22/07/2025
UNA DENOMINAZIONE DA MODIFICARE
Leggo spesso con angoscia ma anche con molto rispetto amore ed empatia, i post scritti da madri e padri di bambini con chiusura autistica, poiché conosco benissimo quanta sofferenza, quanta stanchezza ed amarezza, quante attese deluse, quanti sogni spezzati vi sono dietro quelle parole che bruciano e dovrebbero lasciare un segno indelebile nell’animo di tutti quelli che le leggono o le ascoltano.
Tuttavia, senza mai colpevolizzare alcuno, vorrei e spero che ogni genitore, come ogni familiare ed operatore, possa finalmente riuscire ad avere un’immagine diversa e certamente più vicina alla realtà di questi bambini e dei loro bisogni.
Vorrei che ogni genitore cominciasse ad abbandonare una denominazione che bolla per la vita questi loro figli: non più dire a sé stessi e agli altri “Ho un figlio autistico”, oppure “Mio figlio è autistico”, ma “Ho un figlio che presenta chiusura autistica”, oppure ancora meglio “Ho un figlio che attualmente si è chiuso in se stesso”.
Già questo potrebbe dare molta più fiducia e speranza, poiché ormai da molti anni sappiamo, e abbiamo dimostrato, che le chiusure, tutte le chiusure, possono essere in parte o in tutto abbandonate. Tutte le chiusure possono trasformarsi realisticamente in aperture: ai propri genitori, agli altri, al mondo che li circonda, alla vita.
Inoltre, già modificare il modo di definire i propri figli, potrebbe stimolare ogni genitore a vedere il proprio figlio in modo diverso: non come un bambino, un adolescente o un adulto condannato dalla sua presunta e mai dimostrata neurodiversità, a rimanere con caratteristiche autistiche per tutta la vita ma come un bambino, un adolescente o un adulto che aspettano e sperano tanto di fare pace con gli altri e il mondo, come persone che sono disponibili ad aprirsi agli altri e al mondo.
Già modificare il modo di definire questi bambini potrebbe stimolare i genitori ad occuparsi non della loro educazione, non dei loro apprendimenti, non dei loro comportamenti, ma di ciò che vive nel loro cuore: e quindi occuparsi di ciò che essi desiderano, cercano, vorrebbero, in pratica occuparsi delle loro emozioni e sentimenti. In modo tale da creare gioia dove alberga la tristezza, serenità dove vi sono ansie e paure, fiducia dove regna un’amara sfiducia.