APP Associazione di Psicoterapia Psicoanalitica

APP Associazione di Psicoterapia Psicoanalitica Informazioni di contatto, mappa e indicazioni stradali, modulo di contatto, orari di apertura, servizi, valutazioni, foto, video e annunci di APP Associazione di Psicoterapia Psicoanalitica, Sal. Montagnola dei Servi 31/5, Genova.

L'APP è un'associazione professionale tra psicoterapeuti ad orientamento psicoanalitico, che offre servizi alla persona, avendo come obiettivo quello di promuovere il benessere emotivo di ciascun individuo nel totale rispetto della sua soggettività.

26/03/2020

L’arrivo del COVID 19 ha rivoluzionato le nostre abitudini, la quotidianità e ha costretto a un’inevitabile ristrutturazione all’interno delle famiglie.
Nella normalità spesso ci si saluta la mattina correndo dietro ai vari impegni e ci si rivede la sera, stanchi per condividere quelle poche ore che precedono il sonno. Questo riguarda anche i bambini che rimbalzano tra la scuola e i loro a volte troppi impegni.
Il Coronavirus ha detto stop.
Come madre di bambini che frequentano la scuola materna, vengo giornalmente sommersa attraverso le chat delle mamme delle varie sezioni, di lavoretti inviati dalle maestre, maestre che mandano messaggi con voce accorata, che leggono persino la favola della buonanotte, addirittura sono stati proposti “incontri video programmati con gli alunni”.
Se come madre rimango allibita, come professionista sento la necessità di riflettere su quanto sta accadendo, di confrontarmi con colleghi che quotidianamente lavorano con l’infanzia ed il dovere etico di divulgare alcune informazioni.
L’impressione è che sia accaduto tutto talmente in fretta che non c’è stato il tempo per preparare le scuole a rispondere adeguatamente a genitori bisognosi.
Riflettiamo: in questo momento i bambini sono a casa con mamma e papà, salvo casi particolari in cui il virus ha colpito direttamente la famiglia, per loro è la situazione ideale. Diverso sarebbe se fossero adolescenti, in quanto, in quella fase della vita, il gruppo dei pari, gli amici assumono un ruolo di primaria importanza e, quindi, separarsene è sicuramente più faticoso, anche se i ragazzi di oggi, i cosiddetti “nativi digitali”, sono molto abili nell’usare la tecnologia per sopperire alla distanza. I bambini dai tre ai sei anni, pur avendo amici con cui si divertono, ripongono ancora in mamma e papà tutto il loro mondo; basti pensare come a volte facciano fatica a rientrare all’asilo dopo le vacanze di Natale.
Il bisogno di un ausilio esterno non è dei bambini, ma degli adulti. In un momento difficile, carico di incertezze sembra che i genitori, in modo ovviamente del tutto inconsapevole, proiettino sui propri figli le loro difficoltà e, quindi, nel sincero desiderio di prendersene cura, si attivino a chiedere aiuto per i bambini. La noia spaventa l’adulto che sente la necessità di “intrattenere” il figlio e si percepisce privo di strumenti. Si dimentica, però, che è nella noia che si impara a intrattenere un dialogo con se stessi, a rivolgersi al proprio mondo interno e a sviluppare la creatività. La noia non è uno stato da cui salvare i propri figli, ma un’opportunità che gli va concessa. Inoltre, i bambini non sono privi di risorse, ma trovano nel gioco spontaneo uno strumento di rassicurazione e di crescita. L’adulto dovrebbe porsi in una posizione di ascolto silenzioso, di rispetto dei tempi del bambino, di vicinanza emotiva senza saturare con proposte.
Lo stesso vale per il discorso inerente a ciò che sta accadendo. Dopo aver detto loro che c’è una br**ta influenza e che, quindi, bisogna stare a casa per non prendersela tutti insieme e dare tempo ai medici di curare le persone, se il bambino non chiede non è il caso di continuare a raccontargli la storia del Coronavirus. Quando sono pronti i bambini chiedono e, a quel punto, gli si può dire loro, con parole proporzionate all’età, la verità; questo vale per quando iniziano a interrogarsi sulla morte (“anch’io morirò”), quando chiedono come nascono i bambini e anche per il Covid 19.
Se l’adulto è tranquillo, il bambino è tranquillo.
Cosa fare dunque?
Come il buon genitore davanti alla domanda “cosa faccio oggi?” non dovrebbe rispondere concretamente, ma stimolare la ricerca nel bambino interrogando la sua domanda (“cosa avresti voglia di fare?”) e accompagnandolo in un processo di riflessione, così la scuola non dovrebbe rispondere concretamente a questi genitori che chiedono di sostituirsi a loro e persino ai bambini stessi, ma sostenerli. La domanda di aiuto è dei genitori non dei bambini. Potrebbe forse essere più utile offrire uno spazio di ascolto agli adulti che lo richiedono.

Marta Strata, una collega psicomotricista ha espresso bene in una simpatica vignetta quello che sta accadendo, la scrivo di seguito per concludere le mie osservazioni nella speranza che possano aver suscitato una riflessione.
Due bambini al telefono:
P: - Ciao Luca, come stai?
L: - Insomma...oggi ho già fatto muffin biologici ai mirtilli, un’ora di percorso ginnico tra i bicchieri di carta, raccolto e etichettato le foglie del terrazzo, ascoltato la favola letta dalla maestra e un’ora di laboratorio online di acquarello steineriano...sono sfinito! per fortuna ora mia madre ha la diretta streaming di meditazione e io posso giocare!
P: - Eh, ti capisco, cosa non si fa per tenerli tranquilli!

Marina Spinolo

16/10/2013
20/03/2013

Un'antica massima del procedimento analitico dice:
"L'analista è lo specchio dell'inconscio del paziente, il paziente deve arrivare a parlare di ciò che lo muove e l'analista non deve essere mosso da ciò che gli viene in mente"

13/03/2013

“Essere genitore” è un mestiere difficile e fortunatamente mai perfetto, che non si può insegnare e che porta spesso ad affrontare momenti di difficoltà, vissuti di inadeguatezza. Riteniamo di fon...

25/02/2013

Gestione del conflitto E' un percorso di negoziazione in cui gli attori coinvolti vengono aiutati a comunicare in modo efficace allo scopo di trovare ciascuno, nel più breve tempo possibile, soluz...

25/02/2013

“Il conflitto è quella situazione
che si determina tutte le volte
che su un individuo agiscono
contemporaneamente due forze psichiche
di intensità più o meno uguale,
ma di opposta direzione”.
Kurt Levin

24/02/2013

Il pensiero analitico è dialettico, non segue il principio di prestazione che nella nostra società è considerato una guida verso il successo, ma include in sé delle contraddizioni e riconosce che non si tratta di superarle o eliminarle. Si tratta di ampliare il proprio vissuto, acquistando una maggiore flessibilità ed elasticità nella valutazione della propria conflittualità e comprendere diversamente ciò che prima sembrava definito e assoluto.

22/02/2013

"Se un individuo è capace di amare positivamente, ama anche sé stesso, se può amare solo gli altri, non può amare affatto."
Erich Fromm "L'Arte di amare"

LA DIPENDENZA

Una premessa è d’obbligo quando si parla di dipendenza affettiva: ognuno di noi è dipendente in qualche misura dagli altri, tutti noi abbiamo bisogno di approvazione, empatia, di conferme e ammirazione da parte degli altri, per sostenerci e per regolare la nostra autostima.

La vera indipendenza non è né possibile né auspicabile. Ma la dipendenza affettiva può raggiungere una forma così estrema da diventare patologica.

In questi casi la persona non è in grado di prendere delle decisioni da sola, ha un comportamento sottomesso verso gli altri, ha sempre bisogno di rassicurazioni e non è in grado di funzionare bene senza qualcun altro che si prenda cura di lei (G. O. Gabbard, 1995).

Le persone dipendenti sono schive e inibite, quando sono sole si sentono indifese: vivono nel terrore di essere abbandonate e sono letteralmente sconvolte quando un rapporto stretto finisce.
Sbilanciano la relazione trattando l'altro come se ne avessero un bisogno vitale e come se dovessero meritare il suo amore, il rispetto, l'attenzione.

Cos’è la dipendenza affettiva?

La dipendenza affettiva e' una condizione relazionale negativa che e' caratterizzata da una assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia, che tende a stressare e a creare nei “donatori d’amore a senso unico” malessere psicologico o fisico piuttosto che benessere e serenità.

Tale condizione, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere interrotta per ricercare un nuovo stato di serenità. Qualora ciò risulti impossibile si e' soliti parlare di “dipendenza affettiva”.

Quali sono le caratteristiche delle persone con una dipendenza affettiva dal partner?

- Una prima caratteristica della dipendenza affettiva e' la difficoltà a riconoscere i propri bisogni e la tendenza a subordinarli ai bisogni dell’altro.

L’amare l’altro diventa spesso una forma di sofferenza; il benessere emotivo, a volte anche la salute e la sicurezza, vengono messi a repentaglio per il benessere dell’altro.

Troppa energia vitale e' impiegata nell’amare o nel ricevere amore e approvazione, poca ne rimane per attività autodeterminate, rivolte al raggiungimento di obiettivi precisi.

Le persone con difficoltà affettiva non riescono a prendersi cura di sé, a creare degli spazi per la propria crescita personale perché sempre prese, in quel momento, da qualche problema del partner che richiede la loro attenzione e la loro energia vitale.

- La seconda caratteristica è un atteggiamento negativo verso il Sé, per cui si ha un pensiero del tipo: “io sono cattivo, gli altri sono buoni, mi trattano male per colpa mia, devo cercare di accattivarmeli” (M. Selvini Palazzoni, S. Cirillo, M. Selvini, A. M. Sorrentino, 1998).

Queste persone soffrono di un profondo senso di inadeguatezza.

Sono convinte che per essere amate devono sempre essere diligenti, amabili, sacrificarsi per l’altro per poter ricevere il suo amore. Anche quando questo vuol dire farsi male.

- Un’altra caratteristica che accomuna tutti i rapporti dei dipendenti da amore è la paura di cambiare. Pieni di timore per ogni cambiamento, essi impediscono lo sviluppo delle capacità individuali e soffocano ogni desiderio e ogni interesse.

Chi soffre di dipendenza affettiva è ossessionato da bisogni irrealizzabili e da aspettative non realistiche.

Queste persone ritengono che occupandosi sempre dell'altro la loro relazione diventi stabile e duratura.

Ma, immancabilmente, le situazioni di delusione e risentimento che si possono verificare li precipitano nella paura che il rapporto non possa essere stabile e duraturo, ed il circolo vizioso riparte, a volte addirittura "amplificato". Non ci si rende conto che l’amore richiede onestà e integrità personale perché l’amore e' un accrescimento reciproco, uno scambio reciproco tra persone che si amano.

Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipendenza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore.

- Spesso, anche se non sempre e necessariamente, la persona amata e' irraggiungibile per colui o colei che ne dipende.
In questi casi si può affermare che la dipendenza affettiva si fonda sul rifiuto, anzi, se non ci fosse, paradossalmente, il presunto amore non durerebbe. Infatti, la dipendenza si alimenta dal rifiuto, dalla negazione di Sè, dal dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro risolvibilità.

Quello che incatena nella dipendenza affettiva e' l’ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela.
La presunzione di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarci o di amarci nel modo in cui noi pretendiamo.

Alcuni aspetti importanti di questa condizione mentale sono:

1) la dimensione del controllo, che in questo caso diventa “perdita di controllo o incapacità a controllare un nostro comportamento” ("mi ha offeso, ma non riesco a non ricercarlo/a")

2) la conseguente sensazione di impotenza sperimentata nel constatare che non abbiamo potere sulle nostre azioni

3) l’abitudine che alimenta e rafforza il comportamento disadattivo.

La dipendenza affettiva, definita anche “love addiction”, quindi, implica le dinamiche psicologiche riscontrabili nelle varie forme di dipendenza patologica, ma all’interno di una relazione con una persona significativa e non con una sostanza o con una cosa come nel caso della tossicodipendenza, dell'alcolismo, della dipendenza da internet, dal gioco etc....
Proprio questa peculiarità, ovvero riferirsi alla relazione con un altro essere umano, rende difficile riconoscere questo comportamento come problematico, spesso giustificato o confuso con l'amore.

Due caratteristiche epidemiologiche importanti della dipendenza affettiva sono:

l’alta incidenza nella popolazione femminile, al punto da stimare che il fenomeno sia al 99% diffuso in questa fetta della popolazione (Miller, 1994) in molti paesi del mondo;
la tendenza ad associarsi a disturbi post-traumatici da stress, per cui in genere questa forma di dipendenza si osserva in persone che hanno anche vissuto abusi o maltrattamenti, un aspetto che fa pensare che siano stati tali eventi a far sviluppare forme affettive dipendenti.

DIPENDENZA AFFETTIVA E ASSENZA DI RECIPROCITÀ

Nella dipendenza affettiva, il partner dipendente si annulla completamente per l’altro la cui esistenza, presenza e vicinanza diventa sostanziale al proprio benessere, alla percezione di essere vivi e utili.

Per tali motivi la persona dipendente si immola per l’altro, dedicandogli tutto se stesso, disconoscendo i propri bisogni evolutivi, consapevole di vivere all’interno di un rapporto in cui non esiste reciprocità, in una relazione squilibrata rispetto al “dare” e al “ricevere”, in cui l’altro può permettersi anche un atteggiamento parassitario o opportunistico, più o meno volontario, spesso consapevole del fatto che il suo partner dipendente non si distanzierà mai affettivamente da lui, anzi, paradossalmente, più massicce sono le richieste, più si rafforza la dimensione della dipendenza.

Accade con una certa frequenza che i due partners non siano per niente affini sentimentalmente, culturalmente, che non condividano progetti, interessi. Le priorità dell’uno a volte non corrispondono a quelle dell’altro, così come non coincidono le aspettative, i bisogni. La relazione può essere per entrambi poco gratificante, autodistruttiva e umiliante ma, nonostante la consapevolezza della scarsa qualità del rapporto, non si riesce a distaccarsi.

LA RELAZIONE D’AIUTO E IL RUOLO DI SALVATORE

Questo meccanismo relazionale spesso presuppone che il partner verso cui si prova quasi devozione e completa sottomissione, venga percepito dalla persona dipendente come una sorta di “salvatore”, la cui vicinanza va a colmare un “vuoto esistenziale e affettivo” che, senza di lui, non si intravede la possibilità di riempire ("la mia vita non avrebbe senso senza di lui/lei").

In realtà questa forma distorta di aiuto è attuata anche dal dipendente affettivo che, frequentemente, sceglie un partner problematico, a sua volta legato a qualche altra forma di dipendenza (da droga, alcool, sesso, gioco…) e, proprio per questo motivo, crede di poterlo salvare, quasi fosse una missione. Il suo ruolo di redentore giustificherebbe l’attitudine sacrificale ad omettere le proprie esigenze, in una specie di martirio quotidiano.

LA CO-DIPENDENZA AFFETTIVA

Una variante di questa situazione è la co-dipendenza affettiva che presuppone che entrambi i partners mostrino dipendenza affettiva l’uno nei confronti dell’altro arrivando ad instaurare una dimensione relazionale basata sul controllo costante dello stato psichico dell’altro, come unica possibilità di dimostrare il proprio valore, la propria forza e alimentare la propria autostima.

Alcune caratteristiche tipiche di questa forma di dipendenza affettiva sono la dispersione o diffusione dell’identità, le sensazioni e vissuti di vuoto cronico, gli impulsi e compulsioni e le distorsioni nelle distanze interpersonali.

Cermak (1986) individua quattro criteri su cui poter diagnosticare una co-dipendenza:

1. Tendenza ad investire continuamente la propria autostima nel controllo di sé e degli altri, benché vengano sperimentate conseguenze negative;

2. Assunzione della responsabilità altrui pur di soddisfare i bisogni del partner, fino a disconoscere i propri;

3. Presenza di stati d’ansia e mancata percezione dei confini tra sé e l’altro in situazioni di intimità e di separazione;

4. Abituale coinvolgimento in relazioni con persone che presentano disturbi di personalità, dipendenze, disturbi del controllo degli impulsi o co-dipendenti.

Spesso questa patologia della relazione contribuisce al mantenimento del sintomo del partner che presenta il disturbo specifico (tossicodipendenza, un disturbo alimentare come ad esempio anoressia, bulimia e binge-eating disorder o disturbo da alimentazione incontrollata….).

DIPENDENZA AFFETTIVA E PAURA

La paura è l’emozione dominante in questa forma di dipendenza e guida la maggior parte dei comportamenti inconsulti messi in atto. La persona dipendente vive quotidianamente sotto scacco di vari tipi di paura:


1) La paura della separazione e dell’abbandono

Per farsi ben volere è disposta a fare cose spiacevoli e degradanti e, pur di stare nell’orbita dell’altro, può accettare situazioni per chiunque intollerabili (Lingiardi V., 2005), bastonando costantemente la propria dignità e la propria autostima.

Poiché è inconcepibile pensare alla propria vita senza l’altro, il dipendente fa di tutto per evitare che l’altro sfugga ma, inevitabilmente, provoca il rifiuto di quest’ultimo. Questo rifiuto alimenta ulteriormente il senso di inadeguatezza, la paura dell’abbandono e della solitudine.

Queste sensazioni insopportabili rinforzano a loro volta l’attitudine a calpestare i propri bisogni, i propri spazi. Spesso il partner dipendente vive seguendo l’aspettativa irrealistica che prima o poi perseguirà il suo obiettivo di “farsi amare esattamente come vuole essere amato” e che “il compagno/a non potrà non innamorarsi di lui/lei”.

2) La paura del cambiamento

Non è raro che gli individui affettivamente dipendenti ristagnino per lungo tempo all’interno di queste sabbie mobili relazionali, senza progettualità, senza evolversi, crescendo molto lentamente e il minimo indispensabile perché ogni cambiamento diventa un ulteriore elemento che può sfuggire al proprio controllo, proprio come fa la persona amata.

La percezione che la propria vita si sia fermata è molto forte e frustrante e, proprio questa consapevolezza, contribuisce a fare in modo di “non lasciare la presa”, di perseverare nell’intento di farsi amare da una persona su cui hanno investito a lungo energie e speranze, smettendo di vivere e soffocando le iniziative rivolte al proprio benessere.

I vissuti emotivi dei dipendenti affettivi infatti alternano sentimenti di rabbia e rimorso a vergogna e colpa anche perché, spesso, si mostrano per quelli che non sono, rinunciando ad aspetti sostanziali della propria identità per assumere maschere che hanno il solo scopo di compiacere l’amato. Anche per questi motivi sovente sono gelosi e possessivi.

Più si impegnano a trattenere l’altro a sé e si immolano alla causa, più la posta in gioco diventa alta ed è impensabile tornare indietro o abbandonare tutto.

DIPENDENZA AFFETTIVA E OSSESSIONE

Il pensiero dell’altro avvolge interamente la vita del dipendente affettivo che, in preda a questo pensiero intrusivo e dominante, non riesce a ritagliarsi spazi mentali e fisici personali di cui godere.

Spesso il bisogno di controllare in modo ossessivo la relazione e il partner viene nascosto dietro un’apparente tendenza all’aiuto dell’altro.

Egli vive interamente all’ombra dell’altro, pronto a servirlo, a correre in suo aiuto, ad accontentarlo, tutte attività che assorbono tempo ed energia e non consentono di investire su se stessi. La “dose” di presenza e di tempo (per usare un termine di Giddens) che l’altro può concedere non basta mai, quasi fosse una sostanza da cui è difficile disintossicarsi.

Quando la persona dipendente arriva alla saturazione e tenta la rottura, spesso in modo drammatico e tragico, il pensiero va subito sul partner appena lasciato e il ricordo dell’amato diventa ancora più opprimente di quanto lo fosse prima della separazione e allora, non riuscendo a sostenere il dolore della perdita e l’idea soverchiante che l’altro è lontano, la persona dipendente ritorna immediatamente sui propri passi, pronta a concedersi ed umiliarsi ancora di più per paura che l’altro, offeso dal gesto di rottura, non voglia più saperne.

Ogni tentativo di uscire dal rapporto, viene immediatamente seguito da un subitaneo pentimento e ogni ripensamento è accompagnato da vergogna e colpa.

DIPENDENZA AFFETTIVA E STORIA FAMILIARE

Alcune ricerche hanno evidenziato una correlazione tra l’insorgere di un comportamento di dipendenza affettiva in età adulta e alcune dinamiche familiari vissute durante l’infanzia.

Spesso le famiglie di queste persone presentano delle caratteristiche particolari:

1)impossibilità, da parte del bambino, di sperimentare il senso di sicurezza rispetto alla figura affettiva di riferimento

2)tendenza ad assumere con il partner lo stesso ruolo assunto durante l’infanzia con il genitore di riferimento, nella speranza questa volta di ottenere quelle risposte di reciprocità non avute in passato

3)provenienza da una famiglia che tendeva a trascurare i bisogni emotivi ed affettivi dei suoi componenti

4)provenienza da una famiglia che tende ad ignorare le percezioni e i sentimenti del bambino che, di conseguenza, comincia ad adattare le proprie percezioni a quelle delle figure genitoriali, perdendo la capacità di entrare in contatto con i propri stati d’animo autentici e la fiducia nelle proprie sensazioni. Rischia così di non saper riconoscere quali situazioni affettive possano arrecare danno e quali invece no

5)ambiguità nel comportamento dei genitori che possono aver sedotto o abusato dei minori

6) alto livello di conflittualità, tensione e violenza tra i genitori o tra questi e i figli

7) genitori a loro volta dipendenti da sostanze

8) genitori in competizione tra loro, manipolatori nei confronti del bambino con cui cercano di coalizzarsi a discapito del coniuge

9)un’esposizione nell’ambiente familiare a regole oppressive che sono state in grado di coartare un’aperta espressione dei sentimenti da parte del bambino.



DIPENDENZA AFFETTIVA E SINTOMI SECONDARI

Capita a volte che le persone dipendenti affettivamente, in particolare nei casi di co-dipendenza nella coppia, manifestino alcuni sintomi connessi alla loro modalità relazionale disadattiva, come per esempio:

- Depressione

- Disturbi dell’alimentazione

- Insonnia

- Abuso di sostanze

- Disturbi d’ansia

- Sintomi riconducibili ad uno stato psicofisico di stress.


USCIRE DALLA DIPENDENZA AFFETTIVA

Uscire dalla dipendenza, per quanto difficile e doloroso, non è comunque impossibile. I percorsi terapeutici indicati consistono o nella terapia individuale o nella terapia di coppia.

Nel caso in cui entrambi i membri della coppia avvertano un disagio nella relazione e siano motivati a cercare una soluzione alla propria sofferenza, una terapia di coppia, ovvero un percorso terapeutico che li coinvolga entrambi, può risultare molto valido, oltre che per riflettere sulle premesse su cui si fonda il loro legame, anche per ricontrattare e negoziare alcune regole fondamentali dello stare insieme o elaborare alcune nuove modalità di rintracciare il proprio benessere personale con o senza l’altro.

Una psicoterapia individuale può aiutare la persona a trovare dei modi più rispettosi e dignitosi di relazionarsi a se stesso e alle figure affettive significative, al fine soprattutto di evitare di ripetere le stesse dinamiche nelle relazioni in corso o in quelle future.

Dove siamo
22/02/2013

Dove siamo

Indirizzo

Sal. Montagnola Dei Servi 31/5
Genova
16128

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando APP Associazione di Psicoterapia Psicoanalitica pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta Lo Studio

Invia un messaggio a APP Associazione di Psicoterapia Psicoanalitica:

Condividi

Share on Facebook Share on Twitter Share on LinkedIn
Share on Pinterest Share on Reddit Share via Email
Share on WhatsApp Share on Instagram Share on Telegram