Dott. Matteo Vaira - Nutrizionista

Dott. Matteo Vaira - Nutrizionista Diete personalizzate. Analisi composizione corporea (massa magra e grassa, stato di idratazione). Consulenze anche online.

Ma infatti anche basta con sto Digiuno Intermittente 🙄
07/11/2025

Ma infatti anche basta con sto Digiuno Intermittente 🙄

I grassi non sono tutti ugualiLatte, yogurt e formaggi sono spesso al centro di dibattiti: fanno bene o fanno male? Sono...
05/11/2025

I grassi non sono tutti uguali

Latte, yogurt e formaggi sono spesso al centro di dibattiti: fanno bene o fanno male? Sono ricchi di nutrienti importanti, ma alcuni li considerano cibi da limitare. Una nuova ricerca ci aiuta a fare chiarezza, soprattutto per chi ha problemi di peso o rischi cardiometabolici.

Un gruppo di scienziati ha voluto capire come aumentare l’assunzione di latticini influisca sull’infiammazione, un fattore cruciale nello sviluppo di diabete e malattie cardiovascolari.
Lo studio

I ricercatori hanno coinvolto 30 persone in sovrappeso o obese, con età adulta e un rischio già elevato di malattie metaboliche.

Tutti i partecipanti hanno seguito due diverse diete, ognuna per sei settimane:

Dieta ricca di latticini (HD)
3 porzioni al giorno di latte parzialmente scremato, yogurt skyr e formaggio cheddar
Dieta povera di latticini (LD)
massimo 1 porzione al giorno

L’ordine delle due diete è stato assegnato casualmente, e tra una e l’altra c’è stata una pausa di almeno un mese.

Durante lo studio sono stati misurati:

livelli di citochine (molecole dell’infiammazione)
lipidi nel sangue
pressione arteriosa
composizione corporea

Il focus principale era su una specifica citochina infiammatoria, IL-6, ma i suoi livelli non sono cambiati in modo significativo.

Al contrario, ci sono state variazioni positive in altre molecole:

✅ TNF-α (un marker di infiammazione) è diminuito
✅ IL-4 (molecola con possibile ruolo antinfiammatorio) è aumentata

➡️ Segno che i latticini potrebbero contribuire a modulare l’infiammazione in senso favorevole.

Nessun cambiamento in:

peso corporeo
grasso corporeo
trigliceridi
pressione
altri marker metabolici

Quindi i benefici sono avvenuti senza ingrassare e senza alterazioni negative del metabolismo.

Lo studio ha osservato qualcosa di curioso: negli uomini, durante la dieta ricca di latticini, alcuni marker come IL-6, TNF-α, trigliceridi e pressione diastolica erano più alti rispetto alle donne.

Questo suggerisce che il sesso biologico può influenzare come il corpo risponde ai latticini, ma serviranno ulteriori studi per capirne il motivo.
Significato clinico

Per chi è in sovrappeso o ha un rischio cardiometabolico:

Inserire più latticini nella dieta non peggiora peso o metabolismo
Può offrire benefici antinfiammatori
Gli effetti possono variare tra uomini e donne

Se consumati con equilibrio e varietà, latte e derivati possono essere alleati della salute, anche in un contesto di sovrappeso e obesità.

Il messaggio è chiaro: non tutti i grassi sono uguali, e i latticini possono contribuire a una dieta più sana, anche per chi deve tenere d’occhio cuore e metabolismo.


Bibliografia : Joel L Prowting, Emily C Fraschetti, Tania J Pereira et al
Fonti : J Nutr. 2025 Oct 30:S0022-3166(25)00690-X. doi: 10.1016/j.tjnut.2025.10.040.

Dieta Mediterranea scudo contro il ParkinsonUna nuova metanalisi condotta su oltre 314 mila persone e pubblicata su The ...
21/10/2025

Dieta Mediterranea scudo contro il Parkinson

Una nuova metanalisi condotta su oltre 314 mila persone e pubblicata su The journal of nutrition, health and aging conferma il potere protettivo della Dieta mediterranea (Dm) nei confronti della malattia di Parkinson (Mp).

Se in passato la ricerca si è concentrata su singoli nutrienti - come i flavonoidi presenti in frutta e verdura, noti per ridurre il rischio di Mp grazie all'equilibrio ossidativo e alla riduzione della neuroinfiammazione - l'interesse crescente degli ultimi anni riguarda i modelli dietetici complessivi. La Dieta mediterranea, in particolare, è lo stile alimentare più rappresentativo in questo ambito. Nonostante la sua nota efficacia nella prevenzione di malattie croniche come disturbi cardiovascolari e cancro, i risultati sul suo impatto specifico sul Parkinson erano stati finora variabili.

Per chiarire il legame tra Dm e Parkinson, la recente revisione sistematica e metanalisi ha aggregato i dati di 12 studi osservazionali, per un totale di oltre 314.603 partecipanti provenienti da diverse aree geografiche, inclusi Stati Uniti, Paesi europei e asiatici.

I risultati sono stati inequivocabili: una maggiore aderenza alla Dieta mediterranea è risultata significativamente correlata a una riduzione del rischio complessivo di Mp del 25% rispetto alla categoria di aderenza più bassa.

Un elemento di grande interesse della ricerca è l'analisi stratificata per stadio della malattia, in particolare sul fronte della cosiddetta Malattia di Parkinson Prodromica (pMp). Parliamo della fase precoce in cui le alterazioni neurodegenerative sono già iniziate, manifestandosi con sintomi non motori come disturbi del sonno o disfunzione olfattiva, prima che si manifestino i classici sintomi legati al movimento.

Nei quattro studi che si sono concentrati sulla diagnosi della pMp, l'adesione elevata alla Dm ha mostrato un effetto protettivo ancora più marcato: il rischio di pMp si riduceva del 33%, finanche del 37%. Per i pazienti con diagnosi già definita, la riduzione del rischio osservata era comunque significativa, attestandosi intorno al 17%.

La protezione sembra valere a tutte le età, con un'associazione inversa significativa sia per il gruppo sotto i 60 anni che sopra i 60 anni. Inoltre, le donne hanno mostrato i benefici maggiori.

I meccanismi biologici

Quali potrebbe essere le azioni protettive chiamate in causa? Sicuramente la capacità della Dm di contrastare i complessi meccanismi eziologici del Parkinson, che includono neuroinfiammazione, stress ossidativo, disfunzione mitocondriale e alterazioni del microbiota intestinale. La Dm, infatti, è ricca di vitamine e carotenoidi, con forti proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Questi composti possono proteggere i neuroni dopaminergici e inibire l'aggregazione della proteina alfa-sinucleina (asyn), che è patogena ne Parkinson. L’abbondanza di polifenoli, per esempio in olive, olio d'oliva, frutti di bosco e vino rosso, esercita, poi, effetti neuroprotettivi. La Dieta mediterranea, inoltre, regola positivamente l'interazione dell'asse intestino-cervello, modificando la composizione del microbiota per promuovere i microbi benefici. Infine, la fibra alimentare produce acidi grassi a catena corta che hanno effetti antinfiammatori e possono ritardare la progressione della malattia.

Sebbene la metanalisi offra un'ampia e robusta copertura di dati, gli Autori sottolineano che la maggior parte degli studi inclusi sono di natura osservazionale. Pertanto, non è possibile stabilire con assoluta certezza un legame di causa-effetto. Si è riscontrata anche una notevole eterogeneità, dovuta in parte alle differenze nei sistemi di punteggio utilizzati per definire l'aderenza alla Dm e all'inclusione o meno di variabili come il consumo di caffeina, anch'esso associato a una riduzione del rischio di Mp.

Nonostante queste limitazioni, le prove sembrano consistenti: un'elevata adesione alla Dm è correlata a un rischio significativamente inferiore di malattia di Parkinson, con benefici sono maggiori quanto prima si inizia a seguire questo regime.

Così concludono gli Autori: “Adottare uno stile alimentare ispirato alla Dieta mediterranea, ricco di frutta, verdura, legumi, cereali integrali e olio d'oliva, rappresenta una strategia semplice e potente per proteggere la salute del cervello e per la prevenzione della malattia di Parkinson nella pratica clinica. Sono necessari ulteriori studi clinici per comprendere meglio la progressione dalla pMp ad altre malattie neurologiche e per validare ulteriormente questi risultati”.

16/10/2025

Ogni giorno facciamo decine di scelte alimentari…ma quali sono le nostre conoscenze?🧐

La giornata mondiale dell’alimentazione promossa dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) dal 1979, ci invita a riflettere sul diritto universale a un'alimentazione sicura, sana e sostenibile🍎

Cosa è utile sapere?

✅Un'alimentazione bilanciata è il primo strumento di prevenzione: riduce il rischio di
malattie croniche come diabete, obesità, ipertensione e alcuni tumori.

🍅Diete a base vegetale e con ridotti consumi di carni rosse e processate sono associate a una maggiore longevità e a un impatto ambientale più contenuto.

🌎Alimentazione sana = pianeta sano: secondo l’EAT-Lancet Commission, una dieta sostenibile può nutrire la popolazione mondiale senza distruggere il pianeta. Non si tratta solo di cosa mangiamo, ma anche di come lo produciamo, distribuiamo e consumiamo.

Il cambiamento parte anche dal piatto!

Fonti:
👉🏼Willett W te al. Food in the Anthropocene: the EAT-Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems. Lancet. 2019 Feb 2;393(10170).
👉🏼https://www.fao.org/fao-italy/it
👉🏼https://www.who.int/

Alimentazione e nutraceutici per il trattamento delle dislipidemieLe malattie cardiovascolari aterosclerotiche rappresen...
14/10/2025

Alimentazione e nutraceutici per il trattamento delle dislipidemie

Le malattie cardiovascolari aterosclerotiche rappresentano la principale causa di mortalità a livello globale e di disabilità nei Paesi occidentali. Numerosi fattori di rischio contribuiscono all’insorgenza delle Acvd, classificabili in non modificabili (sesso maschile, età, familiarità) e modificabili (diabete mellito, obesità, tabagismo, ipertensione arteriosa, dislipidemia). Un’elevata concentrazione di colesterolo Ldl rimane un fattore di rischio maggiore per lo sviluppo delle Acvd e numerosi studi evidenziano che fino al 70–80 % delle malattie cardiovascolari nei soggetti affetti da diabete mellito è correlato a dislipidemia.

In presenza di target sempre più stringenti dettati dalle linee guida, accanto alla farmacoterapia, trovano ruolo l’adozione di strategie alimentari e l’utilizzo di nutraceutici per il trattamento della dislipidemia

La dieta mediterranea prevede un consumo moderato di latticini e pollame, limitazione di carne rossa e dolci e assunzione occasionale di vino durante i pasti. Essa garantisce un adeguato apporto di grassi insaturi (olio Evo, pesce, frutta secca), fibra vegetale e fitocomposti (frutta, verdura, cereali, legumi), polifenoli (olio Evo, vino rosso, erbe aromatiche), omega 3 (pesce) e antiossidanti naturali (vitamine, carotenoidi, polifenoli). Numerose metanalisi dimostrano una correlazione inversa tra aderenza alla dieta mediterranea e la insorgenza di diabete mellito tipo 2. La dieta mediterranea produce un notevole impatto benefico sul profilo lipidico, con diminuzione di Ldl colesterolo e colesterolo totale, aumento di Hdl colesterolo e riduzione dei trigliceridi. Gli effetti metabolici includono la riduzione del valore della emoglobina glicata, della pressione arteriosa e dei parametri di infiammazione (Pcr ad alta sensibilità, Il-6), associati a un calo ponderale fino al 5-10% del peso corporeo. Infine, la dieta mediterranea migliora la funzione endoteliale, aumenta la sensibilità insulinica e riduce lo stress ossidativo.

Oltre alla dieta, l’uso di nutraceutici (integratori alimentari con attività biologica) offre ulteriori benefici nel migliorare il profilo lipidico. Sulla base del profilo di rischio cardiovascolare del paziente e su eventuali intolleranze farmacologiche, essi possono essere usati in monoterapia o in associazione con altri nutraceutici o con una terapia farmacologica. L’ampio ventaglio di nutraceutici disponibili per il trattamento delle dislipidemie può essere classificato in tre categorie:

Inibitori dell’assorbimento intestinale di colesterolo: essi competono con il colesterolo esogeno per la formazione di micelle per l’assorbimento, aumentando dunque l’escrezione intestinale di colesterolo esogeno. Di questa categoria fanno parte i fitosteroli, derivati da oli vegetali, cereali integrali e frutta secca. Essi hanno dimostrato una riduzione dei livelli di trigliceridi, colesterolo Ldl e proteina C reattiva (PCR) sino al 12%, con effetto dose-dipendente, con dosi consigliate fino a 3 g/die.
Inibitori della sintesi del colesterolo epatico: la molecola di maggiore utilizzo è la monacolina K (riso rosso fermentato). Strutturalmente identica alla lovastatina, la monacolina K produce un effetto simile a quello della statina. La dose massima consentita in Italia come integratore è di 3 mg.
Induttori dell’escrezione del colesterolo Ldl: la berberina è un isoalcaloide presente nella radice, nel rizoma, nel gambo, nella corteccia e nel frutto di numerose specie di piante Coptis e Berberis. Essa inibisce la Pcsk9, inducendo un aumento della produzione ed una ridotta degradazione del recettore Ldl epatico (Ldl-R); la berberina induce inoltre una diretta sovra-regolazione dei Ldl-R attraverso meccanismi post-trascrizionali ed è un attivatore di Ampk, con conseguente incremento nell’ossidazione degli acidi grassi e una riduzione nell’espressione di geni lipogenici. A un dosaggio raccomandato di 500 mg per due o tre volte al dì, l’utilizzo di berberina produce una riduzione del 10-20% delle concentrazioni circolanti di Ldl colesterolo e trigliceridi. Tra gli altri effetti della berberina spiccano il rallentamento dello svuotamento gastrico e la riduzione dell’assorbimento glucosio, con decremento delle glicemie post-prandiali.

Tra i numerosi altri nutraceutici disponibili per il trattamento della dislipidemia, gli omega 3 (acidi grassi polinsaturi, Epa, Dha) consentono un miglior controllo dei livelli di Vldl (con riduzione del 16-40%) e di trigliceridi. Essi sono presenti naturalmente in specie animali (pesce, krill, uova, crostacei) e vegetali (alghe, semi di lino, noci). Il loro utilizzo (a un dosaggio di almeno 2 g/die) ha dimostrato una riduzione dei Mace e del rischio cardiovascolare.

La combinazione sinergica tra dieta mediterranea e nutraceutici offre un approccio efficace e sicuro per la gestione della dislipidemia, soprattutto in soggetti con intolleranze farmacologiche. Le evidenze mostrano benefici su Ldl, trigliceridi, glicemia, infiammazione e rischio cardiovascolare. Tuttavia, è cruciale personalizzare il trattamento secondo profilo metabolico e la tolleranza individuale, eseguire un adeguato follow-up per un’eventuale intensificazione della terapia e integrare sempre con uno stile di vita sano (attività fisica regolare, controllo del peso corporeo).

28/09/2025

Il declino cognitivo è un processo che può manifestarsi con l’età, portando a difficoltà di memoria, attenzione e ragionamento. Sebbene sia normale un lieve calo delle capacità cognitive con il tempo, alcune strategie possono aiutare a mantenere il cervello attivo e in salute.

Ecco alcuni consigli utili:

🧠Mantieni la mente attiva: Leggere, risolvere enigmi, imparare nuove abilità o suonare uno strumento aiuta a stimolare il cervello.

🍎Segui un’alimentazione sana: La dieta Mediterranea, ricca di antiossidanti, omega-3 e vitamine, supporta la salute cerebrale.

🏋🏻Fai attività fisica regolarmente: L’esercizio fisico migliora la circolazione sanguigna e aiuta a prevenire il declino cognitivo.

😴Dormi bene: Il sonno è essenziale per consolidare la memoria e favorire il benessere mentale.

🥰Coltiva le relazioni sociali: Mantenere una vita sociale attiva riduce il rischio di
deterioramento cognitivo.

❌Evita fumo e alcol in eccesso: Questi fattori possono accelerare il declino delle
funzioni cerebrali.

La prevenzione inizia oggi! Piccoli cambiamenti nello stile di vita possono fare la differenza nel preservare le capacità cognitive nel tempo.

Fonte 👉🏼Scarmeas et al. Nutrition and prevention of cognitive impairment. Lancet Neurol. 2018;17:1006-1015.

Cibi integrali e morbo di Crohn: la qualità della dieta può fare la differenza?Il morbo di Crohn è una malattia infiamma...
23/09/2025

Cibi integrali e morbo di Crohn: la qualità della dieta può fare la differenza?

Il morbo di Crohn è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che colpisce sempre più persone nei Paesi industrializzati. È caratterizzato da riacutizzazioni dolorose e debilitanti alternate a periodi di remissione, e la sua gestione è spesso complessa. Oltre alle terapie farmacologiche, negli ultimi anni si è aperto un fronte di ricerca molto attivo: il ruolo dell’alimentazione.

Molti pazienti riferiscono miglioramenti legati a cambiamenti dietetici, ma la letteratura scientifica ha finora proposto approcci spesso discordanti. Alcune diete eliminano gruppi specifici di alimenti, altre si basano su principi antinfiammatori o sull’aumento del consumo di fibre vegetali. Un nuovo studio clinico prova a fare chiarezza partendo da un’idea semplice: non conta tanto seguire una dieta “di moda”, quanto migliorare la qualità complessiva degli alimenti che mangiamo.
Lo studio

I ricercatori hanno coinvolto 28 adulti con morbo di Crohn attivo, di grado lieve o moderato, suddividendoli in due gruppi:

chi riceveva indicazioni per seguire una dieta naturale a base di cibi integrali (ricca di frutta, verdura, cereali integrali e alimenti poco processati),
chi invece proseguiva con la dieta abituale.

L’esperimento è stato condotto per 8 settimane. I ricercatori hanno valutato due indicatori principali:

la remissione clinica (cioè il miglioramento dei sintomi),
la variazione della calprotectina fecale, una proteina che riflette il livello di infiammazione intestinale.

Sono stati inoltre monitorati lo stato nutrizionale, l’assunzione di nutrienti e possibili effetti avversi.

L’analisi ha rivelato dati interessanti:

I pazienti che hanno seguito la dieta a base di cibi integrali hanno mostrato una probabilità significativamente maggiore di entrare in remissione clinica rispetto a chi ha continuato a mangiare come prima.
Nei partecipanti più aderenti al modello alimentare sano, la riduzione della calprotectina fecale è stata più marcata, indicando un potenziale beneficio anche sull’infiammazione biologica.
Non sono emersi effetti collaterali né carenze nutrizionali legate al nuovo regime alimentare.

Significato clinico

Il messaggio principale dello studio è che non è tanto un singolo alimento a determinare il beneficio, ma la salubrità complessiva della dieta. Una maggiore presenza di fibre, vitamine, minerali e fitocomposti antinfiammatori, unita alla riduzione di alimenti ultra-processati, può influenzare positivamente il microbiota intestinale e modulare la risposta immunitaria.

Questo approccio si inserisce in un filone crescente di ricerche che collegano dieta, microbioma e malattie infiammatorie croniche. Un’alimentazione integrale sembra non solo nutrire l’organismo, ma anche favorire una comunità di microbi intestinali più equilibrata, capace di ridurre l’infiammazione.

Per i pazienti con morbo di Crohn, migliorare la qualità complessiva della dieta con cibi naturali e integrali potrebbe rappresentare un’arma in più contro l’infiammazione, accanto alle terapie tradizionali. Non si tratta di seguire regimi estremi o restrittivi, ma di adottare un modello alimentare più vicino a quello che la ricerca riconosce come “dieta sana”.


Bibliografia : Berkeley N Limketkai, Jieping Yang, Lidia Chau et al
Fonti : Clin Nutr ESPEN. 2025 Aug 14:69:580-589. doi: 10.1016/j.clnesp.2025.08.015.

22/09/2025
Il mito delle proteine: tra ossessione social e rischi per la salute Siamo ormai in preda a una vera e propria ossession...
20/09/2025

Il mito delle proteine: tra ossessione social e rischi per la salute

Siamo ormai in preda a una vera e propria ossessione per l'assunzione di proteine.
“L'ultima indagine annuale del 2024 dell'International food information council ha rivelato che ben il 71% degli americani desidera aumentare l'assunzione di proteine, una percentuale in forte crescita rispetto al 52% del 2022”. “Le ricerche su Google sul tema alto contenuto proteico hanno raggiunto il loro picco nel 2025. Non sorprende, dato che i social media pullulano di promotori di proteine, con decine di video tutorial su TikTok che suggeriscono di assumere 200 grammi di proteine al giorno. Un sondaggio ha mostrato che il 40% degli atleti non professionisti che assumono integratori proteici ricava le proprie informazioni proprio dai social media”.

La richiesta per un maggiore apporto proteico si basa sull'idea che le persone non ne assumano abbastanza, rispetto ai 0,8 g/kg/die raccomandati dalla National academy of medicine e dall'Organizzazione mondiale della sanità. Eppure, i dati più recenti dell'Usda (United States department of agriculture) indicano che oltre il 55% degli uomini e il 35% delle donne supera già questa raccomandazione federale.

Benefici inesistenti o non provati

“Nonostante l'enorme spinta, non ci sono dati a sostegno di un apporto proteico superiore a 1,6 g/kg/die”. “Per gli adulti over 50 le prove sono contrastanti. Studi randomizzati non mostrano alcun beneficio aggiuntivo dell'assunzione di proteine rispetto al solo allenamento di resistenza per migliorare la massa magra. Nonostante ciò, in Europa si raccomanda alle persone sopra i 65 anni di aumentare l'assunzione di proteine a circa 1,2 g/kg/die, sebbene persistano molte incertezze. Anche l'idea che un maggiore apporto proteico favorisca la sazietà e la perdita di peso è tutt'altro che chiara, con alcuni studi che mostrano come un elevato apporto proteico possa portare a un maggiore consumo calorico complessivo”.

Va ribadito un principio fondamentale, spesso ignorato: l'organismo non ha modo di immagazzinare le proteine extra. “Si possono digerire tonnellate di proteine, ma la domanda chiave è: quante se ne possono usare? E non abbiamo un modo per immagazzinare amminoacidi extra. L'azoto in eccesso dagli amminoacidi viene semplicemente rimosso e escreto sotto forma di urea. L'allenamento di resistenza è il principale motore per lo sviluppo della massa muscolare e della forza, non un elevato apporto proteico in sé. Diversi esperti concordano sul fatto che superare 1,5-2 volte la dose giornaliera raccomandata non porta a benefici aggiuntivi significativi, poiché l'effetto delle proteine sull'aumento della massa muscolare raggiunge una sorta di plateau”.

I rischi nascosti

L'assunzione abituale o cronica di elevate quantità di proteine, specialmente di origine animale, è stata associata a un aumento del rischio di diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e una maggiore mortalità per tutte le cause in numerosi studi osservazionali. “Uno studio prospettico su quasi 44 mila donne svedesi ha evidenziato un'associazione tra dieta ricca di proteine e rischio cardiovascolare elevato”. “In un altro studio su oltre 2.400 uomini, si è riscontrato un aumento dell'insufficienza cardiaca in coloro che seguivano una dieta ricca di proteine, in particolare se derivate principalmente da animali. È noto da tempo che un elevato apporto proteico è pericoloso per le persone con malattie renali, condizione che affligge 1 adulto su 7, con la stragrande maggioranza che non ne è consapevole. Studi su modelli animali hanno costantemente rilevato che le diete a basso contenuto proteico sono associate a una maggiore longevità e a un invecchiamento sano".

Quali sono i meccanismi alla base del rischio? “La ricerca suggerisce che un elevato contenuto proteico attiva il sistema mTor (mammalian Target of rapamycin), nei macrofagi, promuovendo la progressione dell'aterosclerosi. L'amminoacido essenziale leucina è stato identificato come il principale responsabile di questo processo, causando aterosclerosi tramite l'attivazione di mTOR. Questa scoperta è cruciale, poiché la leucina è uno dei tre amminoacidi essenziali a catena ramificata ampiamente utilizzato come integratore da atleti e persone che si allenano e a cui vengono attribuite proprietà anti-invecchiamento. Ciò è paradossale, poiché l'attivazione potente di mTOR è l'esatto contrario dell'effetto della rapamicina, un farmaco che molti influencer della longevità assumono per bloccare mTOR. La leucina, abbondante in prodotti animali come carne, uova e latticini, ma presente anche in verdure, fagioli, semi e frutta secca, può quindi essere considerata pro-infiammatoria e potenzialmente dannosa se assunta in eccesso, soprattutto tramite integratori”.

Altri studi hanno mostrato che un metabolita dell'istidina, altro amminoacido essenziale, prodotto dai batteri del microbioma intestinale, può indurre direttamente l'aterosclerosi attraverso lo stesso meccanismo pro-infiammatorio di attivazione di mTor della leucina.
“L'ossessione per l'aumento dell'assunzione di proteine è infondata. L'85% della popolazione consuma già più della dose giornaliera raccomandata di 0,8 g/kg/die e quasi il 25% ne consuma il doppio. Le evidenze scientifiche non supportano un apporto proteico molto elevato, certamente non superiore a 1,6 g/kg/die, il doppio della dose raccomandata. Non esistono dati di alta qualità da studi randomizzati che possano supportare l’indicazione di circa 3 volte la dose raccomandata, come promosso da qualcuno. Sebbene sia chiaramente una moda del momento e una notevole fonte di reddito per aziende e individui che promuovono tali prodotti, questa tendenza non è comprovata scientificamente. L'allenamento di resistenza è il vero motore per lo sviluppo di massa muscolare e forza, non certo un'elevata assunzione di proteine”.

Settembre si avvicina. È il mese ideale per riprendere le sane abitudini alimentari dopo gli eccessi delle vacanze estiv...
25/08/2025

Settembre si avvicina. È il mese ideale per riprendere le sane abitudini alimentari dopo gli eccessi delle vacanze estive.
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12/08/2025

Il “detox” è un solo mito di marketing

Il corpo ha già un suo efficiente sistema di depurazione: fegato (biotrasformazione), reni (filtrazione ed escrezione), polmoni (CO₂ e composti volatili), pelle (barriera e sudorazione), intestino (feci e bile). Le cosiddette “tossine” non vengono risucchiate da succhi o cerotti; ciò che conta sono dieta equilibrata, idratazione, sonno, niente alcol e farmaci solo se necessari.

Sudore ≠ grasso
La bilancia scende dopo una seduta intensa? È acqua. Il dimagrimento reale è la riduzione del tessuto adiposo nel tempo: deficit calorico sostenibile, proteine adeguate, allenamento di forza + attività aerobica.

Grasso e muscolo: due strade biochimiche diverse
Il grasso si riduce quando la lipolisi supera la lipogenesi; il muscolo cresce quando la sintesi proteica muscolare supera la degradazione. Sono processi paralleli, non una “trasformazione”.

Lattato innocente (e utile)
Il lattato sale con sforzi intensi, viene riconvertito a piruvato o a glucosio (ciclo di Cori) e usato come energia. Il dolore che arriva 24–48 ore dopo (DOMS) è legato a microlesioni miofibrillari e alla risposta infiammatoria, non a “acido lattico fermo nei muscoli”.

Digiuno: quando ha senso e quando no
Intermittente o time-restricted eating possono aiutare in sovrappeso/insulino-resistenza; ma non sono panacee e vanno personalizzati. Evitare fai-da-te in pazienti fragili o in terapia. Il cardine resta la qualità della dieta e l’aderenza nel lungo periodo.

Prodotti “detox”: perché diffidare
Claims vaghi, assenza di outcome clinici duri, spesso solo studi su marker surrogate o in vitro. In più, alcune piante possono dare epatotossicità se concentrate/abusate. Il miglior “detox” resta eliminare ciò che intossica: alcol, fumo, eccessi calorici, sedentarietà.

Altri miti rapidi da smontare

“Addominali localizzati bruciano la pancia”: no, il grasso si perde in modo sistemico.

“Tuta sauna = più grasso bruciato”: solo più sudore e rischio disidratazione.

“Acqua alcalina cambia il pH del sangue”: il pH è rigidamente regolato.

“Integratori brucia-grassi” miracolosi: effetti modesti o nulli; attenzione a caffeina/simpaticomimetici.

In pratica (piccola linea guida)

- Dieta mediterranea ben fatta, proteine 1.2–1.6 g/kg se si allena, fibre da cibi veri.

- Forza 2–3×/settimana + camminata/HIIT modulato.

- Sonno 7–9 h, alcol al minimo, controllo del peso.

- Digiuno solo se indicato e supervisionato.

Indirizzo

Via DELEGAZIONE MUNICIPALE 34
Mattinata
71030

Telefono

+393471576892

Sito Web

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