27/10/2025
Ridevano di lui.
Lo chiamavano pazzo, lo accusavano di dire assurdità.
Ma Ignaz Semmelweis non si lasciava zittire: sotto quelle mani sporche, lui vedeva la morte. E voleva fermarla.
Nato a Budapest nel 1818, Semmelweis lavorava come medico a Vienna, nel cuore dell’Ottocento. Ogni giorno assisteva a una tragedia silenziosa: donne che entravano in ospedale sane per partorire e, nel giro di poche ore, morivano di febbre puerperale. Una su tre. Troppe.
Semmelweis cominciò a osservare, a mettere insieme i pezzi. Notò che le pazienti curate dalle ostetriche sopravvivevano più spesso di quelle visitate dai medici. C’era una differenza, un dettaglio che nessuno voleva vedere.
I medici, prima di entrare in reparto, eseguivano autopsie. Poi, senza lavarsi le mani, toccavano le partorienti. E con loro, la morte.
Semmelweis capì che la febbre puerperale non era una punizione del cielo, ma una contaminazione che viaggiava sulle dita.
E così impose una regola semplice e rivoluzionaria: lavarsi le mani con una soluzione di cloruro di calcio. Il risultato fu immediato. Le morti crollarono. In poche settimane, la febbre sembrava sconfitta.
Aveva trovato la chiave per salvare migliaia di vite. Ma il mondo della medicina non era pronto ad accettare quella verità scomoda: che i dottori stessi potessero essere la causa del male.
Lo isolarono, lo derisero, lo umiliarono. Alla fine, lo rinchiusero in un manicomio. Morì a 47 anni, solo, dimenticato, marchiato come f***e.
Solo decenni dopo, la scoperta dei batteri confermò ogni sua intuizione.
Oggi, ogni sala operatoria, ogni ospedale, ogni chirurgo che si lava le mani prima di salvare una vita, onora — anche senza saperlo — il coraggio di Semmelweis.
Lui non voleva fama.
Voleva solo che le madri smettessero di morire.
E ci riuscì. A costo della propria vita.
Perché a volte la verità non fa rumore.
Cammina in punta di piedi, tra l’indifferenza e la derisione,
ma lascia tracce indelebili.
Come il suono dell’acqua sulle mani.