01/10/2025
C’è una donna di 30 anni. Non ha figli. Le chiedono: «Ancora niente bambini?» Lei sorride, ma dentro si spezza. Poi piange, da sola. Piange perché ha perso gravidanze, perché le cure non hanno funzionato, perché prova da anni e ogni volta quella domanda le ricorda che il suo cuore è già colmo di dolore.
Da qualche altra parte c’è una donna di 34 anni. Ne ha cinque. Le dicono: «Cinque? Spero che tu abbia finito!» E ridono, come fosse uno scherzo. Lei ride anche, per cortesia. Poi piange, da sola. Piange perché ha sempre sognato una famiglia grande, perché sua nonna ne aveva dodici, perché è stanca dei giudizi che la vedono come incosciente, senza mai vedere tutto l’amore che mette in quei figli.
E poi c’è una donna di 40 anni. Ha un figlio. Le chiedono: «Solo uno? Non ne volevi altri?» Lei sorride e risponde: «Sono felice così.» Poi piange, da sola. Piange perché quel figlio è stato un miracolo, perché avrebbe voluto dargli fratelli, ma il corpo o la vita non le hanno dato possibilità. Piange perché nessuno conosce le battaglie che ha già combattuto.
Queste donne ci vivono accanto. Sono nostre sorelle, colleghe, amiche. I loro corpi non sono proprietà pubblica. Le loro scelte non sono affari nostri. Il loro dolore non è un argomento da domande leggere o battute di circostanza. Che si tratti di nessun figlio, cinque figli o un figlio solo — non è mai il nostro posto chiedere. Bisogna rispettare il loro cammino, rispettare la loro storia, rispettare il loro silenzio. Perché non sapremo mai quante lacrime si nascondono dietro quel sorriso.
Piccole Storie.