20/12/2025
FORIO TORNA FARO DELLA CULTURA ISOLANA
Enorme successo di partecipazione e critica per l’evento che ha presentato i due nuovi libri di Andrea Esposito (TRENTA) e di Umberto Lucio Amore (INPERFETTO).
E’ stata una serata indimenticabile quella di giovedi scorso, presso la sala inferiore del complesso Zi Carmela di Forio, della famiglia Elia alla quale va il ringraziamento commosso degli organizzatori della associazione culturale “Incontrarte”. Centinaia di persone presenti, partecipative, interessate, un pubblico numeroso come non si vedeva da tempo ad una presentazione letteraria, a testimonianza e conferma del fatto che Forio è tornata a pieno titolo faro della cultura isolana. Apre l’evento il saluto del Sindaco e della amministrazione comunale. Stani Verde è sicuramente compiaciuto e soddisfatto delle tante iniziative e dei tanti appuntamenti che Incontrarte ha inanellato in questo secondo anno di attività che volge al termine. “Grazie di cuore – esordisce il Sindaco - Essere con voi, al vostro fianco, è stato un piacere sincero, prima umano e poi istituzionale. Credo molto nella cultura e nel valore di portare i libri, le opere figurative, l’arte in genere e le idee che la rappresentano tra la gente, garantendone la massima fruibilita’. Continuate così, il vostro lavoro è importantissimo e contribuisce a far tornare Forio al pieno del ruolo che merita nel panorama culturale non solo isolano, la cultura paga. Ci crediamo fermamente”.
TERESA DEL PRETE: La giornalista Teresa del Prete ha avviato il suo intervento con un’affermazione alquanto particolare, “La poesia fa male alla politica” con l’intento di evidenziare l’utilità della poesia alla costruzione di menti critiche e di spiriti liberi, realtà spesso temute da chi guida “la cosa pubblica”. Molte delle composizioni raccolte in “Inperfetto” sono state, infatti, da lei definite poesie di formazione che andrebbero lette e commentate nelle scuole. La lettura di versi profondi come quelli di Lucio Amore, ha continuato la Del Prete, sono vere guide per conoscere, oltre che l’autore, anche se stessi e rendersi liberi dalle tante catene che aggrovigliano l’animo rendendolo sottomesso a volontà e passioni altrui. La vera libertà è quella di “entrare” in se stessi attraverso un profondo scavo interiore cui ci invita il poeta raccontandoci, in prose liriche, il suo attento percorso interiore.
ANDREA ESPOSITO: Io scrivo solitamente noir, un genere che non racconta la realtà come vorremmo che fosse ma cosi com’è, non cerca di stupire a tutti i costi, perché ha il coraggio di guardare dove molti distolgono lo sguardo. Quando ho iniziato a scriverlo, pero’ ho capito che sarebbe stato diverso dai miei precedenti racconti: non sarebbe stata una storia comodamente adagiata nei canoni del thriller. Ho voluto che fosse una storia necessaria. La trama affonda le radici nella tradizione del noir italiano, ma il mio scopo è stato l’opposto: scompaginarne i codici, fare del crimine non un enigma da risolvere e archiviare, ma una ferita aperta, un sintomo, una domanda che resta sospesa anche quando le indagini sembrano chiudersi. Il personaggio di Trenta incarna questa inquietudine. È un giornalista imperfetto a dir poco, contraddittorio, a volte senza morale. Ma è anche il simbolo dell’uomo che sceglie di ascoltare ciò che nessuno vuole sentire: la voce delle proprie colpe, della propria coscienza sporca. Non ho mai raccontato la violenza con compiacimento, né la retorica della paura, non ho mai mitizzato il Male. Chiedo di riconoscerne la potenza e la contiguita’ alle nostre vite: l’uomo nero non esiste e quando esiste è in mezzo a noi, di fianco, vicino, a volte e in pare l’uomo nero siamo noi, ci resta addosso. Trenta ci ricorda che ignorarlo non lo rende meno reale, ci mette davanti alle nostre zone d’ombra, senza filtri e
senza ipocrisie. E’ il racconto di cui sono piu’ pienamente soddisfatto.
UMBERTO LUCIO AMORE: Scrivere oggi è un atto eroico e un atto d’amore già in sé stesso, per il solo fatto di essere compiuto, adesso, nel mondo d’oggi che ci lascia graffi profondi nell’ anima e cicatrici evidenti sul cammino della nostra vita. Scrivere di sentimenti e sensazioni, che sia poesia o prosa, oggi lo è ancora di più. Ecco perché la profondità espressiva con la quale tento di comunicare le mie emozioni non è fine a se stessa. Cerco di far fremere il lettore quando mi legge, desidero lasciargli qualcosa: il compito principe, forse l’unico, dello scrittore è in fin dei conti proprio questo, lasciarci qualcosa dentro. Pessoa ci dice che l’unica prefazione possibile ad un libro sia «la mente e l’animo di chi lo inizia a leggere». Concordo con il poeta poiché, anelo a condividerne il percorso intellettuale e letterario. Odio l’ambiguita’ stilistica, licenza che spesso si prende chi condivide emozioni per ottenere facile fascinazione su chi lo legge. Oscillo inevitabilmente tra istinto e ragione, dolore per il continuo anelito alla realizzazione delle aspirazioni e lacerazione tra le nostre idealità, rappresentate dal mondo come vorremmo che fosse, e alcune quotidiane e brutali violenze, non solo fisiche ma anche e soprattutto intellettive, una dicotomia che tanto tempo fa sarebbe stata definita l’eterno scontro tra la dimensione divina e quella umana. Desidero dimostra anche coraggio quando vengo a voi con la prosa poetica delle mie opere, spogliarmi di ogni corazza, non voglio commuovere con la sua fragilità. Anzi il contrario, raccontare e raccontarmi, farvi sentire cosa provo verso una persona, verso la natura, verso tutto ciò che crea amore. La grande solitudine che accompagna il singolo, oggi, nella massificazione del quotidiano spinge alla lotta, al bisogno di cercare qualcosa di più profondo ed autentico. A volte ci si riesce, non senza sacrificio, arrivando alla massima profondità di se per ristabilire un’autentica comunicazione con le cose e con i simili. È questa la prosa poetica, il ruolo odierno che merita, strumento di ricerca di noi stessi e degli altri.
TRENTA di Andrea Esposito
La Scheda
Si chiama Riccardo Cascio, fa il giornalista scandalistico, ma tutti sull’isola lo chiamano TRENTA perché vale trenta denari come Giuda, è uno che si venderebbe anche la mamma per un scoop o qualcosa che gli assomigli. Non importa se la notizia non è confermata, la fonte inattendibile, le immagini rubate, le ipotesi frutto del più f***e complottismo. Non importa se le falsità e le calunnie, che diffonde a piene mani, rovinano la vita dei suoi compaesani, regalandogli in cambio una carriera modesta e l’odio di quasi tutti quelli che lo conoscono. Lui continua ad aspettare il grande colpo. E finalmente sembra arrivare, quando viene contattato da un misterioso personaggio, apparentemente un f***e mitomane, che si accusa di tre omicidi in sequenza – fornendo con dovizia di truculenti particolari – le date e i luoghi dei crimini. In cambio chiede a Trenta di fare da intermediario con le forze dell’ordine, raccontare ogni cosa ad un suo amico poliziotto, il commissario Ciro Carbone. Quando il Vampiro si rivela essere realmente uno spietato predatore seriale, ad affiancare Carbone e i suoi inesperti agenti viene chiamata l’Unità per i Crimini Seriali, guidata dal profiler Marco Ranieri. Cascio fiuta l’occasione della vita per raggiungere finalmente fama e notorietà: contro ogni deontologia professionale, tradisce il patto del silenzio che ha con gli inquirenti, e pubblica ogni cosa sul quotidiano locale. I riflettori non tardano ad accendersi: televisioni, media nazionali, ospitate, interviste…ma qualcosa non torna. Mentre gli investigatori si gettano a capofitto in una disperata corsa contro il tempo, per evitare la terza e ultima strage annunciata, restringendo il cerchio dei sospetti grazie alle indagini sul campo ma anche all’analisi comportamentale dei criminologi, l’inverosimile e agghiacciante comincia ad emergere all’orizzonte: è davvero il Vampiro ad utilizzare Trenta come megafono? E’ davvero solo sangue che scorre quello che imbratta i luoghi della mattanza, come se non vi fosse alcun movente e alcun legame tra le vittime ed il carnefice? O forse la realtà, celata dietro un passato doloroso e mai dimenticato - che fa da proscenio ad un’isola d’Ischia dai colori vividi, dall’aria fresca e tersa e dal mare cristallino che in parte non c’è più - è totalmente diversa da cio’ che sembra?
INPERFETTO di Umberto Lucio Amore
La Scheda
La prosa poetica di Umberto Lucio Amore è quel genere comunicativo letterario che prende forma quando una parola riesce a dire ciò che il cuore non sapeva esprimere. È un lampo nel buio, un respiro che salva, una ferita che diventa luce. Non descrive il mondo: lo rivela. Sembra non servire a nulla e invece dà senso a tutto. La scrittura di Amore è l’anima che per un attimo ricorda di esistere. La differenza principale tra prosa e poesia risiede nella struttura e nella forma: la poesia è composta da versi (righe di lunghezza limitata che vanno a capo per creare ritmo e pausa), mentre la prosa è un testo continuo che riempie l'intera riga, andando a capo solo per formare paragrafi. Cambia poi l’uso del linguaggio, più evocativo e concentrato nella poesia rispetto alla prosa che tende a un registro più comune e descrittivo. Questo si ritrova negli ultimi tre lavori dell’autore, fino all’ultima opera in uscita I”N”PERFETTO, ma c'è un’altra area che appassiona i lettori di questo poliedrico ed introspettivo autore: ben 9 anni fa, pubblicò “Nella tua mente la tua vita” che tratta una serie di tematiche tutte attualissime, che ruotano intorno all'area della crescita personale e del mental coaching. Scrive da quando aveva 16 anni e nel corso del tempo fino ad oggi Umberto Lucio Amore ha pubblicato 18 opere. Novanta brani “inperfetti” per dirci che scrivere oggi è un atto eroico e un atto d’amore già in sé stesso, per il solo fatto di essere compiuto, adesso, nel mondo d’oggi che ci lascia graffi profondi nell’ anima e cicatrici evidenti sul cammino della nostra vita. Scrivere di sentimenti e sensazioni, che sia poesia o prosa, oggi lo è ancora di più. Ecco perché la profondità espressiva con la quale l’autore ci comunica le proprie emozioni ci commuove, ma non soltanto. Ci fa fremere quando lo leggiamo, ci lascia qualcosa: il compito principe, forse l’unico, dello scrittore è in fin dei conti proprio questo, lasciarci qualcosa dentro. Pessoa ci dice che l’unica prefazione possibile ad un libro sia «la mente e l’animo di chi lo inizia a leggere». Siamo concordi con il poeta poiché conosciamo il percorso intellettuale e letterario dell’autore. Mai contraddittorio e ambiguo, licenza che spesso si prende chi condivide emozioni per ottenere facile fascinazione su chi lo legge. L’autore oscilla sempre tra istinto e ragione, dolore per il continuo anelito alla realizzazione delle sue aspirazioni e lacerazione tra le sue idealità, rappresentate dal mondo come vorrebbe che fosse, e alcune quotidiane e brutali violenze, non solo fisiche ma anche e soprattutto istintuali, intellettive, una dicotomia che tanto tempo fa sarebbe stata definita l’eterno scontro tra la dimensione divina e quella umana. L’autore scrive molto più che «belle parole”» come oggi imporrebbe il marketing editoriale. Egli si spoglia davanti a noi delle sue corazze, delle sue armature, non ci commuove la sua fragilità. Anzi il contrario, ci commuove il coraggio che ha di raccontare e raccontarsi nei suoi componimenti, aprirsi in toto, farci sentire cosa prova verso una persona, verso la natura, verso tutto ciò che crea amore. La grande solitudine che accompagna il singolo, oggi, nella massificazione del quotidiano spinge l’autore a comunicarci la sua lotta, il suo bisogno di cercare qualcosa di più profondo ed autentico. Ci riesce, non senza sacrificio, arrivando alla massima profondità di se per ristabilire un’autentica comunicazione con le cose e con i simili. È questa la poesia, è questo il ruolo odierno che merita, strumento di ricerca di noi stessi e degli altri.