Dott. Riccardo Pianiri Psicologo

Dott. Riccardo Pianiri Psicologo Consulenza e colloquio psicologico:
Clinico CBT , Organizzativo, Aziendale

Mi piace profondamente Erik Erikson.Forse perché, in qualche modo, mi ci riconosco.Anche io credo che la vita non sia ma...
30/11/2025

Mi piace profondamente Erik Erikson.
Forse perché, in qualche modo, mi ci riconosco.
Anche io credo che la vita non sia mai “definitiva”.
E, ogni giorno, vedo nei miei pazienti esattamente ciò che lui ha saputo raccontare meglio di chiunque altro: le persone non soffrono solo per ciò che è accaduto, ma perché si trovano in un passaggio della loro vita che chiede loro un cambio di passo.

Tante persone arrivano in terapia convinte di essere “in ritardo”, “bloccate”, “sbagliate”.
In realtà stanno semplicemente vivendo una fase.
Una fase che ha senso, che ha una logica profonda, anche quando fa male.

Erikson questo lo sapeva benissimo.
Prima di diventare acclamato come uno dei più importanti psicologi del Novecento, veniva considerato un eccentrico.
Troppo curioso. Troppo poco accademico. Troppo… umano.

Non si accontentava di osservare la psiche da una scrivania.
Viaggiava. Studiava le comunità reali. Viveva con le persone.
Voleva capire come si costruisce un’identità nel mondo vero, tra errori, relazioni, crisi ed evoluzioni continue.

Da questi viaggi ha creato un’idea rivoluzionaria:
la vita è composta da tappe e ogni tappa porta con sé un compito psicologico da affrontare.

Fiducia contro sfiducia.
Autonomia contro vergogna.
Identità contro confusione.
Intimità contro isolamento.
Realizzazione contro stagnazione.

Se non superi quella sfida, non sei rotto.
Non sei inadeguato.
Sei semplicemente nel mezzo.

La cosa straordinaria?
Per Erikson, non smettiamo mai di crescere.
Nemmeno a 60 anni.
Nemmeno quando pensiamo che ormai sia troppo tardi.

Questa è una delle idee più terapeutiche mai scritte:

> La nostra identità non è una condanna.
È un processo che continua.

Quando un paziente mi chiede:
“Perché mi sento così?”
io spesso rispondo:
“Forse è la domanda sbagliata.
La vera domanda è: in quale fase della tua crescita ti trovi adesso?
Che sfida ti sta chiedendo la vita di affrontare?”
Perché non si tratta solo di capire da dove veniamo.
Si tratta di capire dove stiamo andando.
E che cosa possiamo fare per arrivarci.
È qui che la psicoterapia diventa attiva:
strumenti, strategie, nuove abitudini, scelte concrete.
Trasformare la transizione in evoluzione.

Ci sono momenti nella vita in cui ci sentiamo in trappola.Come se tutto fosse già scritto. Come se le “sbarre” fossero p...
29/11/2025

Ci sono momenti nella vita in cui ci sentiamo in trappola.
Come se tutto fosse già scritto. Come se le “sbarre” fossero più forti di noi.

E allora ci aggrappiamo a quello che abbiamo sempre fatto:
rincorriamo il “tozzo di pane”.
Un briciolo di sollievo.
Una piccola fuga.
Un’abitudine che… almeno anestetizza.

Il problema non è che il pane non serva.
Il problema è che spesso ci dimentichiamo di guardare attorno.
Di chiederci: esiste una chiave?
Una possibilità che non ho ancora visto?
Un’azione diversa che potrei provare oggi?

La psicologia cognitivo-comportamentale, in fondo, lavora proprio su questo:

portarti a vedere i tuoi schemi automatici

riconoscere dove ti stai solo “sfamando” per sopravvivere

e cosa invece può aprire una porta e cambiarti la vita

Non è questione di volontà.
Non è che non ti impegni abbastanza.
È che quando il problema ti è davanti agli occhi…
ti impedisce di vedere la soluzione che è di fianco.

Perché soffriamo anche quando potremmo smettere?
Perché il cervello ama ciò che conosce, non ciò che ci fa bene.

Prova una cosa, semplice:

> La prossima volta che ti senti bloccato, chiediti:
“Sto inseguendo il pane… o sto cercando la chiave?”

Non sempre riuscirai a rispondere.
Ma sarà il primo passo per smettere di ti**re le briciole,
e iniziare ad aprire la porta.

Se senti che stai lottando con le sbarre da troppo tempo,
non devi farlo da solo.
Esiste una strada concreta, fatta di strumenti ed esperimenti guidati.
E può portarti fuori.
Ma tutto parte da te ... Dalla tua voglia di provarci e di metterti in discussione.. e certamente non sarà facile .. ma niente di importante alla fine lo è...

Quando guardiamo una foto pensiamo sempre che racconti il momento in cui è stata scattata.In realtà ne racconta due: dov...
29/11/2025

Quando guardiamo una foto pensiamo sempre che racconti il momento in cui è stata scattata.
In realtà ne racconta due: dove sei adesso… e da dove stai arrivando.

Il mare alle spalle è un simbolo potente: rappresenta tutto ciò che hai già affrontato.
Le onde che ti hanno messo alla prova, le tempeste che pensavi ti avrebbero travolto.
E invece no: sei ancora qui.

Ma la parte davvero interessante della foto non è il passato.
È che non stai guardando indietro.
Stai camminando in avanti.

Molte persone rimangono bloccate nella loro storia passata:
un errore, una relazione finita male, una delusione che non vuole andarsene.
Come se il passato fosse un luogo dove tornare, invece di un punto da cui ripartire.

La terapia serve anche a questo:
capire da dove veniamo, sì, ma soprattutto decidere dove vogliamo andare.
E iniziare a farlo attraverso scelte concrete, possibili, quotidiane.

C’è un esercizio semplice che propongo spesso:
ogni mattina, chiediti:
“Qual è una sola azione, piccola, oggi, che mi avvicina alla persona che voglio essere?”
Non dieci. Non tutto e subito.
Una. Singola. Azione.

Ripetuta ogni giorno, cambia la direzione della vita.

E poi c’è un’altra cosa che una foto ci insegna:
il momento catturato non è mai esattamente la realtà.
Può diventare più luminoso, più intenso, più bello grazie a chi sa valorizzarlo.
Un filtro, una scelta di colori, la mano di un professionista… e l’immagine cambia profondamente.

Nella vita accade lo stesso.
Non vediamo le cose “per come sono”,
ma per come siamo in grado di vederle in quel momento.
La realtà non è solo ciò che accade:
è anche la rappresentazione che costruiamo.

Se quel modo di guardare oggi ti limita, può essere cambiato.
Così come una foto può essere trasformata, anche il tuo sguardo può esserlo.

Il mare alle spalle ti ricorda chi sei stato.
La direzione del passo che stai facendo adesso racconta chi puoi diventare.

Non possiamo scegliere le onde che ci hanno portati fin qui.
Ma possiamo scegliere ogni singolo passo da qui in avanti.

Ti sei mai detto che ormai è tardi? Che quella occasione che non hai colto, quella scelta che non hai fatto, quella vita...
28/11/2025

Ti sei mai detto che ormai è tardi? Che quella occasione che non hai colto, quella scelta che non hai fatto, quella vita che non ti sei permesso… adesso non avrebbe più senso? È una convinzione più diffusa di quanto sembri: l’idea che ci sia un tempo giusto per tutto, e che quando quel tempo passa, si abbassi il sipario sulle possibilità.

Ma la verità è che molte persone vivono una fase di apnea esistenziale per anni. Rimangono immobili, per paura, per prudenza, per dovere. A volte perché hanno imparato fin da piccoli che bisogna adattarsi, accontentarsi, non disturbare l’ordine delle cose. E così ti ritrovi a guardare la tua vita come se fosse qualcosa che accade altrove, come se le pagine più importanti fossero già state scritte da qualcun altro.

Solo quando arriva una crisi inizi a sentire con forza tutto ciò che avevi silenziato: il bisogno di dire, cambiare, capire, scegliere davvero. E allora nasce quel pensiero feroce: sono in ritardo.

Eppure il ritardo è un concetto sociale, non psicologico. L’esperienza emotiva non ha orologi. La crescità personale non segue il calendario. Alcuni iniziano a cambiare a trenta anni, altri a cinquanta, altri ancora quando la vita li costringe a guardare ciò che non potevano più ignorare. Non sei in ritardo quando ti accorgi di volere di più: sei semplicemente arrivato al punto in cui non puoi più fingere che vada tutto bene.

Non sei in ritardo quando inizi a dire ciò che pensi: sei in anticipo su tutte le volte in cui avresti continuato a tacere.

Non sei in ritardo se decidi di chiedere aiuto: sei esattamente nel momento in cui è diventato necessario farlo.

Il tempo non ti ha superato. Ti ha portato qui, a quel confine sottile tra ciò che sei e ciò che puoi diventare. E ogni passo che farai adesso, anche piccolo, sarà un passo nella tua direzione.

Non guardare chi è partito prima. O chi sembra essere arrivato più lontano. O chi ti dice come dovresti essere a quest’età. La tua vita non è una gara, e la tua storia non si giudica dal cronometro.

Non sei in ritardo. Sei arrivato quando eri pronto. E da qui, finalmente, puoi cominciare.

Molte persone vivono inseguendo un numero sulla bilancia. A volte quel numero è un ricordo (il peso “di quando avevo 18 ...
27/11/2025

Molte persone vivono inseguendo un numero sulla bilancia. A volte quel numero è un ricordo (il peso “di quando avevo 18 anni”), altre volte è un ideale imposto da una foto su Instagram. Ma quel numero raramente coincide con ciò che davvero fa bene al corpo e alla mente.

Uno dei concetti più intelligenti che ho incontrato nel lavoro clinico è quello del peso ragionevole, spiegato da Riccardo Dalle Grave: non è il peso estetico che la società ci vende, né quello “ideale” da tabella, ma un peso che: – migliora la salute nel concreto
– riduce i rischi clinici
– può essere mantenuto senza lottare ogni giorno con il corpo

Per Dalle Grave, il peso ragionevole è spesso una perdita del 5–10% del peso attuale, sufficiente per migliorare la glicemia, la pressione, il sonno, la mobilità. Non significa accontentarsi: significa mettere la salute davanti alla perfezione.

Se una persona pesa 100 kg, puntare subito a 75 può sembrare motivante… ma diventa presto una trappola: restrizioni, compensazioni, abbuffate, senso di fallimento. Se invece il primo obiettivo è scendere a 95–90, il corpo collabora, la mente si alleggerisce, e si crea uno stile di vita sostenibile, non una guerra continua.

Il peso ragionevole si valuta, si aggiusta, si scopre strada facendo: se il corpo sta bene e i comportamenti restano sani, si può continuare a migliorare. Se invece per mantenere un certo numero servono fame costante, allenamenti punitivi o pensieri ossessivi sul cibo… quello non è il tuo peso. È un nemico.

E qui entra il messaggio più importante: il benessere non si misura solo in chili. Si misura in libertà mentale, energia nelle giornate, qualità del sonno, capacità di vivere senza che il cibo diventi un problema.

La vera cura di sé non nasce dal confronto con gli altri, ma da una domanda molto semplice:
Come posso stare meglio di così, in modo concreto e duraturo?

Se pensi che sia il momento di cambiare approccio — non per diventare qualcun altro, ma per stare davvero bene nel tuo corpo — possiamo parlarne. A piccoli passi, ma nella direzione giusta.

Molte persone crescono con l’idea che “sono fatti così”.“Ho poca pazienza”.“Mi preoccupo sempre”.“Sono geloso di natura”...
26/11/2025

Molte persone crescono con l’idea che “sono fatti così”.
“Ho poca pazienza”.
“Mi preoccupo sempre”.
“Sono geloso di natura”.
“Non riesco a dire di no”.

Ci convinciamo che siano aspetti fissi della nostra personalità. Come se certe reazioni fossero scolpite nel DNA e non si potessero cambiare.

In realtà, nella maggior parte dei casi, non stiamo parlando di “carattere”, ma di abilità.
Abilità emotive, cognitive, relazionali.
E le abilità si imparano. Si allenano. Si migliorano.

La psicologia scientifica oggi è molto chiara: il cervello rimane plastico per tutta la vita. Non c’è un’età in cui smettiamo di poter apprendere nuovi modi di pensare e reagire.

Prendi l’ansia. Non è un marchio di fabbrica. È una risposta appresa.
La gelosia? Un sistema di interpretazioni e previsioni che possiamo ristrutturare.
La scarsa autostima? Il risultato di anni di auto-dialogo critico che si può addestrare a diventare più equo e funzionale.

Non siamo blocchi di cemento già asciutti: siamo più simili all’argilla. Possiamo cambiare forma, con i giusti strumenti e un po’ di pratica.

Ecco un piccolo esercizio, semplice ma efficace:
Pensa a un comportamento che non ti piace di te, uno di quelli che definisci con “io sono così”.
Adesso riformulalo in questo modo:
“Non è che sono così. Ho imparato a reagire così. E posso imparare altro.”
Scrivi tre alternative di risposta più utili in quella situazione. Anche se ora ti sembrano impossibili da applicare, intanto costruisci possibilità. Poi, scegli un’occasione nei prossimi giorni per provare almeno una di quelle alternative. Solo una. Piccola. Concreta.

Non servono rivoluzioni immediate.
Serve la scelta di non firmare un’etichetta come fosse un destino.

Il cambiamento non è un talento.
È un processo.
E ogni processo ha un inizio.

Se senti che alcune parti della tua vita potrebbero funzionare meglio, è assolutamente possibile lavorarci. Si possono imparare strategie per gestire l’ansia, comunicare meglio, ridurre i pensieri che ti buttano giù, costruire abitudini che ti sostengono davvero.

Se ti va di approfondire o capire come potresti applicare queste idee alla tua storia, possiamo parlarne insieme. Quando vuoi.

Quando si parla di Darwin, quasi tutti ricordano la frase: deriviamo dalle scimmie. Fine della storia.In realtà, Darwin ...
25/11/2025

Quando si parla di Darwin, quasi tutti ricordano la frase: deriviamo dalle scimmie. Fine della storia.
In realtà, Darwin ha studiato qualcosa che spesso dimentichiamo: le emozioni. E ci ha mostrato che non sono capricci della mente, ma un vero sistema evolutivo, sofisticato e antico, progettato per farci sopravvivere molto prima che imparassimo a dire “sto bene” o “sto male”.

Nel suo libro “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, Darwin spiega che le emozioni funzionano come un radar. Arrivano prima del pensiero perché devono proteggerci in fretta. La paura accelera il cuore e ci prepara a reagire al pericolo. La rabbia difende ciò che per noi conta. La tristezza rallenta, così qualcuno può accorgersi che abbiamo bisogno di vicinanza. La gioia, quando c’è, consolida i legami e ci orienta verso ciò che ci fa crescere.

Allora perché, se sono così utili, ci fanno penare?
Perché l’ambiente in cui viviamo è cambiato più velocemente del nostro corpo. Il sistema emotivo risponde come se ci fosse un predatore appena fuori dalla porta, quando magari abbiamo solo una riunione importante o un messaggio che non sappiamo come gestire.
E poi perché spesso facciamo l’errore di giudicarle. Classifichiamo alcune emozioni come negative: paura, vergogna, tristezza. Le consideriamo un problema da eliminare. Ma negativo non significa sbagliato. Significa semplicemente difficile da stare, ma potenzialmente ricco di senso.

Le emozioni sono segnali, indicazioni precise su ciò che ha valore per noi: relazioni, equilibri, bisogni non ascoltati.
Ignorarle è come avere una bussola che ci potrebbe guidare e lasciarla chiusa nel cassetto.

Il lavoro psicologico, soprattutto in un percorso Cognitivo-Comportamentale, serve a questo: imparare a decifrare quei segnali e trasformarli in azioni utili. Non per smettere di provare ciò che proviamo, ma per smettere di farci comandare da ciò che proviamo.
Si lavora su consapevolezza emotiva, regolazione, gestione dei pensieri, capacità di scegliere risposte più efficaci.
Le emozioni non vanno tolte di mezzo: vanno messe al nostro fianco.

Se leggendo queste righe ti sei riconosciuto in qualcosa, sappi che esistono strumenti pratici

Molte persone pensano ancora che andare dallo psicologo significhi solo parlare del passato, raccontare i propri vissuti...
24/11/2025

Molte persone pensano ancora che andare dallo psicologo significhi solo parlare del passato, raccontare i propri vissuti più dolorosi o “sfogarsi” per sentirsi meglio. Quella parte può esistere e ha valore: dare un nome alle emozioni, comprendere il proprio funzionamento e sentirsi ascoltati è fondamentale. Ma nella terapia cognitivo-comportamentale non ci si ferma lì. A un certo punto diventa essenziale chiedersi: “Ok, e ora cosa me ne faccio di tutto questo?”. Perché la consapevolezza, se non porta a delle azioni vere e proprie, rischia di restare solo un’idea nella mente, senza cambiamenti nella vita reale.

In CBT si lavora sul presente, su ciò che ti succede oggi nella quotidianità, sulle situazioni che ti mettono in difficoltà o ti fanno soffrire. Si lavora sui pensieri che influenzano ciò che provi e su come agisci, per trovare modalità più utili e funzionali. Non è solo parlare: è allenarsi, sperimentare, provare nuove strategie. È apprendere strumenti concreti da portarti dietro anche quando la terapia è finita: tecniche per gestire ansia, stress, emozioni intense, conflitti relazionali, difficoltà nel prendere decisioni o nel raggiungere obiettivi personali.

Il passato ha un ruolo: aiuta a capire da dove arrivano certe modalità, cosa ti ha insegnato la vita e quali schemi continui ad applicare senza accorgertene. Ma non deve diventare una prigione. La terapia serve per permetterti di agire diversamente oggi, in modo graduale ma reale. Si analizzano i problemi, si pianifica insieme come affrontarli, si osservano i risultati, si corregge il tiro. Come un laboratorio in cui tu sei protagonista attivo del cambiamento. Non solo parole, ma anche passi concreti. Perché è lì, nelle azioni, che inizia la parte più importante: vivere una versione di te che ti assomiglia di più e che ti fa stare meglio

A volte pensiamo che servano rivoluzioni enormi per stare meglio. In realtà, la scienza psicologica ci dice che spesso s...
23/11/2025

A volte pensiamo che servano rivoluzioni enormi per stare meglio. In realtà, la scienza psicologica ci dice che spesso sono le piccole azioni a creare i cambiamenti più profondi e duraturi. Gli strumenti per migliorare la serenità e la capacità di affrontare lo stress non sono concetti astratti: si imparano, si esercitano, diventano parte di noi.

Una metafora utile è quella del giardiniere: non puoi costringere una pianta a crescere più in fretta tirandola verso l’alto. Puoi però cambiare la qualità della terra, l’acqua, la luce. Il benessere funziona allo stesso modo: cambiando l’ambiente interno (pensieri, scelte, abitudini), cominci a creare spazio per una crescita naturale.

Qui ci sono 5 strategie semplici, scientificamente fondate, che chiunque può iniziare ad applicare:

1. Riconosci e nomina i pensieri difficili
Dare un nome alle emozioni e ai pensieri riduce l’attivazione emotiva e attiva aree cerebrali più razionali.
Quando ti senti travolto, prova:
“Sto notando il pensiero che non ce la farò”
“Sto sentendo ansia al petto”
Stai già portando ordine nell’esperienza interna.
(Studi di Lieberman, UCLA: l’etichettamento emotivo riduce l’attività dell’amigdala e migliora la regolazione emotiva)

2. Microazioni, non maratone
Quando hai un obiettivo, spezzalo nel più piccolo passo possibile e fallo oggi.
Una mail da inviare, una pagina da leggere, 10 minuti di camminata: ciò che è piccolo è fattibile, e ciò che è fattibile crea slancio.
Un passo è già un cambiamento.

3. Focalizzati sui fatti, non sulle interpretazioni
Domandati:

Cosa so con certezza di questa situazione?

E cosa invece sto ipotizzando?
Questa semplice distinzione riduce errori cognitivi, catastrofizzazione e ansia anticipatoria.

4. Il tuo respiro è una leva
L’espirazione lenta (più lunga dell’inspirazione) attiva il sistema parasimpatico e abbassa la tensione in pochi secondi.
Una tecnica: 4 secondi inspira – 6 secondi espira per 2 minuti.
È un reset rapido che puoi usare ovunque.

5. Programma momenti di piacere e cura di te
Non lasciarli al caso: calendario ciò che ti fa bene.
Piccoli momenti di attenzione verso di te creano un messaggio chiaro:
“Io merito di stare bene.”

Prova ☝️

È scomparso Paul Ekman, lo psicologo che ha rivoluzionato il modo in cui comprendiamo le emozioni. Considerato il princi...
22/11/2025

È scomparso Paul Ekman, lo psicologo che ha rivoluzionato il modo in cui comprendiamo le emozioni. Considerato il principale erede contemporaneo del pensiero di Charles Darwin sull’espressione delle emozioni, Ekman ha portato alle estreme conseguenze l’idea darwiniana che i nostri volti raccontano una storia universale, radicata nella biologia più che nella cultura.

Per molti è “il padre delle microespressioni”, per altri un ricercatore visionario e coraggioso che ha reso scientificamente osservabile ciò che avviene in una frazione di secondo: quei segnali che sfuggono al controllo cosciente e possono rivelare emozioni autentiche, anche quando vengono mascherate.

Per me, Ekman non è stato solo una lettura: è stato un compagno di viaggio nella mia formazione. La mia prima tesi nasce dalle sue ricerche sulla menzogna e sulle microespressioni; la seconda approfondisce la comunicazione non verbale e le sue applicazioni persuasive e di marketing, ancora una volta in continuità con il suo lavoro.

Il suo contributo è prezioso e ha avuto un impatto enorme nella psicoterapia, nella sicurezza, nella medicina, nella negoziazione, fino alla cultura pop.
Eppure, come ogni rivoluzione, non ha incontrato solo consensi: alcune sue teorie sull’universalità delle emozioni e sull’identificazione della menzogna restano al centro di un vivace dibattito scientifico, che ne ha messo alla prova limiti, contesto e generalizzazioni.

Questo, però, non ne riduce l’eredità.
Anzi, è il segno di quanto il suo pensiero abbia mosso la ricerca avanti, costringendoci a chiederci di più, a osservare meglio, a non accontentarci.

Ha reso visibile ciò che era invisibile.
Ha insegnato che il volto parla, anche quando noi non lo facciamo.

Oggi il mondo scientifico perde una figura fondamentale, ma ciò che ci ha lasciato continuerà a guidarci: ogni volta che in seduta o nella vita reale noterò un sopracciglio che si solleva, un sorriso trattenuto, uno sguardo che si distoglie per un istante.

Grazie, Paul Ekman.
Per aver dato voce alle emozioni. E per averci insegnato a non smettere mai di cercarle.

Si è appreso ieri sera della scomparsa a 91 anni il 17 novembre scorso di Paul Ekman, professore emerito dell’Università della California, inserito nella lista dei 100...

Il problema non è provare emozioni.È non sapere cosa farne.Molte persone arrivano in terapia con questa sensazione:“So c...
22/11/2025

Il problema non è provare emozioni.
È non sapere cosa farne.

Molte persone arrivano in terapia con questa sensazione:
“So cosa mi succede. So anche da dove viene.
Eppure continuo a reagire sempre allo stesso modo.”

Il punto è che capire non basta.
Per cambiare serve gestire, imparare come usare ciò che proviamo.

Le emozioni non sono errori del sistema.
Sono segnali.
Come un semaforo nel traffico: non serve arrabbiarsi con il rosso. Serve capire quando fermarsi, quando ripartire, quando fare attenzione.

Con la CBT lavoriamo proprio su questo:

• riconoscere il segnale (cosa sento davvero?)
• interpretarlo correttamente (di cosa mi sta parlando?)
• scegliere una risposta efficace (che cosa posso fare adesso?)

Emozioni intense non sono un fallimento.
Sono un messaggio che chiede competenze nuove.

E queste competenze si imparano.
Non sono magia, non sono un dono per pochi.
Sono strumenti concreti: regolazione emotiva, esposizione graduale, problem solving, tolleranza allo stress, defusione cognitiva, ristrutturazione dei pensieri.

Significa passare da:
“L’ansia decide per me”
a:
“Sono io a decidere cosa fare, anche se l’ansia c’è”.

Metafora breve

Immagina di avere in mano una bussola impazzita.
Finché non sai come funziona, ti sembra che ti confonda.
Quando impari a leggerla, diventa ciò che ti guida.

Le emozioni funzionano allo stesso modo.

Esercizio pratico (1 minuto)
La prossima volta che provi un’emozione forte, prova a scrivere tre righe:

1. Che emozione è? (una parola sola)

2. Dove la sento nel corpo?

3. Quale piccolo passo potrei fare adesso che va nella direzione di ciò che conta per me?

Niente soluzioni enormi.
Solo un passo possibile, oggi.

Perché il cambiamento non arriva quando elimini ciò che senti.
Arriva quando smetti di scappare e inizi a rispondere.

Se vuoi lavorare su questo con me, esistono strade concrete, praticabili e personalizzate.
Una stanza, reale o virtuale, in cui puoi imparare gli strumenti giusti per te.

Quando sei pronto, io ci sono.

Indirizzo

Via Cherubini 20
Florence
50100

Orario di apertura

Lunedì 14:00 - 20:00
Venerdì 14:00 - 20:00

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