27/10/2025
IL PAZIENTE DESIGNATO: COLUI CHE SOFFRE PER TUTTI
Col termine ‘paziente designato’ si identifica quell’individuo che all’interno del contesto familiare assorbe i conflitti e il disagio dei membri, esprimendoli attraverso una sintomatologia propria. Si tratta di un processo inconscio che serve a mantenere illusoriamente l’equilibrio tra i componenti del sistema familiare e per distogliere l’attenzione da dinamiche disfunzionali più profonde. I pazienti identificati possono emergere da contesti familiari disfunzionali, abusivi, caotici nei quali la loro infanzia è stata piena di avversità, ma possono anche avere alle spalle famiglie apparentemente normali.
Il concetto di paziente designato (o paziente identificato) può essere fatto risalire a Gregory Bateson, il quale in un lavoro sull’omeostasi familiare (1972) usa il termine “paziente identificato” ad indicare un membro della famiglia come portatore di sintomi di malessere provenienti proprio dal sistema familiare e dagli altri membri.
Più tardi, nel 1975, il concetto fu ripreso dalla teoria sistemico-familiare e dai lavori di Mara Selvini Palazzoli ed altri. Il termine si usa nel campo della terapia familiare per indicare il “portatore di sintomi” di un sistema familiare, colui che a causa di una varietà di elementi legati a tale sistema esprime disagi irrisolti, emozioni non gestibili spesso disfunzionali al gruppo. Una visione interessante considera addirittura la possibilità che il paziente designato possa portare anche sintomi intergenerazionali, cioè legati a familiari che hanno preceduto la sua generazione (disagi irrisolti e sofferenze di nonni, bisnonni…).
Il paziente designato viene visto come il “problema” principale in famiglia e per questo motivo viene portato o spinto ad andare in terapia. I suoi sintomi vengono percepiti come la causa del malfunzionamento dell’assetto familiare. Un esempio classico è l’adolescente che viene portato in terapia perché ha comportamenti problematici: indagando, si scopre che la relazione tra i partner e tra genitori e figli è carente e che i problemi del paziente riflettono quelli irrisolti del sistema famiglia.
Quando un sistema familiare è emotivamente sano, forte, resiliente, se insorgono dei problemi possono essere risolti in modo funzionale. Ma quando non è abbastanza robusto da tollerare e metabolizzare i fattori e le situazioni di stress e sofferenza, è una sola persona a manifestare ansia e frustrazione, pur non essendo la causa di quei malesseri.
Scaricare su qualcuno che poco o nulla ha a che fare con il malessere interno, può portare benessere momentaneo ma indebolisce la relazione con quella persona, che comincerà a caricarsi di ciò che gli altri gli scaricano addosso. Se, infatti, uno dei membri innesca questo circolo vizioso, gli altri lo seguiranno a ruota.
Ma perché ciò accade?
È come un gioco di prestigio: concentrando tutta l’attenzione sul membro della famiglia “problematico”, il resto della famiglia può evitare di affrontare i propri problemi. Si tratta di una strategia inconscia per mantenere lo status quo, anche se è malsano.
Facciamo un altro esempio: immaginiamo una famiglia seduta a tavola durante la cena, la tensione è alta, si sta discutendo animatamente. All’improvviso il bambino più piccolo ha uno scoppio d’ira e urla. Tutti gli sguardi si rivolgono verso di lui e la discussione in atto viene dimenticata. Il bambino diventa così la valvola di sfogo della famiglia, allontanando l’attenzione dagli altri problemi della stessa. Un processo molto comune nelle famiglie con un paziente designato, in cui il capro espiatorio diventa il portatore di sintomi, manifestando lo stress collettivo della famiglia. Un peso enorme per un bambino che non riesce a capire perché egli viene visto come il “problema”.
Questo modello comportamentale appartiene ad una trasmissione intergenerazionale di modelli disfunzionali. Le famiglie tendono a ripetere i modelli comportamentali e relazionali attraverso le generazioni, come si fa con i cimeli di famiglia. Quindi il paziente designato potrebbe diventare il genitore successivo, perpetrando il ciclo.
Se ci mettiamo nei panni del paziente designato, possiamo capire quanto è profondo sentirsi il “problema” della famiglia. I modelli comportamentali di questi soggetti sono molto comuni: ritiro, quindi chiudersi in sé stessi oppure sviluppare sintomi che mirano ad attirare l’attenzione della famiglia. Si tratta di comportamenti non casuali ma sono risposte adattive al sistema famiglia disfunzionale. Ad esempio, un bambino potrebbe sviluppare l’ansia come modo per esprimere la tensione che permea la famiglia, oppure comportamenti violenti e rabbiosi nei confronti del mondo esterno. Emotivamente questi pazienti affrontano sfide significative poiché lottano con sentimenti di vergogna e inadeguatezza. Del resto il messaggio continuo che ricevono è quello di essere la fonte dei problemi della famiglia e più crescono e più acquisiscono una percezione distorta di sé e della propria identità in età adulta.
Molti pazienti designati sviluppano una forte sensibilità alle emozioni degli altri, diventano abili nel leggere il clima emotivo in famiglia e nel regolare il loro comportamento di conseguenza. Questa ipervigilanza gli permette di barcamenarsi all’interno delle disfunzionalità familiari ma a costo del loro benessere.
È importante considerare che in alcune famiglie il paziente designato può essere un membro diverso in momenti diversi, a seconda delle esigenze e delle dinamiche familiari. I genitori hanno un ruolo cruciale poiché potrebbero inconsciamente spingere un bambino ad assumere il ruolo di paziente designato per deviare l’attenzione dalle loro questioni coniugali. Ad esempio, una coppia sull’orlo del divorzio potrebbe essere iperfocalizzata sulla resa scolastica del proprio figlio, usandola come distrazione dei propri problemi.
Anche il rapporto con i fratelli viene spesso compromesso: potrebbero prendere le distanze dal paziente designato per evitare di essere associati a lui o ai suoi problemi, oppure potrebbero sopravvalutare, evidenziando ulteriormente carenze percepite del paziente e sviluppare nei suoi confronti una sorta di iperprotezione.
Questo tipo di dinamiche è spesso motivo di fratture presenti anche in età adulta.
Come detto, i modelli comunicativi all’interno di queste famiglie sono assenti, disfunzionali: non esiste una comunicazione diretta ed onesta, si basa tutto sul “non detto” e quando si parla, ci si focalizza sui problemi piuttosto che sulla loro risoluzione. Il paziente designato diventa un “comodo” argomento di conversazione, consentendo alla famiglia di evitare di discutere argomenti più scomodi.
Identificare ed affrontare una famiglia disfunzionale alle spalle di un paziente designato non è facile perché essa tende a nascondersi o a scappare. Per poter identificare una famiglia disfunzionale esistono strumenti di valutazione che tengono conto di numerose variabili, come il colloquio clinico e l’osservazione. È anche fondamentale considerare i fattori culturali nel processo di valutazione poiché essi possono influire sulle dinamiche disfunzionali spesso alimentandole.
L’obiettivo in presenza del paziente designato non è solo quello di riequilibrare l’individuo, ma di riassestare l’intero sistema familiare attraverso una terapia che coinvolga tutti e, nel caso sia necessario, ogni singolo componente dovrebbe seguire un proprio percorso. La terapia familiare permette di “riscrivere” le storie che i membri raccontano su sé stessi e sui propri problemi, ma soprattutto permette di comprendere che il problema non deve essere “legato” al singolo membro ma separato da esso. Solo così le famiglie possono trovare nuovi modi di relazionarsi tra loro e affrontare le loro sfide.
Allo stesso modo la terapia individuale ha un ruolo importante per il paziente designato perché gli fornisce uno spazio sicuro per elaborare le proprie esperienze di vita, sviluppare strategie di coping e lavorare sulla crescita personale. Il trattamento richiede tempi lunghi e non è un processo regolare. Le famiglie mettono in atto resistenze al cambiamento poiché le dinamiche che vivono, per quanto disfunzionali, possono servire ad uno scopo. Anche il paziente designato potrebbe lottare per rimanere nel proprio ruolo perché col tempo questo suo status è diventato parte della sua identità. La pazienza, la persistenza e una forte alleanza terapeutica sono fondamentali per navigare in queste sfide.
In conclusione, quando ci riferiamo al concetto di paziente designato non stiamo semplicemente parlando di un concetto clinico, ma ci riferiamo a qualcosa di più complesso legato ad una disordinata realtà della vita familiare, che rivela come le nostre relazioni più vicine possano ferirci più spesso di quanto immaginiamo.
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta