09/10/2025
Ieri è stato approvato al Senato il disegno di legge sulle “Disposizioni in favore degli alunni e degli studenti ad alto potenziale cognitivo e delega al Governo per il riconoscimento dei medesimi”.
Vorrei richiamare un mio post di agosto 2025 (di soli 2 mesi fa)
Scrivere di plusdotazione mi fa male e, insieme, mi spinge a farlo.
Fa male perché i numeri dicono che nelle nostre classi non sono pochi: dal 3 al 5% degli studenti potrebbe rientrare nell’alto potenziale cognitivo (si parla di APC). Eppure troppo spesso non li vediamo. Oppure, quando arriva una relazione, ci illudiamo che “se la caveranno da soli”. Non è così.
Devo scrivere questo post perché troppo spesso mi sento dire: "non ho gli strumenti", "Non so dove trovare una formazione adeguata".
In questi anni — da docente, dirigente scolastico ed educatore — ho incontrato famiglie che, dopo la relazione di alto potenziale cognitivo, non si sono certo ritrovati nello stereotipico del “mio figlio è Einstein”, ma percorsi tortuosi: bambini e bambine che leggono il mondo in modo diverso, potentissimo, e insieme portano fragilità emotive grandi come montagne.
Anna a 5 anni chiede: "Perché le persone muoiono? e quando muoiono le loro molecole vanno nelle stelle?"
Parla di morte e di anima di Big Bang.
Talvolta c’è anche la doppia eccezionalità: talento e DSA/ADHD o neuro divergenze.
E lì l’errore è dietro l’angolo: o si vede solo il talento, o solo la difficoltà.
Una precisazione importante: un quoziente intellettivo elevato può essere un punto di partenza, non l’etichetta che dice tutto. Molti ragazzi ad alto potenziale mostrano una asincronia tra testa, “mani” e cuore: pensiero astratto molto avanti, funzioni esecutive (pianificazione, priorità, gestione del tempo) ancora acerbe, sviluppo emotivo non sempre allineato. Capita che imparino a leggere prima della scuola, che si facciano domande grandissime troppo presto, e insieme fatichino a tollerare frustrazione e attesa.
Il loro pensiero è spesso divergente o “ramificato”: partono da un’idea e in un attimo ne generano dieci; non sempre è semplice selezionare ciò che conta. Alcuni ragionano in modo sequenziale e arrivano lenti ma solidi; altri sono intuitivi e fanno centro senza saper “spiegare come”. Non di rado coltivano interessi verticali e creano giochi o prodotti originali che i pari non capiscono subito. Emozioni sentite forte, discussione delle regole se non ne colgono il senso, perfezionismo che può trasformarsi in lentezza o ansia da prestazione. E c’è anche una risorsa spesso sottovalutata: un senso dell’umorismo finissimo, che aiuta a reggere la complessità.
Alcuni tendono a nascondersi, a "normalizzarsi" per apparire inosservati.
Una buona notizia c’è: il disegno di legge nazionale, nella direzione giusta, riconosce formalmente l’alto potenziale, prevede PDP dedicati, un referente d’istituto e formazione per i docenti. Ad alcuni non piace, altri non vedevano l'ora. Io dico che il percorso inizia ora.
Non basterà una norma a cambiare tutto, ma è un passo atteso.
Allora che cosa può fare la scuola, da subito?
Osservare e valutare bene: non solo test, ma storia scolastica, motivazione, profilo emotivo ed esecutivo.
Compattare il curricolo dove la base è già solida e alzare l’asticella con problemi autentici, project work, ricerca.
Allenare le funzioni esecutive: priorità, pianificazione, gestione dell’errore e dell’attesa.
Costruire gruppi di pari e, quando ha senso, accelerazioni flessibili per disciplina o moduli.
Lavorare sulle competenze emotive: perfezionismo, ansia, regolazione nei conflitti e nel “perdere”.
Coltivare interessi e creatività anche fuori dall’aula: laboratori, mentoring, campus, accordi con enti e atenei.
Poi, direi FONDAMENTALE:
Collaborare con le famiglie: non per inseguire il voto più alto, ma per allargare lo spazio di crescita.
E soprattutto smontare gli stereotipi:
Frasi come “se la cavano da soli”, “alto QI = bravo in tutto”, “accelerare fa male” fanno male e sono errate.
Ogni talento ha bisogno di maestri e di misura.
La differenza la fanno le domande che mettiamo davanti a questi ragazzi:
non “quanto sei andato veloce?”, ma “quanto lontano ti ho lasciato pensare?”.
Da dirigente, credo che il nostro compito non sia creare corsie preferenziali, ma aprire strade: perché nessuno si perda, e perché chi può correre trovi il passo giusto.
La plus-dotazione non è un podio: è una traiettoria. Il nostro lavoro è far sì che diventi una risorsa, a scuola e fuori.
Mi piacerebbe aprire uno spazio di riflessione.
Ho bisogno anche io di crescere e di capire e di formarmi (e più leggo e più ascolto storie e più mi rendo conto che devo continuare a formarmi) e credo lo dobbiamo prima di tutto ai nostri alunni.
(Il bellissimo disegno è di Silvia Pinzauti)