Dott.ssa Silvia Notaro

Dott.ssa Silvia Notaro Studio medico-psicologico

22/08/2025

Cosa spinge così tanti uomini a iscriversi a un gruppo in cui vengono condivisi scatti rubati alle mogli trattate come oggetto per alimentare commenti sessisti? Intervista a Leonardo Mendolicchio, psichiatra e psicoanalista

13/08/2025

E c’è la cosiddetta “malattia mentale”.
Chissà perché considerata in modo totalmente diverso
dalla malattia fisica: uno stigma, qualcosa
che ci interroga sui confini tra normalità e follia
e, facendoci sentire che la distinzione non è netta,
ci spaventa, fa ve**re a galla la paura del non-controllo,
la convinzione che la volontà possa qualcosa,
e la rabbia invidiosa per chi non ha argini convenzionali
al dire e al fare. Spesso non riusciamo a vedere che dietro
non c’è altro che un’enorme sofferenza, cosí grande che straripa,
scolla i nessi, sbreccia, scavalca i bordi del contenitore,
corpo, mente, tutto. È una sorta di temporanea soluzione
al troppo pieno. Una sofferenza insoffribile ci interroga sulla nostra tendenza a coprire, imbiancare, fingere, distrarci,
non pensarci, gettarci nell’azione, non fermarci
mai, essere sempre all’esterno di noi e non sentire
il vuoto che chiama: «Torna a casa».
Chi soffre mentalmente ha una casa inabitabile,
ma non è distratto: è divorato dalla presenza.
Ha bisogno di un involucro fuori di sé, di ascolto non giudicante.
E che vuol dire? Sapere come sto mentre ascolto,
non nascondere il timore, non trasformare
le emozioni in tranquillizzanti giudizi, in sedazioni
del pensiero. Stare con l’altro nella verità di sé.
E vuotarsi dai pregiudizi, riconoscendoli,
per ospitare l’altro, per specchiarsi reciprocamente.
Tu mi fai tremare, io resto, per accogliere i nostri tremiti
e tremare insieme.

Chnadra Candiani da 'I visitatori celesti.' Einaudi
foto da 'Matti da slegare' di Agosti, Bellocchio, Petraglia. Rulli

31/07/2025

Non è il distacco a farci a pezzi.
È quando cade il teatro.
Quando ci accorgiamo che quella persona non era affatto come l’avevamo scritta nella nostra mente.
E no, non è neppure sempre colpa sua.
Siamo stati noi, con tutta la nostra fame d’amore, a cucirle addosso un ruolo.
A ignorare gli indizi, a romanticizzare i silenzi, a trasformare le zone d’ombra in mistero.
Abbiamo confuso la chimica con il destino, la gentilezza con l’amore, il bisogno con la compatibilità.
La delusione non è altro che la fine di un’illusione.
E fa male perché rompe qualcosa dentro.
Mette in discussione la nostra capacità di scegliere, di capire, di proteggerci.
Ci fa sentire ingenui, vulnerabili, scoperti.
Ma non è debolezza.
È umanità.
Perché tutti, almeno una volta, abbiamo voluto credere che fosse vero.
Che questa volta fosse diverso.
Che fosse quella persona.
E invece no.
E allora non ci basta chiudere una relazione per chiuderla davvero.
Ci tocca smontare, pezzo per pezzo, il castello che avevamo costruito nella testa.
Togliere i “ma era così speciale”, i “sembrava diverso”, i “forse cambierà”.
E ammettere che no, non era lui. Era l’idea che ci eravamo fatti di lui.
Una proiezione. Un desiderio travestito da realtà.
E lì, proprio lì, in quel dolore che non sappiamo spiegare, iniziamo a crescere.
Quando impariamo ad amare senza inventare.
A fidarci senza idealizzare.
A vedere davvero. Non ciò che vogliamo vedere, ma ciò che è.
E anche se sembra una perdita, è in realtà una liberazione.
Perché non c’è dolore più tossico di un amore basato su un’illusione.
E non c’è verità più salvifica di un cuore che impara a scegliere chi lo vede davvero.
Senza veli.
Senza filtri.
Senza favole

(Enrico Chelini, Psicoterapeuta)

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Via Statale 5P
Merate
23807

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