24/09/2025
“A partire dagli anni Novanta, la popolarità dello zen, del buddhismo e della meditazione ha lasciato il posto alla mania della mindfulness. In sostanza, però, si tratta della stessa cosa: sedersi con la propria mente per liberarla dalla sofferenza.”
Qualche giorno fa ho letto questa frase, e mi ha riportato alla mente un’esperienza vissuta quest’estate. Diverse persone hanno iniziato a chiedermi se, nel mio studio, praticassimo mindfulness. La mia risposta, sincera e immediata, è stata: “No”.
Poi, però, mi è sorto un dubbio: cosa si intende esattamente per mindfulness?
Così ho iniziato a informarmi. Ho seguito un corso online, ho letto alcuni libri sull’argomento, ho parlato con psicologi che la praticano, ho guardato scuole e programmi di formazione. Mi sono documentata molto. E alla fine ho scoperto che la risposta corretta sarebbe stata: “Sì, pratichiamo mindfulness... da prima che si chiamasse così.”
Da sempre, in realtà. Perché la mindfulness non è altro che ciò che lo yoga propone da millenni.
Questa scoperta mi ha colpita profondamente. Hanno solo cambiato il nome. È diventata una moda, tutti ne riconoscono i benefici – e giustamente: è una pratica antichissima che funziona davvero. Eppure oggi le persone cercano “mindfulness”, non lo zen, non il buddhismo, non la meditazione o rilassamenti legati allo yoga. Non vedono – o forse non conoscono – il profondo lavoro di consapevolezza che sta alla base della pratica yogica.
La mindfulness è diventata, quasi improvvisamente, una sorta di bacchetta magica. Non c’è nulla di male in questo. Ma sarebbe bello, quando cerchiamo qualcosa, prenderci il tempo per capire davvero cosa sia, da dove venga, e cosa stiamo cercando, in fondo.
Io questa volta l’ho fatto. Mi sono chiesta perché la mindfulness sia così ricercata, e da dove derivi. Ed è stato bello scoprire che, come spesso accade, tutto nasce da quei grandi saggi e maestri del passato… continua nelle note…