31/01/2022
Articolo molto interessante e, soprattutto, realistico.
“Nella prima ondata si è affrontata l’emergenza con la speranza che se ne potesse uscire nel giro di qualche settimana o mese, nella seconda ondata c’è un tratto di cronicizzazione del trauma. I sintomi dell’angoscia, della tristezza e della depressione si sono aggravati in molte persone”, spiega Maria Silvana Patti, psicologa e responsabile dell’unità di terapia post-traumatica dell’Associazione per la ricerca in psicologia clinica (Arp) di Milano. “Manca la possibilità di prevedere e di progettare, due caratteristiche che alimentano la speranza negli esseri umani. Questo aspetto è appesantito dall’assenza di una comunicazione chiara sulla malattia al livello pubblico. Le persone si sentono in un limbo senza fine”.
I sintomi peggiori li ha sviluppati la parte di popolazione che va dai venti ai quarant’anni, in particolare le donne tra i trenta e i quarant’anni. Questo potrebbe essere dovuto in molti casi alla presenza di figli minorenni di cui si sono occupate le madri durante il lockdown.
Per la psicologa in questo momento gli individui fanno fatica ad associare la loro situazione di sofferenza alle condizioni generali prodotte dalla pandemia. “In parte questo è frutto di una finta normalità alla quale siamo tornati, anche se lavoriamo o facciamo le nostre attività, la situazione non è tornata come prima dell’epidemia”.
Per Patti in questo momento il primo sforzo del terapeuta deve essere quello di mostrare alle persone la connessione tra i sintomi riportati dagli individui e il quadro generale.
Mentre in Italia si registravano i primi casi di covid-19, il 26 febbraio sulla rivista scientifica The Lancet veniva pubblicato uno studio sull’impatto psicologico delle epidemie del passato come quelle di sars, ebola, mers o la cosiddetta influenza suina. In ognuno di questi casi infatti è stata adottata la quarantena come metodo per ridurre i contagi.
In tutte le epidemie esaminate dallo studio, l’isolamento ha prodotto una serie di disturbi psicologici tra cui stress post-traumatico, confusione, rabbia, paura e insonnia. Com’era prevedibile anche con il coronavirus è successo qualcosa di simile. “La maggior parte dei pazienti ci racconta che gli sembra che la vita abbia perso di significato, fa fatica a trovare un senso, a progettare il futuro, in una situazione in cui tutto sembra più precario e imprevedibile.”