11/11/2025
Cambiare non è mai solo una decisione.
È un attraversamento.
È lasciare andare una parte di noi che, anche se ci fa male, ci è familiare.
Perché il conosciuto, per quanto scomodo, ha un odore rassicurante.
È la nostra tana, il nostro rifugio.
Quando iniziamo un percorso di cambiamento (in terapia, nella vita, nelle relazioni) immaginiamo che sia un cammino verso il meglio.
Ma la verità è che, almeno all’inizio, sembra un viaggio al contrario.
Tutto si muove, tutto traballa.
Ci accorgiamo che le certezze su cui stavamo in piedi non reggono più.
E allora vorremmo tornare indietro, nel posto da cui siamo partiti, dove almeno sapevamo come sopravvivere.
Perché cambiare significa rinunciare a una parte della nostra identità, anche se quella parte ci ha fatto soffrire.
È dire addio a schemi, abitudini, ruoli che ci hanno protetto.
È smettere di essere chi siamo stati per provare a diventare chi potremmo essere.
E in mezzo c’è il vuoto.
Quel vuoto che spaventa, perché non siamo più ciò che eravamo, ma non siamo ancora ciò che saremo.
È lì che molti si fermano.
Perché il cambiamento non ha subito il volto luminoso della libertà.
All’inizio ha il volto incerto della perdita.
Eppure è proprio dentro quel disorientamento che la trasformazione accade.
In terapia si impara che non si cambia perché qualcosa fuori di noi ci convince, ma perché, a un certo punto, qualcosa dentro di noi smette di voler restare ferma.
Una voce sottile che dice: “Non posso più far finta di niente.”
È quella voce che apre la strada, anche se tremiamo.
E allora, sì, cambiare fa male.
Fa male perché significa accorgersi.
Fa male perché significa crescere.
Ma ogni volta che scegliamo di stare dentro quel dolore senza scappare, stiamo costruendo una forma nuova di noi.
Il cambiamento non è una conquista da raggiungere, ma un processo da attraversare.
E non serve farlo in fretta.
Serve solo restare.
Restare presenti, anche quando non sappiamo più chi siamo.
Perché, passo dopo passo, quel vuoto inizia a riempirsi di vita nuova.
E ci accorgiamo che, in fondo, cambiare non era perdere qualcosa.
Era solo tornare a casa.