11/10/2025
Non cerchiamo più verità, ma legittimazioni”
✒️ Dr. Carlo D’Angelo | Voce delle Soglie
Viviamo in un tempo in cui si pensa poco e si condivide molto.
Un’epoca in cui le parole non vengono più meditate, ma rilanciate;
in cui le frasi non nascono dalla vita, ma si consumano come oggetti di passaggio, citazioni da esporre, bandiere da sventolare.
Siamo diventati, spesso senza rendercene conto, ripetitori di pensieri altrui.
Citiamo, condividiamo, “postiamo” parole d’autore come fossero medaglie da esibire, come se la profondità di un altro potesse darci il diritto di sentirci profondi anche noi.
Ma dietro questo bisogno di citare — anche nei contesti più nobili, anche in quelli spirituali o culturali — si nasconde spesso un bisogno più sottile e più triste: quello di essere legittimati.
Non ci fidiamo più della nostra voce.
Abbiamo paura che ciò che pensiamo non sia abbastanza autorevole, non sia “giusto”, non sia “all’altezza”.
E così ci aggrappiamo alle parole dei grandi, dei maestri, dei saggi, come se solo attraverso di loro potessimo dire qualcosa di vero.
Ma questo, se ci pensiamo bene, è il segno di una crisi dell’anima pensante.
Un pensiero che nasce da noi, dalla nostra esperienza, dai nostri inciampi e dalle nostre fedeltà, ha una dignità che nessuna citazione può sostituire.
Un pensiero autentico non ha bisogno di essere “bello”: ha bisogno di essere vero.
E la verità, nella sua forma più nuda, è sempre personale, vissuta, incarnata.
L’illusione della profondità riflessa
Abbiamo scambiato la profondità per eco.
Condividiamo frasi come si condividono immagini, senza mai attraversarle davvero.
Ma un pensiero che non ha trovato corpo nella vita resta sterile.
Non basta riconoscersi in una frase per averla capita: bisogna viverla, lasciarla entrare, farle cambiare qualcosa.
Molti oggi non cercano parole per capire, ma parole per apparire.
Si cerca il pensiero “giusto” da pubblicare, non la domanda scomoda da abitare.
È il trionfo dell’estetica sulla verità, della rappresentazione sull’esperienza.
Ma pensare non è esibire: è sostare.
Pensare significa permettere che un’esperienza si depositi dentro di noi fino a diventare linguaggio.
Significa non avere fretta di dire, non avere bisogno di piacere, non temere il silenzio.
La dipendenza dall’autorità
Quante volte ci capita di sentire — o di dire — “lo ha detto Jung”, “lo ha detto Lacan”, “lo ha detto il Papa”, “lo ha detto un grande autore”…
E quasi sempre, quando pronunciamo queste parole, è come se ci togliessimo una responsabilità: non sono io che lo dico.
Ma allora, chi pensa?
Chi rischia?
Chi si espone?
Abbiamo ridotto il pensiero a un sistema di riferimenti, non di risonanze.
Ci rassicura il nome, non il contenuto.
Preferiamo appoggiarci a una firma riconosciuta che ascoltare la vibrazione incerta di ciò che sentiamo.
Ma l’anima non si nutre di legittimazioni, si nutre di verità.
Un pensiero autentico nasce quando smettiamo di chiederci “chi lo ha detto” e cominciamo ad ascoltare “cosa mi dice”.
È lì che il pensiero si fa incarnato, diventa evento interiore.
La verità non ha bisogno di autore: ha bisogno di presenza.
Il coraggio di un pensiero umile
Forse oggi dovremmo imparare l’umiltà del pensiero personale.
Non la presunzione di dire tutto, ma la fedeltà a dire qualcosa di nostro.
Un pensiero umile, magari imperfetto, ma autentico, è sempre più vivo di mille citazioni perfette.
Perché nasce da un corpo, da una biografia, da un dolore, da una ricerca.
Non serve scomodare i maestri per ogni emozione.
La vita, se ascoltata, è già maestra.
Ciò che ci accade, se accolto, è già testo.
Ma per pensare occorre fidarsi di sé, e questo oggi è forse l’atto più rivoluzionario possibile.
Pensare con la propria testa — e con il proprio cuore — è l’unico modo per non diventare un archivio di idee altrui.
È scegliere di essere sorgente e non riflesso, voce e non eco.
Il pensiero che nasce dalla vita
Il pensiero vero non si produce, si sedimenta.
Nasce dai giorni, dalle relazioni, dai fallimenti, dalle rinunce.
Si forma nel silenzio, nella solitudine, nella contemplazione.
È un pensiero che si scrive dentro di noi molto prima che diventi parola scritta o detta.
Quando un pensiero nasce da una vita, non ha bisogno di essere “profondo”: lo è già, perché porta con sé la verità di chi lo ha vissuto.
E in fondo, ciò che tocca non è la genialità, ma l’autenticità.
Ci commuove ciò che è vero, non ciò che è perfetto.
Tornare ad ascoltare ciò che sentiamo
Forse è questo il grande compito di oggi: tornare ad ascoltare ciò che sentiamo.
Non per disprezzare il pensiero degli altri, ma per non usarlo come maschera.
Ogni volta che citiamo un autore per paura di dire “io”, smettiamo di essere vivi nel pensiero.
Abbiamo bisogno di riscoprire una spiritualità del pensare, un’etica della parola come atto di verità.
Pensare non è un esercizio accademico, è un gesto di presenza: è dire io ci sono dentro questa esperienza, io ne porto traccia.
Quando un pensiero nasce dal vissuto, non ha bisogno di essere firmato: è riconoscibile per la sua luce.
È il pensiero che non cita, ma si lascia citare dalla vita.
✒️ Dr. Carlo D’Angelo | Voce delle Soglie