16/07/2025
Condivido questo scritto perché risuona molto con me e con ciò che porto nel mio lavoro.🌺
È luogo comune pensare che chi si occupa di relazioni di aiuto non debba avere alcun tipo di problema, né professionale, né affettivo, né esistenziale.
Un po' come se un medico, dato che è medico, non debba mai ammalarsi.
Oppure come se un idraulico non debba avere perdite in casa, un falegname abbia per forza porte perfette, un nutrizionista debba avere analisi al top, e via di seguito.
In realtà non funziona così.
Molto più probabilmente, chi si occupa di relazioni di aiuto ha sentito una chiamata ad accompagnare gli altri, a partire da una o più ferite profonde, dentro di sé, su cui sa di dover continuare a lavorare tutta la vita.
Egli è stato investito di un ruolo che in realtà non ha deciso lui, ma un qualche tipo di intreccio spirituale passato, che si riverbera in questa vita attraverso l'archetipo del salvatore.
E qui scatta il pericolo, il lato ombra dell'archetipo che costella, rischiando di inflazionare l'ego.
Il terapeuta, coach o counselor che dir si voglia, deve lavorare continuamente su di sé per non sentirsi uno "che può salvare gli altri", onde evitare il delirio di onnipotenza che vedo ogni 3 per 2 sui social, che attira si molte personalità dipendenti, ma poco ha a che fare con l'evoluzione.
Chi è stato chiamato a occuparsi degli altri non è immune da qualsivoglia problematica personale.
E tuttavia è più consapevole di altri, o almeno dovrebbe esserlo, del fatto di doverci lavorare sempre, ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, e che niente è mai completamente risolvibile, ma tutto ha un margine di miglioramento.
Conosce la via, perché ci è passato molte volte, e continuerà ancora ad attraversare quella strada, proprio agevolando in questo percorso le altre persone.
Ha sviluppato la capacità di aiutarsi, aiutando (aiutarsi non significa risolvere, risolvere completamente e per sempre, significa sapersi prendere cura di sé).
Egli ha penetrato la propria vulnerabilità, le proprie ombre, le proprie ferite, a una profondità tale da poter esporre questi lati all'interno di una relazione in cui il cliente, seppur parlando delle proprie ombre e ferite, non lo induce a esserne trascinato via cadendo empaticamente dentro la sua anima.
Ma vedendo rispecchiati nell'altro questi aspetti, sa servirsene per accompagnarlo, e al medesimo tempo sa vederli attraverso gli occhi del cliente per prendersene cura prendendosi cura di se stesso, senza dimenticare chi ha di fronte.
Il processo di rispecchiamento, qui, è elevato all'ennesima potenza.
La debolezza, qui, è diventata una risorsa consapevole.
(Omar Montecchiani)
Buona giornata Eli❤️