26/10/2025
Leggere è molto importante e questa storia mi ha fatto ve**re la pelle d'oca,mi ha commosso veramente e ce ne vuole per suscitare in me questi bellissimi sentimenti, purtroppo la mia vita non è stata facile sarà per quello che sono diventata un po' più dura ma i gatti guai a chi me li tocca e anche gli altri animali....
BUONA LETTURA A-MICI....
Una storia di gatti molto toccante😿😿
Nella primavera del 1910, in un tranquillo villaggio inglese, costeggiato da strade di ciottoli e mura coperte d’edera, viveva una giovane donna di nome Eleanor. Era conosciuta per la sua gentilezza, per i delicati vestiti di pizzo e per il modo in cui aveva sempre l’inchiostro sulle dita, a forza di scrivere poesie che nessuno leggeva mai.
Ma più di ogni altra cosa, la gente conosceva Eleanor per la sua inseparabile compagna: una gatta bianca come la neve di nome Marble.
Marble era entrata nella vita di Eleanor in una piovosa sera d’ottobre, una minuscola gattina dagli occhi grandi e spaventati, lasciata in un cesto di vimini sulla soglia della vecchia casa in cui viveva da sola dopo la morte dei suoi genitori. Eleanor aveva guardato quella piccola creatura e aveva sussurrato: «Bene, allora… immagino che io e te ci aiuteremo a non sentirci troppo sole.»
E così fu.
Ogni mattina, Marble si sedeva accanto alla scrivania di Eleanor, mentre lei scarabocchiava poesie sul suo diario di pelle ormai consunto. Lui toccava la penna con la zampina, e lei faceva finta di rimproverarlo, ma sorrideva sempre. Ogni pomeriggio, i due si ritrovavano in giardino: Eleanor con il suo ombrellino, Marble a inseguire api e rotolarsi tra le macchie di lavanda.
Gli abitanti del villaggio ne parlavano con affetto. «La signorina e il suo gatto», dicevano. «Due cuori, un’anima.»
Ma Eleanor portava con sé una tristezza che non aveva mai confidato. A ventitré anni era stata promessa a un giovane di nome Thomas. La guerra lo portò via prima che potesse tornare con un anello. Le lettere smisero di arrivare. E anche se Eleanor non si vestì mai di nero, i suoi occhi, a volte, sì.
Marble divenne il suo faro nel dolore.
Dormiva sul suo petto quando lei piangeva, le chiudeva dolcemente le palpebre quando fissava troppo a lungo il mare, e si rannicchiava accanto al diario quando lei non trovava più le parole. Per anni, furono solo loro due: silenziosi, stabili, capaci di guarirsi a vicenda.
Una mattina di inizio inverno, Eleanor non si svegliò.
La cameriera la trovò immobile, con la mano poggiata dolcemente sulla schiena di Marble, un quaderno in grembo, l’ultima pagina riempita.
«A chi è rimasto,
a chi non ha chiesto nulla ma mi ha dato tutto,
sei il mio amore più caro,
in pelliccia e silenzio.»
Marble rimase accanto a lei per giorni. Non mangiò nulla. Non emise alcun suono.
Gli abitanti del villaggio seppellirono Eleanor sotto il ciliegio del suo giardino, lo stesso sul quale Marble si arrampicava sempre per inseguire le farfalle. Gli permisero di dirle addio.
Ma lui, davvero, non la lasciò mai.
Ogni anno, per quasi un decennio, Marble spariva da qualunque casa lo avesse accolto, per poi essere ritrovato rannicchiato ai piedi della tomba di Eleanor — con la pioggia o con il sole, stagione dopo stagione. Ad aspettare. A ricordare.
Fino a una mattina di primavera, quando anche lui non tornò.
Lo seppellirono accanto a lei.
E chi, anno dopo anno, passava davanti al ciliegio, giurava di sentire a volte un lieve fusa nella brezza e il debole profumo della lavanda.
Due cuori.
Un’anima sola.
Insieme ancora una volta, e per sempre.