25/11/2025
🌲 La famiglia nel bosco non è il punto.
Questa storia della "famiglia nel bosco" ha generato opinioni di ogni tipo.
Una gamma che va dai romantici del ritorno alla natura ai complottisti dei giudici cattivoni che vogliono toglierci i figli.
Un dibattito che, lo ammetto, mi pareva tra i meno interessanti: la solita miscela in cui l’emotività è talmente densa da rendere impossibile qualsiasi confronto sensato.
Ma da ieri mi arrivano segnali di alert, inizia a esserci preoccupazione.
Mi avvertono che se non dico niente sulla faccenda rischio non solo l’abilitazione alla professione, ma soprattutto la mia preziosissima reputazione da psicologa influencer.
E allora mi tocca.
Partiamo da una cosa semplice, giusto per togliere l’ambiguità di mezzo: non ho alcuna intenzione di difendere la scelta di vivere isolati con dei minori in una capanna fatiscente, senza servizi, senza rete, senza garanzie minime per dei bambini.
Il punto però è un altro, ed è l’ipocrisia gigantesca che ci scivola davanti agli occhi.
Un’ipocrisia che non riguarda la scelta — legittima e francamente condivisibile a chiunque abbia letto le carte e non solo guardato i servizi delle Iene — dei giudici e degli assistenti sociali che hanno fatto il loro lavoro.
Riguarda tutto ciò che abbiamo normalizzato come società e come politica (compresi quelli che in questi giorni si stracciano le vesti davanti alle telecamere. Si Salvini, parlo di te).
Abbiamo normalizzato case rese “abitabili” anche se hanno la metratura di uno sgabuzzino, dove sì, il bagno ce l’hai, ma appoggiato alla testiera del letto.
Abbiamo normalizzato lavori che ti rendono quasi più povero dell’essere disoccupato, con stipendi che scompaiono prima ancora di arrivare sul conto.
Abbiamo normalizzato bambini lasciati con un telefono in mano, perché un/a babysitter costa quanto un rene e i congedi familiari sono un miraggio.
E no, non possiamo “semplicemente restare a casa a crescerli”, perché nel frattempo dobbiamo pagare l’affitto dello sgabuzzino di cui sopra.
E allora sì: io più che prendermela con i giudici, avrei dell'irritazione per questo disegno politico di una società che è uno scarabocchio sotto acidi.
Anni di retorica su famiglia, tradizioni, infanzia… senza mettere un euro dove servirebbe davvero.
Anni dove abbiamo normalizzato la precarietà come “colpa individuale”.
La "famiglia nel bosco" — o meglio, l’archetipo grottesco che è diventata nella narrazione collettiva — non è il segnale di una società che “vuole tornare alla natura”.
È il segnale di una società che ti lascia così solo, così stretto, così senza alternative, che perfino la natura — quella vera, dura, senza romanticismi e senza cesso — ti sembra un piano migliore.
Ed è lì che dovremmo guardare.
Tutto il resto è campagna elettorale.