Dott. Matteo Vaira - Nutrizionista

Dott. Matteo Vaira - Nutrizionista Diete personalizzate. Analisi composizione corporea (massa magra e grassa, stato di idratazione). Consulenze anche online.

Il cibo nella gestione dell’emicraniaL’emicrania è una condizione neurologica complessa, caratterizzata da un’interazion...
28/11/2025

Il cibo nella gestione dell’emicrania

L’emicrania è una condizione neurologica complessa, caratterizzata da un’interazione dinamica tra predisposizione genetica e fattori ambientali. Tra questi ultimi, l’alimentazione rappresenta uno degli ambiti più discussi sia dai pazienti sia dai clinici, spesso percepita come potenziale fattore scatenante o modulatore della frequenza e dell’intensità degli attacchi. Negli ultimi anni, la ricerca nutrizionale ha prodotto un corpus crescente di evidenze che permette di delineare strategie dietetiche utili nella prevenzione e nel trattamento dell’emicrania.
Modelli dietetici e nutrizione nella gestione dell’emicrania

Dieta mediterranea: un approccio di prima linea

Numerosi studi osservazionali hanno evidenziato che un’elevata aderenza alla dieta mediterranea (MedDiet) è associata a una riduzione della frequenza degli attacchi e della disabilità correlata all’emicrania.
I possibili meccanismi includono:

riduzione dell’infiammazione sistemica,
modulazione dello stress ossidativo,
miglioramento del metabolismo energetico cellulare,
stabilizzazione della glicemia.

Data la sua sicurezza, versatilità e valore preventivo generale, la MedDiet rappresenta una raccomandazione fondante per i pazienti con emicrania.

Dieta chetogenica: promettente in sottogruppi selezionati

Le diete chetogeniche a bassissimo contenuto calorico (VLCKD) hanno dimostrato benefici significativi in uno studio clinico randomizzato su adulti con sovrappeso/obesità:

riduzione più marcata della frequenza mensile degli attacchi rispetto a un comparatore isocalorico non chetogenico;
percentuale di responder ≥50% pari al 74% (vs. 6%).

Ulteriori studi non controllati, inclusi quelli che prevedono l’utilizzo di trigliceridi a catena media (MCT), sostengono questi risultati. I meccanismi ipotizzati includono un miglioramento del metabolismo energetico cerebrale e un effetto neuroprotettivo dei corpi chetonici.

Le diete chetogeniche richiedono attenta supervisione clinica, selezione accurata dei pazienti e monitoraggio metabolico.

Acidi grassi omega-3: un’opzione profilattica sicura

Gli acidi grassi omega-3 (EPA/DHA) hanno mostrato efficacia preventiva in:

studi clinici randomizzati,
metanalisi di rete recenti.

I benefici includono:

riduzione della frequenza degli attacchi,
possibile attenuazione dell’intensità del dolore.

L’integrazione è generalmente ben tollerata e può rappresentare una strategia aggiuntiva nella gestione dell’emicrania, soprattutto in soggetti con abitudini alimentari povere di pesce azzurro.

Diete senza glutine: efficaci solo in casi selezionati

Nella celiachia, una dieta rigorosamente priva di glutine può ridurre significativamente le manifestazioni neurologiche, incluso il mal di testa.
Alcuni dati indicano un possibile beneficio anche in pazienti non celiaci con sensibilità al glutine non celiaca, ma le evidenze rimangono limitate e non generalizzabili.

Pertanto, una dieta senza glutine dovrebbe essere riservata ai pazienti con indicazioni clinicamente fondate, evitando eliminazioni inutili.
Fattori dietetici scatenanti e comportamenti alimentari

Alcol

Il vino rosso è frequentemente riportato come trigger. La sensibilità individuale è elevata e variabile.

Caffeina

La caffeina presenta una relazione bifasica:

un consumo eccessivo o irregolare può indurre o peggiorare l’emicrania;
un consumo moderato e costante può avere effetti neutri o in alcuni casi benefici.

Alimenti specifici e additivi

Le evidenze rimangono inconcludenti. Molti trigger riportati sembrano riflettere una suscettibilità individuale piuttosto che un effetto biologico generale (cioccolato, glutammato monosodico, nitrati).

Peso corporeo e stile di vita

Nelle persone con obesità, la riduzione del peso e la regolare attività fisica possono contribuire a diminuire la frequenza degli attacchi e migliorare la qualità della vita.
Questi interventi agiscono su:

infiammazione cronica di basso grado,
resistenza insulinica,
disfunzione mitocondriale.

Significato clinico

Sulla base delle evidenze disponibili, i professionisti della salute possono considerare le seguenti raccomandazioni:

Promuovere la dieta mediterranea come modello di riferimento.
Valutare l’integrazione di omega-3 (EPA/DHA) nei pazienti selezionati.
Considerare approcci chetogenici in pazienti appropriati, con monitoraggio medico.
Utilizzare strategie di eliminazione (es. glutine) solo dopo adeguata valutazione clinica.
Affrontare i fattori comportamentali, come consumo di caffeina e alcol, e promuovere regolarità alimentare.
Integrare interventi sullo stile di vita, inclusi gestione del peso e attività fisica.

Dieta Mediterranea “moderna”Negli ultimi decenni, la Dieta Mediterranea (DM) è stata considerata il modello alimentare p...
27/11/2025

Dieta Mediterranea “moderna”

Negli ultimi decenni, la Dieta Mediterranea (DM) è stata considerata il modello alimentare per eccellenza in termini di prevenzione cardiovascolare e longevità. Tuttavia, la sua applicazione nella pratica quotidiana può variare notevolmente, anche tra individui che si definiscono “aderenti” a questo stile alimentare.
Una recente analisi condotta su oltre 1300 adulti italiani ha esplorato in modo dettagliato la composizione effettiva dei macronutrienti nella DM e la loro relazione con indicatori di adiposità e infiammazione sistemica.
Contrariamente all’immagine classica della DM come dieta ricca di carboidrati complessi, lo studio ha mostrato che i soggetti con alta aderenza presentavano:
- minor apporto di carboidrati,
- maggior quota di proteine e grassi,
rispetto ai gruppi con media o bassa aderenza.
Il gruppo ha mostrato risultati clinici significativamente migliori:
- indice di massa corporea (BMI) più basso,
- circonferenza vita ridotta,
- minore percentuale di massa grassa,
- livelli inferiori di proteina C-reattiva.

Questi dati suggeriscono che una composizione della DM con riduzione dei carboidrati e incremento di proteine e grassi di qualità (come quelli di pesce, frutta secca e olio extravergine d’oliva) possa potenziare gli effetti metabolici e antinfiammatori tipici del modello mediterraneo.

La Dieta Mediterranea ad alta aderenza, così come oggi effettivamente seguita, non corrisponde sempre ai tradizionali rapporti di macronutrienti (55–60% carboidrati, 15% proteine, 25–30% grassi) suggeriti dalle linee guida.
In questa analisi, i soggetti più “mediterranei” assumevano meno carboidrati e più proteine/grassi, con un impatto positivo su composizione corporea e infiammazione sistemica.

Significato clinico

Per medici e nutrizionisti, questi risultati invitano a una riflessione critica sulle raccomandazioni standard.
Pur mantenendo i principi cardine della DM – varietà, predominanza di alimenti vegetali, olio d’oliva come principale fonte di grassi, consumo moderato di pesce e carni bianche – la quantità di carboidrati complessiva potrebbe essere ridotta rispetto agli intervalli convenzionali per ottimizzare il profilo metabolico e infiammatorio.
Una Dieta Mediterranea “moderna”, quindi, caratterizzata da un minor apporto di carboidrati e una quota maggiore di proteine e grassi di qualità, sembra associarsi a minore adiposità e infiammazione.
Questi dati offrono nuovi spunti per aggiornare le raccomandazioni nutrizionali e personalizzare l’approccio dietetico in prevenzione e terapia delle patologie metaboliche.

24/11/2025
Strategie nutrizionali nell’obesità: limitare gli ultra-processatiUna recente indagine ha avuto l'obiettivo primario di ...
19/11/2025

Strategie nutrizionali nell’obesità: limitare gli ultra-processati

Una recente indagine ha avuto l'obiettivo primario di stabilire una relazione causale tra il consumo di alimenti ultra-processati (Upf), definiti come formulazioni prevalentemente derivate da fonti industriali economiche di energia e nutrienti, arricchite con additivi, l'eccesso di assunzione energetica e l'incremento ponderale nell'uomo.

Lo studio, un trial randomizzato controllato crossover, ha arruolato soggetti adulti ricoverati stabili nel peso corporeo (età media 31.2±1.6 anni; Bmi medio 27±1.5 kg/m²). I soggetti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere una dieta ultra-processata (classificazione Nova gruppo 4) o una dieta non-processata (classificazione Nova gruppo 1) per due periodi consecutivi di 14 giorni ciascuno. Le diete erano rigorosamente equiparate per calorie presentate, densità energetica complessiva (includendo bevande), macronutrienti, zuccheri, sodio e fibra. I partecipanti erano istruiti a consumare cibo ad libitum.

Risultati
L'assunzione energetica è risultata significativamente maggiore durante il regime dietetico ultra-processato, con un eccesso medio di 508 ± 106 kcal/die. Questo iperconsumo è stato attribuito primariamente all'aumento nell'assunzione di carboidrati e lipidi, mentre l'assunzione proteica è rimasta stabile. Le variazioni ponderali erano strettamente correlate alle differenze nell'assunzione energetica. Durante la fase Upf, i partecipanti hanno registrato un aumento di peso di 0.9 ± 0.3 kg, mentre durante la dieta non-processata si è osservata una perdita di peso di 0.9 ± 0.3 kg. L'analisi della composizione corporea ha rivelato un aumento della massa grassa di 0.4 ± 0.1 kg con la dieta ultra-processata e una diminuzione di 0.3 ± 0.1 kg con la dieta non-processata.

La densità energetica degli alimenti (escludendo le bevande) era circa l'85% superiore nella dieta ultra-processata. I parametri soggettivi di appetito, come il piacere, la familiarità, la fame e la sazietà, non hanno mostrato differenze significative tra i due regimi. Tuttavia, il tasso di ingestione dei pasti è risultato significativamente maggiore (es. 17±1 kcal/min) durante la dieta ultra-processata: si ipotizza che le proprietà oro-sensoriali degli Upf, come la minor durezza, possano aver causato un aumento del consumo e un ritardo nel segnale di sazietà.

Conclusioni:
Non sono state rilevate differenze significative nella tolleranza al glucosio o nella sensibilità all'insulina tra le diete, potenzialmente mitigate dall'esercizio fisico di intensità moderata richiesto ai soggetti. Ciononostante, sono state osservate variazioni ormonali a digiuno: l'ormone anoressizzante PYY è aumentato e l'ormone della fame ghrelina è diminuito durante la dieta non-processata rispetto al basale.
In sintesi, i dati dimostrano che la limitazione del consumo di alimenti ultra-processati può rappresentare una strategia efficace per la prevenzione e il trattamento dell'obesità, poiché una dieta basata su tali alimenti aumenta in modo causale l'assunzione energetica ad libitum e determina l'incremento ponderale.

14/11/2025

Giornata Mondiale del Diabete: prevenzione e corretta gestione del diabete di tipo 2 passano soprattutto attraverso la tavola.

🗣 Il diabete di tipo 2, la forma più diffusa di questa patologia, è strettamente correlato allo stile di vita e l’alimentazione è un potente strumento di prevenzione e terapia, supportando la gestione del peso, della glicemia e del rischio cardiovascolare.

✍️ Per questo, il Gruppo di Studio ASAND Diabete ha realizzato, in occasione di questa importante Giornata di sensibilizzazione e informazione, una infografica che rafforza il significato della Dieta Mediterranea quale pattern alimentare universalmente riconosciuto efficace per la prevenzione primaria e terziaria, utilizzando la Piramide Alimentare recentemente aggiornata dalla SINU - Società Italiana di Nutrizione Umana.

🌎 Ricordiamo che il tempo dedicato all’acquisto, alla trasformazione e al consumo di cibo di qualità è un “investimento” in piacere immediato e salute futura, a beneficio della salute e dell’ambiente, perché le scelte alimentari devono guardare alla salute individuale ma anche a quella del Pianeta.

Ma infatti anche basta con sto Digiuno Intermittente 🙄
07/11/2025

Ma infatti anche basta con sto Digiuno Intermittente 🙄

I grassi non sono tutti ugualiLatte, yogurt e formaggi sono spesso al centro di dibattiti: fanno bene o fanno male? Sono...
05/11/2025

I grassi non sono tutti uguali

Latte, yogurt e formaggi sono spesso al centro di dibattiti: fanno bene o fanno male? Sono ricchi di nutrienti importanti, ma alcuni li considerano cibi da limitare. Una nuova ricerca ci aiuta a fare chiarezza, soprattutto per chi ha problemi di peso o rischi cardiometabolici.

Un gruppo di scienziati ha voluto capire come aumentare l’assunzione di latticini influisca sull’infiammazione, un fattore cruciale nello sviluppo di diabete e malattie cardiovascolari.
Lo studio

I ricercatori hanno coinvolto 30 persone in sovrappeso o obese, con età adulta e un rischio già elevato di malattie metaboliche.

Tutti i partecipanti hanno seguito due diverse diete, ognuna per sei settimane:

Dieta ricca di latticini (HD)
3 porzioni al giorno di latte parzialmente scremato, yogurt skyr e formaggio cheddar
Dieta povera di latticini (LD)
massimo 1 porzione al giorno

L’ordine delle due diete è stato assegnato casualmente, e tra una e l’altra c’è stata una pausa di almeno un mese.

Durante lo studio sono stati misurati:

livelli di citochine (molecole dell’infiammazione)
lipidi nel sangue
pressione arteriosa
composizione corporea

Il focus principale era su una specifica citochina infiammatoria, IL-6, ma i suoi livelli non sono cambiati in modo significativo.

Al contrario, ci sono state variazioni positive in altre molecole:

✅ TNF-α (un marker di infiammazione) è diminuito
✅ IL-4 (molecola con possibile ruolo antinfiammatorio) è aumentata

➡️ Segno che i latticini potrebbero contribuire a modulare l’infiammazione in senso favorevole.

Nessun cambiamento in:

peso corporeo
grasso corporeo
trigliceridi
pressione
altri marker metabolici

Quindi i benefici sono avvenuti senza ingrassare e senza alterazioni negative del metabolismo.

Lo studio ha osservato qualcosa di curioso: negli uomini, durante la dieta ricca di latticini, alcuni marker come IL-6, TNF-α, trigliceridi e pressione diastolica erano più alti rispetto alle donne.

Questo suggerisce che il sesso biologico può influenzare come il corpo risponde ai latticini, ma serviranno ulteriori studi per capirne il motivo.
Significato clinico

Per chi è in sovrappeso o ha un rischio cardiometabolico:

Inserire più latticini nella dieta non peggiora peso o metabolismo
Può offrire benefici antinfiammatori
Gli effetti possono variare tra uomini e donne

Se consumati con equilibrio e varietà, latte e derivati possono essere alleati della salute, anche in un contesto di sovrappeso e obesità.

Il messaggio è chiaro: non tutti i grassi sono uguali, e i latticini possono contribuire a una dieta più sana, anche per chi deve tenere d’occhio cuore e metabolismo.


Bibliografia : Joel L Prowting, Emily C Fraschetti, Tania J Pereira et al
Fonti : J Nutr. 2025 Oct 30:S0022-3166(25)00690-X. doi: 10.1016/j.tjnut.2025.10.040.

Dieta Mediterranea scudo contro il ParkinsonUna nuova metanalisi condotta su oltre 314 mila persone e pubblicata su The ...
21/10/2025

Dieta Mediterranea scudo contro il Parkinson

Una nuova metanalisi condotta su oltre 314 mila persone e pubblicata su The journal of nutrition, health and aging conferma il potere protettivo della Dieta mediterranea (Dm) nei confronti della malattia di Parkinson (Mp).

Se in passato la ricerca si è concentrata su singoli nutrienti - come i flavonoidi presenti in frutta e verdura, noti per ridurre il rischio di Mp grazie all'equilibrio ossidativo e alla riduzione della neuroinfiammazione - l'interesse crescente degli ultimi anni riguarda i modelli dietetici complessivi. La Dieta mediterranea, in particolare, è lo stile alimentare più rappresentativo in questo ambito. Nonostante la sua nota efficacia nella prevenzione di malattie croniche come disturbi cardiovascolari e cancro, i risultati sul suo impatto specifico sul Parkinson erano stati finora variabili.

Per chiarire il legame tra Dm e Parkinson, la recente revisione sistematica e metanalisi ha aggregato i dati di 12 studi osservazionali, per un totale di oltre 314.603 partecipanti provenienti da diverse aree geografiche, inclusi Stati Uniti, Paesi europei e asiatici.

I risultati sono stati inequivocabili: una maggiore aderenza alla Dieta mediterranea è risultata significativamente correlata a una riduzione del rischio complessivo di Mp del 25% rispetto alla categoria di aderenza più bassa.

Un elemento di grande interesse della ricerca è l'analisi stratificata per stadio della malattia, in particolare sul fronte della cosiddetta Malattia di Parkinson Prodromica (pMp). Parliamo della fase precoce in cui le alterazioni neurodegenerative sono già iniziate, manifestandosi con sintomi non motori come disturbi del sonno o disfunzione olfattiva, prima che si manifestino i classici sintomi legati al movimento.

Nei quattro studi che si sono concentrati sulla diagnosi della pMp, l'adesione elevata alla Dm ha mostrato un effetto protettivo ancora più marcato: il rischio di pMp si riduceva del 33%, finanche del 37%. Per i pazienti con diagnosi già definita, la riduzione del rischio osservata era comunque significativa, attestandosi intorno al 17%.

La protezione sembra valere a tutte le età, con un'associazione inversa significativa sia per il gruppo sotto i 60 anni che sopra i 60 anni. Inoltre, le donne hanno mostrato i benefici maggiori.

I meccanismi biologici

Quali potrebbe essere le azioni protettive chiamate in causa? Sicuramente la capacità della Dm di contrastare i complessi meccanismi eziologici del Parkinson, che includono neuroinfiammazione, stress ossidativo, disfunzione mitocondriale e alterazioni del microbiota intestinale. La Dm, infatti, è ricca di vitamine e carotenoidi, con forti proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Questi composti possono proteggere i neuroni dopaminergici e inibire l'aggregazione della proteina alfa-sinucleina (asyn), che è patogena ne Parkinson. L’abbondanza di polifenoli, per esempio in olive, olio d'oliva, frutti di bosco e vino rosso, esercita, poi, effetti neuroprotettivi. La Dieta mediterranea, inoltre, regola positivamente l'interazione dell'asse intestino-cervello, modificando la composizione del microbiota per promuovere i microbi benefici. Infine, la fibra alimentare produce acidi grassi a catena corta che hanno effetti antinfiammatori e possono ritardare la progressione della malattia.

Sebbene la metanalisi offra un'ampia e robusta copertura di dati, gli Autori sottolineano che la maggior parte degli studi inclusi sono di natura osservazionale. Pertanto, non è possibile stabilire con assoluta certezza un legame di causa-effetto. Si è riscontrata anche una notevole eterogeneità, dovuta in parte alle differenze nei sistemi di punteggio utilizzati per definire l'aderenza alla Dm e all'inclusione o meno di variabili come il consumo di caffeina, anch'esso associato a una riduzione del rischio di Mp.

Nonostante queste limitazioni, le prove sembrano consistenti: un'elevata adesione alla Dm è correlata a un rischio significativamente inferiore di malattia di Parkinson, con benefici sono maggiori quanto prima si inizia a seguire questo regime.

Così concludono gli Autori: “Adottare uno stile alimentare ispirato alla Dieta mediterranea, ricco di frutta, verdura, legumi, cereali integrali e olio d'oliva, rappresenta una strategia semplice e potente per proteggere la salute del cervello e per la prevenzione della malattia di Parkinson nella pratica clinica. Sono necessari ulteriori studi clinici per comprendere meglio la progressione dalla pMp ad altre malattie neurologiche e per validare ulteriormente questi risultati”.

16/10/2025

Ogni giorno facciamo decine di scelte alimentari…ma quali sono le nostre conoscenze?🧐

La giornata mondiale dell’alimentazione promossa dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) dal 1979, ci invita a riflettere sul diritto universale a un'alimentazione sicura, sana e sostenibile🍎

Cosa è utile sapere?

✅Un'alimentazione bilanciata è il primo strumento di prevenzione: riduce il rischio di
malattie croniche come diabete, obesità, ipertensione e alcuni tumori.

🍅Diete a base vegetale e con ridotti consumi di carni rosse e processate sono associate a una maggiore longevità e a un impatto ambientale più contenuto.

🌎Alimentazione sana = pianeta sano: secondo l’EAT-Lancet Commission, una dieta sostenibile può nutrire la popolazione mondiale senza distruggere il pianeta. Non si tratta solo di cosa mangiamo, ma anche di come lo produciamo, distribuiamo e consumiamo.

Il cambiamento parte anche dal piatto!

Fonti:
👉🏼Willett W te al. Food in the Anthropocene: the EAT-Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems. Lancet. 2019 Feb 2;393(10170).
👉🏼https://www.fao.org/fao-italy/it
👉🏼https://www.who.int/

Alimentazione e nutraceutici per il trattamento delle dislipidemieLe malattie cardiovascolari aterosclerotiche rappresen...
14/10/2025

Alimentazione e nutraceutici per il trattamento delle dislipidemie

Le malattie cardiovascolari aterosclerotiche rappresentano la principale causa di mortalità a livello globale e di disabilità nei Paesi occidentali. Numerosi fattori di rischio contribuiscono all’insorgenza delle Acvd, classificabili in non modificabili (sesso maschile, età, familiarità) e modificabili (diabete mellito, obesità, tabagismo, ipertensione arteriosa, dislipidemia). Un’elevata concentrazione di colesterolo Ldl rimane un fattore di rischio maggiore per lo sviluppo delle Acvd e numerosi studi evidenziano che fino al 70–80 % delle malattie cardiovascolari nei soggetti affetti da diabete mellito è correlato a dislipidemia.

In presenza di target sempre più stringenti dettati dalle linee guida, accanto alla farmacoterapia, trovano ruolo l’adozione di strategie alimentari e l’utilizzo di nutraceutici per il trattamento della dislipidemia

La dieta mediterranea prevede un consumo moderato di latticini e pollame, limitazione di carne rossa e dolci e assunzione occasionale di vino durante i pasti. Essa garantisce un adeguato apporto di grassi insaturi (olio Evo, pesce, frutta secca), fibra vegetale e fitocomposti (frutta, verdura, cereali, legumi), polifenoli (olio Evo, vino rosso, erbe aromatiche), omega 3 (pesce) e antiossidanti naturali (vitamine, carotenoidi, polifenoli). Numerose metanalisi dimostrano una correlazione inversa tra aderenza alla dieta mediterranea e la insorgenza di diabete mellito tipo 2. La dieta mediterranea produce un notevole impatto benefico sul profilo lipidico, con diminuzione di Ldl colesterolo e colesterolo totale, aumento di Hdl colesterolo e riduzione dei trigliceridi. Gli effetti metabolici includono la riduzione del valore della emoglobina glicata, della pressione arteriosa e dei parametri di infiammazione (Pcr ad alta sensibilità, Il-6), associati a un calo ponderale fino al 5-10% del peso corporeo. Infine, la dieta mediterranea migliora la funzione endoteliale, aumenta la sensibilità insulinica e riduce lo stress ossidativo.

Oltre alla dieta, l’uso di nutraceutici (integratori alimentari con attività biologica) offre ulteriori benefici nel migliorare il profilo lipidico. Sulla base del profilo di rischio cardiovascolare del paziente e su eventuali intolleranze farmacologiche, essi possono essere usati in monoterapia o in associazione con altri nutraceutici o con una terapia farmacologica. L’ampio ventaglio di nutraceutici disponibili per il trattamento delle dislipidemie può essere classificato in tre categorie:

Inibitori dell’assorbimento intestinale di colesterolo: essi competono con il colesterolo esogeno per la formazione di micelle per l’assorbimento, aumentando dunque l’escrezione intestinale di colesterolo esogeno. Di questa categoria fanno parte i fitosteroli, derivati da oli vegetali, cereali integrali e frutta secca. Essi hanno dimostrato una riduzione dei livelli di trigliceridi, colesterolo Ldl e proteina C reattiva (PCR) sino al 12%, con effetto dose-dipendente, con dosi consigliate fino a 3 g/die.
Inibitori della sintesi del colesterolo epatico: la molecola di maggiore utilizzo è la monacolina K (riso rosso fermentato). Strutturalmente identica alla lovastatina, la monacolina K produce un effetto simile a quello della statina. La dose massima consentita in Italia come integratore è di 3 mg.
Induttori dell’escrezione del colesterolo Ldl: la berberina è un isoalcaloide presente nella radice, nel rizoma, nel gambo, nella corteccia e nel frutto di numerose specie di piante Coptis e Berberis. Essa inibisce la Pcsk9, inducendo un aumento della produzione ed una ridotta degradazione del recettore Ldl epatico (Ldl-R); la berberina induce inoltre una diretta sovra-regolazione dei Ldl-R attraverso meccanismi post-trascrizionali ed è un attivatore di Ampk, con conseguente incremento nell’ossidazione degli acidi grassi e una riduzione nell’espressione di geni lipogenici. A un dosaggio raccomandato di 500 mg per due o tre volte al dì, l’utilizzo di berberina produce una riduzione del 10-20% delle concentrazioni circolanti di Ldl colesterolo e trigliceridi. Tra gli altri effetti della berberina spiccano il rallentamento dello svuotamento gastrico e la riduzione dell’assorbimento glucosio, con decremento delle glicemie post-prandiali.

Tra i numerosi altri nutraceutici disponibili per il trattamento della dislipidemia, gli omega 3 (acidi grassi polinsaturi, Epa, Dha) consentono un miglior controllo dei livelli di Vldl (con riduzione del 16-40%) e di trigliceridi. Essi sono presenti naturalmente in specie animali (pesce, krill, uova, crostacei) e vegetali (alghe, semi di lino, noci). Il loro utilizzo (a un dosaggio di almeno 2 g/die) ha dimostrato una riduzione dei Mace e del rischio cardiovascolare.

La combinazione sinergica tra dieta mediterranea e nutraceutici offre un approccio efficace e sicuro per la gestione della dislipidemia, soprattutto in soggetti con intolleranze farmacologiche. Le evidenze mostrano benefici su Ldl, trigliceridi, glicemia, infiammazione e rischio cardiovascolare. Tuttavia, è cruciale personalizzare il trattamento secondo profilo metabolico e la tolleranza individuale, eseguire un adeguato follow-up per un’eventuale intensificazione della terapia e integrare sempre con uno stile di vita sano (attività fisica regolare, controllo del peso corporeo).

Dieta acida e obesitàL’obesità addominale – ovvero l’accumulo di grasso nella regione viscerale – è un fattore di rischi...
10/10/2025

Dieta acida e obesità

L’obesità addominale – ovvero l’accumulo di grasso nella regione viscerale – è un fattore di rischio ben noto per la sindrome metabolica, le malattie cardiovascolari e il diabete di tipo 2. Negli ultimi anni, l’attenzione della ricerca si è concentrata non solo sulla quantità di calorie introdotte, ma anche sulla qualità della dieta, compreso il suo carico acido alimentare (Dietary Acid Load, DAL).
Cos’è il carico acido alimentare?

Ogni alimento che consumiamo, una volta metabolizzato, rilascia sostanze che possono avere un effetto acido o alcalino sull’organismo:
- Frutta e verdura tendono a ridurre l’acidità corporea grazie al loro contenuto in sali minerali.
- Carne, latticini, cereali raffinati e proteine animali, invece, aumentano il carico acido.

Un eccesso di acidità nella dieta può influenzare il metabolismo e, secondo diverse ipotesi, favorire l’accumulo di grasso viscerale.
Per approfondire questa relazione, un team di ricercatori ha analizzato i dati di 6.482 adulti, uomini e donne tra i 35 e i 65 anni, partecipanti al Mashhad Stroke and Heart Atherosclerotic Disorder (MASHAD) cohort study.

La dieta dei partecipanti è stata valutata tramite questionari validati, e il carico acido alimentare stimato attraverso tre indicatori:

PRAL (Potential Renal Acid Load): misura del potenziale carico acido renale.
NEAP (Net Endogenous Acid Production): stima della produzione acida endogena.
DAL (Dietary Acid Load): indice complessivo del carico acido derivante dalla dieta.

L’obesità addominale è stata valutata con metodi tradizionali, come la circonferenza vita (WC) e il rapporto vita-fianchi (WHR), e con indici più innovativi, come l’ABSI (A Body Shape Index) e l’AVI (Abdominal Volume Index).

L’analisi ha messo in luce alcune associazioni significative:

Nelle donne, valori più elevati di NEAP erano legati a un rischio maggiore di obesità addominale, misurata con circonferenza vita, rapporto vita-fianchi e, nel modello statistico più completo, anche con ABSI.
In entrambi i sessi, un alto livello di DAL risultava associato a un incremento delle probabilità di obesità addominale valutata da WC, WHR e AVI.
Al contrario, il PRAL non ha mostrato associazioni significative negli stessi modelli.

In sintesi, NEAP e DAL sembrano essere gli indici più sensibili per misurare l’impatto del carico acido alimentare sull’accumulo di grasso viscerale, con un effetto più marcato nelle donne.
Significato clinico

Questi risultati sottolineano l’importanza non solo di quante calorie si assumono, ma anche di quali alimenti compongono la dieta quotidiana. Una dieta ricca di frutta, verdura e alimenti alcalinizzanti potrebbe ridurre il rischio di accumulo adiposo addominale, mentre un’alimentazione con eccesso di proteine animali e cereali raffinati potrebbe favorirlo.

Lo studio MASHAD fornisce nuove evidenze sul ruolo dell’acidità alimentare come fattore di rischio per l’obesità addominale, rafforzando l’idea che la prevenzione delle malattie metaboliche passi anche da un equilibrio tra alimenti acidificanti e alcalinizzanti.

In attesa di ulteriori conferme, un messaggio pratico emerge chiaro: ridurre il consumo di cibi altamente acidificanti e aumentare quello di frutta e verdura non è solo una raccomandazione generale per la salute, ma potrebbe avere un impatto diretto sulla distribuzione del grasso corporeo e sulla prevenzione delle malattie croniche.

Indirizzo

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Mattinata
71030

Telefono

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