Dott. Pasquale Saviano Psicologo-Psicoterapeuta

Dott. Pasquale Saviano Psicologo-Psicoterapeuta Dott. Pasquale Saviano
Psicologo-Psicoterapeuta
Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia Psicoanalitica Perchè lo Psicologo?

Noi tutti non sempre ci prendiamo cura della nostra salute psicologica tanto quanto facciamo con quella fisica. Inoltre esiste ancora in molte persone la diffidenza nei confronti dell'esperto in salute psicologica, considerato spesso il "medico dei pazzi". Andare dallo Psicologo non significa assolutamente essere "pazzi" o "diversi": indica, al contrario, la volontà di prendersi cura della propria salute mentale, che va di pari passo con quella fisica e con il benessere generale.

30/10/2025



- Infanzia -L'infanzia comprende i primi anni della vita di ogni persona. Si divide in una prima infanzia, dalla nascita...
30/10/2025

- Infanzia -

L'infanzia comprende i primi anni della vita di ogni persona. Si divide in una prima infanzia, dalla nascita ai due anni, e una seconda infanzia, dai tre ai sei anni. Il periodo dai sei ai dodici anni viene chiamato fanciullezza. Tutti e tre i periodi - e ancor di più i primi due - sono molto importanti perché, ben di più di ogni altro mammifero, il bimbo è indifeso verso gli stimoli esterni sia fisici che emotivi e situazionali, è dipendente in tutto per i primi anni e al contempo è dotato di un enorme capacità di apprendimento.
I tratti della personalità e del comportamento di ogni adulto dipendono in gran parte da quanto è accaduto (o non accaduto) in questo periodo. È qui che vengono appresi, inconsapevolmente i principali "schemi relazionali” - per esempio, la capacità di amare e ricevere amore, la fiducia di base in se stessi ecc. - che costituiranno l'ossatura delle relazioni adulte.
Ed è qui che con maggior facilità avvengono i cosiddetti traumi, eventi che per intensità e drammaticità superano le scarse - nei primi anni nulle - capacità del bimbo di elaborare e dare un senso a quanto accade.
Ma l'infanzia è anche e soprattutto il tempo in cui la nostra vitalità emerge con maggior naturalezza, il tempo dei giochi e della spontanea capacità di stare nel presente.
Per questo è importante proteggere l'infanzia dagli inquinamenti del mondo adulto, e aiutarla a crescere senza perdere lo stupore e l'immediatezza espressiva che la caratterizzano.
In breve, per aiutare i bimbi ad essere degli adulti felici.

Nell’invecchiamento depressione e ansia sono frequenti, ma la psicoterapia favorisce adattamento e benessere psicologico...
29/10/2025

Nell’invecchiamento depressione e ansia sono frequenti, ma la psicoterapia favorisce adattamento e benessere psicologico.

Nell’invecchiamento depressione e ansia sono frequenti, ma la psicoterapia favorisce adattamento e benessere psicologico

MEDITAZIONE E CERVELLO. COME LA PRIMA MODIFICA IL SECONDOI neuroscienziati si sono da sempre chiesti quanto l’attività m...
28/10/2025

MEDITAZIONE E CERVELLO. COME LA PRIMA MODIFICA IL SECONDO

I neuroscienziati si sono da sempre chiesti quanto l’attività meditativa influisca sul cervello.
In uno studio del 2016 il dottor Richard Davidson, docente di psicologia e psichiatria dell’Università del Wisconsin-Madison, collegò al cranio di un monaco tibetano Mattieu Ricard 256 elettrodi. Ricard aveva rinunciato ad una carriera scientifica e passato decenni a meditare sull’Himalaya. I risultati emersi da questi studi riportano qualcosa di mai visto prima, una firma cerebrale caratterizzata da una corteccia prefrontale più grande (responsabile di gestire le emozioni negative reprimendole), e livelli anormali di onde gamma (tipici di una sensazione di rilassatezza, beatitudine). Ciò li portò a definire il monaco: “L’uomo più felice del mondo”.
Una caratteristica comune a tutti coloro che praticano la meditazione in modo sistematico e costante è di avere miglioramenti nella strutturazione del cervello. Tra l’altro anche quelli che si approcciano ad essa vedono cambiamenti nel giro di poche settimane. Ma cosa succede al cervello dei “meditatori”? La ricerca ha dimostrato che i cambiamenti del cervello grazie alla meditazione avvengono a diversi e molteplici livelli anche in contemporanea.
La meditazione ingrandisce la corteccia prefrontale. Quest’area del cervello è responsabile del processo decisionale razionale. A seguito di una costante attività meditativa si ha un aumento delle cellule cerebrali in questa regione, la cosiddetta materia grigia; ciò per forza di cose migliora i processi razionali permettendo di gestire meglio le emozioni, soprattutto quelle negative.
La meditazione influisce anche sull’amigdala, di fatto restringendola. L’amigdala è una ghiandola della struttura celebrale nota come centro emotivo e delle reazioni alla paura. Le persone con un’amigdala di volume ridotto sono più consapevoli delle loro reazioni ed hanno un maggiore controllo sulle proprie emozioni.
La meditazione addensa l’ippocampo. Quando parliamo di apprendimento e memoria non possiamo non considerare l’ippocampo, una struttura cerebrale che già a poche settimane dall’inizio della pratica meditativa aumenta di dimensioni portando notevoli benefici nei suddetti campi.
In genere l’attività meditativa aumenta costantemente la quantità di materia grigia complessiva. I cosiddetti corpi delle cellule cerebrali che favoriscono la potenza dell’elaborazione cognitiva, sono legati all’intelligenza e migliorano in generale il benessere del cervello.
La meditazione, infine, influisce anche sulle onde cerebrali, soprattutto quello delle onde gamma ad alta ampiezza migliorandone l’attività. Le onde gamma sono legate a stati di maggiore consapevolezza: chi medita costantemente porta con sé più attività cerebrale ad onde gamma, prima e durante la meditazione rispetto a chi non lo fa.
Sebbene alcune di queste caratteristiche possono essere innescate già dopo alcune settimane di meditazione costante, possono volerci degli anni affinché esse raggiungano dei cambiamenti significativi e soprattutto permanenti nella struttura cerebrale. La grande capacità del cervello umano è quella di adattarsi velocemente quando lo si usa in modi nuovi o gli si assegnano nuovi compiti. Meditare aiuta a focalizzare l’attenzione, aumentare la razionalità e agire meglio sulle emozioni, permettendo di costruire un cervello migliorato a poco a poco. E’ lo stesso concetto dell’atleta che con l’allenamento potenzia i propri muscoli e modifica il suo fisico in vista delle prestazioni sportive.
La visione dei neuroscienziati fino a qualche decennio fa era che il nostro cervello smettesse di evolversi una volta raggiunto l’età adulta; in realtà gli studi sulla meditazione hanno portato a scoperte del tutto opposte suggerendo che il nostro cervello continua a modificarsi finché siamo vivi. L’incredibile neuroplasticità del cervello (la sua capacità di modificarsi di riordinarsi creando nuove connessioni neuronali) è ormai un concetto ampiamente riconosciuto anche nella pratica psicoterapeutica e che comporta la possibilità per ognuno di noi di allenare la mente come un muscolo attraverso gli esercizi meditativi e la riflessione su se stessi.
A questo punto un’altra domanda sorge spontanea: “Quali sono i meccanismi che permettono alla meditazione di cambiare il cervello?”. In effetti quando parliamo di meditazione stiamo utilizzando un termine generico; esistono infatti circa 800 tecniche diverse o più e ognuna di esse allena la mente potenziandola in modo diverso. La meditazione più comunemente praticata è la meditazione consapevole ma ci sono anche Zazen, Mahamudra, Vedica, centinaia di altre pratiche che similmente ai diversi sport rafforzano il cervello in modi diversi.
L’attività mentale favorisce il fluire di pensieri; ciò comporta che neuroni che si attivano insieme si collegano creando nuove connessioni e di fatto scolpendo il cervello, utilizzare il pensiero, usare la mente per cambiare il cervello è possibile. Attraverso la meditazione si dirige l’attenzione interiormente e coscientemente. Ciò significa usare la mente per cambiare il cervello, proprio come un bambino che crea una struttura di plastilina. Imparare a dirigere la propria attenzione ed i propri pensieri può avere un impatto significativo nel cambiare lo sviluppo del cervello.
Attuare costantemente ed intensamente una meditazione basata sulla concentrazione significa poter controllare l’evoluzione del cervello attraverso l’esercitazione delle reti attenzionali e di conseguenza il rafforzamento di quelle neuronali. La meditazione produce cambiamenti più o meno immediati ma anche cambiamenti strutturali di lunga durata come nuove connessioni e reti neuronali completamente riorganizzate.
L’allenamento mentale è un lavoro a tempo pieno che aiuta la neuroplasticità e rinforza le connessioni sinaptiche. Quindi scegliere di dedicare del tempo ogni giorno per meditare aiuterà ad affrontare la vita e le emozioni con più razionalità, portando inoltre grandi benefici alle strutture cerebrali.

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta

IL PAZIENTE DESIGNATO: COLUI CHE SOFFRE PER TUTTICol termine ‘paziente designato’ si identifica quell’individuo che all’...
27/10/2025

IL PAZIENTE DESIGNATO: COLUI CHE SOFFRE PER TUTTI

Col termine ‘paziente designato’ si identifica quell’individuo che all’interno del contesto familiare assorbe i conflitti e il disagio dei membri, esprimendoli attraverso una sintomatologia propria. Si tratta di un processo inconscio che serve a mantenere illusoriamente l’equilibrio tra i componenti del sistema familiare e per distogliere l’attenzione da dinamiche disfunzionali più profonde. I pazienti identificati possono emergere da contesti familiari disfunzionali, abusivi, caotici nei quali la loro infanzia è stata piena di avversità, ma possono anche avere alle spalle famiglie apparentemente normali.

Il concetto di paziente designato (o paziente identificato) può essere fatto risalire a Gregory Bateson, il quale in un lavoro sull’omeostasi familiare (1972) usa il termine “paziente identificato” ad indicare un membro della famiglia come portatore di sintomi di malessere provenienti proprio dal sistema familiare e dagli altri membri.
Più tardi, nel 1975, il concetto fu ripreso dalla teoria sistemico-familiare e dai lavori di Mara Selvini Palazzoli ed altri. Il termine si usa nel campo della terapia familiare per indicare il “portatore di sintomi” di un sistema familiare, colui che a causa di una varietà di elementi legati a tale sistema esprime disagi irrisolti, emozioni non gestibili spesso disfunzionali al gruppo. Una visione interessante considera addirittura la possibilità che il paziente designato possa portare anche sintomi intergenerazionali, cioè legati a familiari che hanno preceduto la sua generazione (disagi irrisolti e sofferenze di nonni, bisnonni…).

Il paziente designato viene visto come il “problema” principale in famiglia e per questo motivo viene portato o spinto ad andare in terapia. I suoi sintomi vengono percepiti come la causa del malfunzionamento dell’assetto familiare. Un esempio classico è l’adolescente che viene portato in terapia perché ha comportamenti problematici: indagando, si scopre che la relazione tra i partner e tra genitori e figli è carente e che i problemi del paziente riflettono quelli irrisolti del sistema famiglia.

Quando un sistema familiare è emotivamente sano, forte, resiliente, se insorgono dei problemi possono essere risolti in modo funzionale. Ma quando non è abbastanza robusto da tollerare e metabolizzare i fattori e le situazioni di stress e sofferenza, è una sola persona a manifestare ansia e frustrazione, pur non essendo la causa di quei malesseri.
Scaricare su qualcuno che poco o nulla ha a che fare con il malessere interno, può portare benessere momentaneo ma indebolisce la relazione con quella persona, che comincerà a caricarsi di ciò che gli altri gli scaricano addosso. Se, infatti, uno dei membri innesca questo circolo vizioso, gli altri lo seguiranno a ruota.

Ma perché ciò accade?
È come un gioco di prestigio: concentrando tutta l’attenzione sul membro della famiglia “problematico”, il resto della famiglia può evitare di affrontare i propri problemi. Si tratta di una strategia inconscia per mantenere lo status quo, anche se è malsano.
Facciamo un altro esempio: immaginiamo una famiglia seduta a tavola durante la cena, la tensione è alta, si sta discutendo animatamente. All’improvviso il bambino più piccolo ha uno scoppio d’ira e urla. Tutti gli sguardi si rivolgono verso di lui e la discussione in atto viene dimenticata. Il bambino diventa così la valvola di sfogo della famiglia, allontanando l’attenzione dagli altri problemi della stessa. Un processo molto comune nelle famiglie con un paziente designato, in cui il capro espiatorio diventa il portatore di sintomi, manifestando lo stress collettivo della famiglia. Un peso enorme per un bambino che non riesce a capire perché egli viene visto come il “problema”.

Questo modello comportamentale appartiene ad una trasmissione intergenerazionale di modelli disfunzionali. Le famiglie tendono a ripetere i modelli comportamentali e relazionali attraverso le generazioni, come si fa con i cimeli di famiglia. Quindi il paziente designato potrebbe diventare il genitore successivo, perpetrando il ciclo.
Se ci mettiamo nei panni del paziente designato, possiamo capire quanto è profondo sentirsi il “problema” della famiglia. I modelli comportamentali di questi soggetti sono molto comuni: ritiro, quindi chiudersi in sé stessi oppure sviluppare sintomi che mirano ad attirare l’attenzione della famiglia. Si tratta di comportamenti non casuali ma sono risposte adattive al sistema famiglia disfunzionale. Ad esempio, un bambino potrebbe sviluppare l’ansia come modo per esprimere la tensione che permea la famiglia, oppure comportamenti violenti e rabbiosi nei confronti del mondo esterno. Emotivamente questi pazienti affrontano sfide significative poiché lottano con sentimenti di vergogna e inadeguatezza. Del resto il messaggio continuo che ricevono è quello di essere la fonte dei problemi della famiglia e più crescono e più acquisiscono una percezione distorta di sé e della propria identità in età adulta.
Molti pazienti designati sviluppano una forte sensibilità alle emozioni degli altri, diventano abili nel leggere il clima emotivo in famiglia e nel regolare il loro comportamento di conseguenza. Questa ipervigilanza gli permette di barcamenarsi all’interno delle disfunzionalità familiari ma a costo del loro benessere.

È importante considerare che in alcune famiglie il paziente designato può essere un membro diverso in momenti diversi, a seconda delle esigenze e delle dinamiche familiari. I genitori hanno un ruolo cruciale poiché potrebbero inconsciamente spingere un bambino ad assumere il ruolo di paziente designato per deviare l’attenzione dalle loro questioni coniugali. Ad esempio, una coppia sull’orlo del divorzio potrebbe essere iperfocalizzata sulla resa scolastica del proprio figlio, usandola come distrazione dei propri problemi.
Anche il rapporto con i fratelli viene spesso compromesso: potrebbero prendere le distanze dal paziente designato per evitare di essere associati a lui o ai suoi problemi, oppure potrebbero sopravvalutare, evidenziando ulteriormente carenze percepite del paziente e sviluppare nei suoi confronti una sorta di iperprotezione.
Questo tipo di dinamiche è spesso motivo di fratture presenti anche in età adulta.

Come detto, i modelli comunicativi all’interno di queste famiglie sono assenti, disfunzionali: non esiste una comunicazione diretta ed onesta, si basa tutto sul “non detto” e quando si parla, ci si focalizza sui problemi piuttosto che sulla loro risoluzione. Il paziente designato diventa un “comodo” argomento di conversazione, consentendo alla famiglia di evitare di discutere argomenti più scomodi.
Identificare ed affrontare una famiglia disfunzionale alle spalle di un paziente designato non è facile perché essa tende a nascondersi o a scappare. Per poter identificare una famiglia disfunzionale esistono strumenti di valutazione che tengono conto di numerose variabili, come il colloquio clinico e l’osservazione. È anche fondamentale considerare i fattori culturali nel processo di valutazione poiché essi possono influire sulle dinamiche disfunzionali spesso alimentandole.

L’obiettivo in presenza del paziente designato non è solo quello di riequilibrare l’individuo, ma di riassestare l’intero sistema familiare attraverso una terapia che coinvolga tutti e, nel caso sia necessario, ogni singolo componente dovrebbe seguire un proprio percorso. La terapia familiare permette di “riscrivere” le storie che i membri raccontano su sé stessi e sui propri problemi, ma soprattutto permette di comprendere che il problema non deve essere “legato” al singolo membro ma separato da esso. Solo così le famiglie possono trovare nuovi modi di relazionarsi tra loro e affrontare le loro sfide.
Allo stesso modo la terapia individuale ha un ruolo importante per il paziente designato perché gli fornisce uno spazio sicuro per elaborare le proprie esperienze di vita, sviluppare strategie di coping e lavorare sulla crescita personale. Il trattamento richiede tempi lunghi e non è un processo regolare. Le famiglie mettono in atto resistenze al cambiamento poiché le dinamiche che vivono, per quanto disfunzionali, possono servire ad uno scopo. Anche il paziente designato potrebbe lottare per rimanere nel proprio ruolo perché col tempo questo suo status è diventato parte della sua identità. La pazienza, la persistenza e una forte alleanza terapeutica sono fondamentali per navigare in queste sfide.

In conclusione, quando ci riferiamo al concetto di paziente designato non stiamo semplicemente parlando di un concetto clinico, ma ci riferiamo a qualcosa di più complesso legato ad una disordinata realtà della vita familiare, che rivela come le nostre relazioni più vicine possano ferirci più spesso di quanto immaginiamo.

© Dott. Pasquale Saviano
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La vita non è un copione già scritto.Non sei obbligato a recitare le stesse battute ogni giorno, se non ti appartengono ...
26/10/2025

La vita non è un copione già scritto.
Non sei obbligato a recitare le stesse battute ogni giorno, se non ti appartengono più.
Ogni scelta che fai è una frase nuova.
Ogni esperienza è un capitolo.
E se rileggi la tua storia e non ti convince, puoi sempre riscriverla.
Non avere paura di modificare la trama: cambiare non significa rinnegare ciò che sei stato,
significa avere il coraggio di diventare ciò che puoi essere.
La penna è tua.
E il finale è ancora tutto da scrivere.

Ho il piacere di invitarvi al mio canale WhatsApp di Psicologia 🌿 Il tuo spazio di crescita psicologica, ogni giorno.Sei...
25/10/2025

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