01/12/2025
Quello che è successo al Liceo Giulio Cesare non è una ragazzata.
Non è una goliardata.
Non è uno “scherzo andato oltre”.
È una minaccia. Una lista della spazzatura che porta un nome preciso: violenza di genere.
Quando in una scuola compare una lista degli stupri con nomi e cognomi di studentesse (e perfino di uno studente) non siamo davanti a un “episodio isolato”.
Siamo davanti a un sintomo.
Gravissimo.
Avvelenato.
Radicatissimo.
La cultura patriarcale non è un concetto astratto. No, è questo.
È un muro di un bagno che diventa un ringhio feroce contro i corpi di adolescenti che devono solo studiare, crescere, respirare.
E chi minimizza con frasi del tipo “sono ragazzi”, “non volevano davvero dire quello”, “una bravata”, è parte del problema. La parte principale ad essere precisi.
Perché alimenta l’idea che il corpo femminile sia sempre negoziabile, marchiabile, violabile. Un oggetto di cui abusare a piacimento.
E che la violenza sia un linguaggio “normale”.
Normale un caxxo.
La scuola si definisce da sempre “luogo di civiltà e rispetto”.
Bene. Allora oggi si gioca tutto: o è davvero così, oppure smettiamo di raccontarcela.
E basta con i proclami di circostanza.
Serve educazione sessuale, affettiva, emotiva e di genere.
Serve ora.
Serve forte.
Serve ovunque.
Non come optional, non come concessione, non come contentino post-scandalo.
Come pilastro.
Come argine.
Come forma minima di tutela per chi ogni giorno varca una soglia scolastica senza sapere se quel muro parlerà di loro come di “bersagli”.
Qui non servono silenzi.
Servono adulti.
Servono scelte.
Serve coraggio.
Serve responsabilità.
E soprattutto serve una verità che non possiamo più ignorare:
questa non è la storia di una scritta sul muro.
È la storia di un sistema che continua a fallire, e di un patriarcato che continua a respirare anche dove i ragazzi dovrebbero sentirsi più al sicuro. A scuola e in famiglia.