21/09/2025
“Mio figlio era una preda”.
Le parole di Simonetta sono un pugno nello stomaco. Paolo non c’è più, stroncato dalla crudeltà dei compagni e dall’indifferenza di chi avrebbe dovuto proteggerlo.
Era un ragazzo gentile, educato, incapace di ferire con le parole. Proprio per questo è diventato il bersaglio ideale. Nano da giardino. Fe*******ia. Pugni sulle spalle. Risate di gruppo. Giorno dopo giorno, la sua diversità è stata trasformata in una condanna.
E dove erano gli adulti? I professori che, sulla base di quanto raccontano i genitori, lo accusavano invece di difenderlo.
I genitori degli altri ragazzi che hanno voltato lo sguardo dall’altra parte. Tutti pronti a commuoversi dopo, ma sempre assenti prima.
Il funerale è stato l’ennesimo schiaffo: pochi presenti, nessun compagno. L’isolamento di Paolo non è finito neanche davanti alla sua bara.
Non basta più dire “poverino”. Non basta piangere dopo.
Ogni volta che un bambino muore di bullismo, a morire è la responsabilità adulta.
La colpa non è solo di chi ha bullizzato, ma anche di chi ha permesso che accadesse.
Il silenzio degli adulti è il vero complice.
E continuerà a uccidere, finché non ci assumeremo la responsabilità di intervenire.