12/11/2025
Nella società contemporanea le immagini assumono un ruolo centrale nella costruzione e nella trasmissione dei significati (pensate ai social!).
Tutto questo comporta una “normalizzazione del linguaggio visivo”, che diventa non solo il principale veicolo comunicativo, ma anche una forma di alfabetizzazione culturale. Tuttavia, questa nuova centralità dell’immagine si intreccia con l’evoluzione tecnologica dell’IA, la quale ha reso possibile la generazione automatica e pressoché istantanea di quantità potenzialmente infinite di nuove immagini. Quello che fino a pochi anni fa sembrava inimmaginabile – creare da zero, in pochi secondi, volti, paesaggi o scene mai esistite – è oggi una pratica comune.
Le implicazioni di questo fenomeno sono ambivalenti. Da un lato, l’IA offre straordinarie opportunità creative e sperimentali ma dall’altro lato la stessa tecnologia alimenta fenomeni di “disinformazione e manipolazione”, come dimostra il caso delle deepfake, immagini e video falsificati con un realismo tale da rendere difficile distinguerli dalla realtà. L’estrema facilità di accesso ne amplifica la diffusione, trasformando il falso visivo in un elemento quotidiano e, di conseguenza, normalizzandolo.
Questa progressiva esposizione al falso visivo comporta un rischio: l’assuefazione. Se tutto può essere ricreato artificialmente, se ogni immagine può essere sospettata di non autenticità, allora si indebolisce la nostra stessa fiducia nella realtà visiva. In altre parole, “se tutto può essere deepfake, nulla appare più vero”. Si assiste così a una relativizzazione della percezione e del concetto di verità, che mette in crisi non solo il rapporto tra immagine e realtà, ma anche le basi epistemologiche della conoscenza contemporanea.
In conclusione, la società dell’immagine e dell’IA ci pone di fronte a una sfida decisiva: imparare a decodificare criticamente ciò che vediamo. Solo sviluppando una nuova forma di “alfabetizzazione visiva e digitale” potremmo distinguere tra rappresentazione, manipolazione e verità.