23/10/2025
Nel lavoro con i ragazzi emerge spesso una voce che non sempre si esprime con parole, ma che si manifesta nei vuoti, nelle inquietudini, nella violenza, negli sguardi spenti, nei corpi stanchi di chi non ha ancora iniziato a vivere davvero. Si parla di "disagio giovanile" come se fosse un fenomeno a sé stante, una categoria clinica, un problema da gestire, ma raramente ci fermiamo a chiederci: disagio rispetto a cosa, rispetto a chi?
I giovani non sono isole lontane dalla terra ferma, sono il prodotto, ma anche la risposta, di un contesto.
Crescono osservando, assorbendo, decodificando i messaggi espliciti e quelli impliciti che arrivano dal mondo adulto, e ciò che spesso vedono è un mondo incoerente: adulti che predicano l'autenticità, ma indossano maschere quotidiane, che chiedono impegno, ma mostrano disillusione, che parlano di futuro, ma agiscono come se il presente fosse l’unico orizzonte possibile. È spesso in questa dissonanza che si insinua il disagio.
Li accusiamo di apatia, ma la loro apatia è spesso un grido di aiuto, di rifiuto verso modelli che sentono vuoti, verso valori esibiti più che vissuti. Quando un adolescente smette di parlare, di partecipare, di credere, non è sempre per un criticità interna, può essere invece una forma di protesta silenziosa contro un mondo adulto che gli appare frammentato, cinico, troppo autoreferenziale.
A volte noi adulti, in buona fede, cerchiamo di "salvare" i giovani, di guidarli, di consigliarli, ma dimentichiamo che l’ascolto autentico quello che non corregge, non interpreta, non anticipa, è la forma più potente di accompagnamento. Perché il disagio non chiede sempre una soluzione immediata, spesso chiede solo uno spazio in cui poter esistere senza essere subito spiegato, contenuto, soprattutto etichettato.
Se poi, li osserviamo bene, da vicino, emerge come questi ragazzi siano profondi osservatori della realtà: hanno un’intelligenza emotiva cruda, ancora non anestetizzata dal compromesso. E quando si chiudono o si ribellano, non stanno solo "sbagliando": stanno restituendo, come uno specchio, le ambivalenze del mondo adulto. Le promesse non mantenute, le paure mascherate da controllo, il bisogno di senso continuamente rimandato.
Forse allora il primo passo non è tanto "curare il disagio dei giovani", ma interrogarsi sul nostro. Riconoscere le nostre incoerenze non per colpevolizzarci, ma per accorgerci del messaggio silenzioso che, spesso inconsapevolmente, trasmettiamo.
Solo così il dialogo tra generazioni può diventare fertile. Non più un tentativo di modellare l’altro, ma un incontro tra vulnerabilità che si riconoscono. Perché dietro ogni ragazzo che soffre, c’è spesso un adulto che ha smesso di credere e forse, insieme è possibile iniziare a ricostruire la fiducia, e riaccendere la speranza per dare nuova forma ai legami.
Buona giornata ⚘️
http://www.cristianafrattesi.it/2025/10/23/lo-specchio-dellincoerenza-adulta/