla sostenere continuativamente per circa un’ora in una situazione d’intensa comunicazione col terapeuta, che solitamente non richiede un impegno del genere, oltretutto dopo aver magari sostenuto varie ore di smartworking al computer.
Il monitor può offrirne solo una parte attraverso l’immagine, ma non riesce nemmeno a restituire un’immagine reale del corpo.
Ci fosse uno schermo “altezza uomo”, le cose andrebbero forse meglio: il piccolo schermo, anche se si tratta di un monitor di una grandezza importante, produce un effetto tele-visione che sottolinea la distanza realmente esistente e induce “un senso di parziale lontananza”, l’opposto della presenza e del ”contatto” che si stabilisce nel lavoro in presenza.
Questa sensazione da tele-visione si produce in ogni caso nel colloquio on line e introduce una specie di filtro da immagine video, che siamo soliti incontrare quando guardiamo la televisione o il computer in streaming.
Sono rimasto colpito da quanto “l’immagine video” dei miei clienti si discosti dalla loro realtà fisica.
L’effetto tele-visione con il suo appiattimento “bidimensionale” può produrre anche un effetto “star”, frutto dell’interazione di movenze narcisistiche inconsapevoli e dell’eventuale proiezione dell’osservatore, con venature estetizzanti che possono inquinare le rilevanze espressive.

Equivoci comunicativi si possono creare anche a causa della limitatezza del campo visivo condizionato dall’inquadratura: ad esempio può passare il mio gatto di fianco a me senza essere inquadrato ed io assumo un atteggiamento tenero e distratto, che può essere inconsapevolmente percepito ed equivocato.

L’IMPEGNO ENERGETICO DA REMOTO

Dal punto di vista energetico il colloquio on line risulta a mio parere particolarmente impegnativo per entrambi gli interlocutori a causa di diversi fattori:
-l’impegno degli occhi, fissati sul campo ristretto del monitor,
-la mancanza del nutrimento empatico del “contatto” in presenza, che ha un potere vivificante anche quando non c’è il contatto fisico in senso stretto,
-la limitazione del movimento dovuta alla limitatezza dello spazio agibile per restare inquadrati nel monitor, che penalizza le escursioni laterali e i cambi di posizione e di postura (nel colloquio in presenza la possibilità è molto più ampia perché più aperto è il campo visivo dell’interlocutore)
- la difficoltà inconsapevole di stare in contatto con l’altro facendo leva soltanto su due dei cinque sensi, mentre gli altri sono ingaggiati in uno spazio separato e quindi scissi.
La scissione avviene comunque anche per l’udito impegnato su due fronti e lo stesso vale anche in parte per la vista, in special modo per quanto riguarda la periferia del campo visivo.
-lo stress per la gestione emozionale per l’eventuale esposizione di ambiti personali e/o familiari più o meno rilevante a seconda dei casi.

Resto fortemente critico in merito all'uso di questa modalità per i motivi elencati

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Cuneo
12100

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+393291822841

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