23/10/2025
Dalla mia stanza di terapia…dialoghi che curano
Il cibo come consolatore bugiardo
P (paziente) T (terapeuta)
P: Ciao Raffaele, oggi volevo parlarti di una cosa
T: dimmi tutto
P: si… ma mi vergogno è una cosa che non sa nessuno
T: fai bene, sai che in genere ti critico sempre…è più forte di me (sorrido)
P: (sorride) riguarda il cibo
T: dai…ti ascolto
P: niente, ci sono volte che mangio di tutto…e non riesco a fermarmi
T: quando ti succede di solito?
P: ad esempio ieri
T: è successo qualcosa ieri o in questo periodo?
P: questo è un periodo stressantissimo, sto lavorando praticamente tutti i giorni, c’è il concorso alle porte e il mio ragazzo ha avuto la “bella” notizia che dovrà lavorare un anno in Toscana e quindi sarà un casino.
T: beh, effettivamente sembra tanta roba
P: e ieri notte quando sono tornata non ce l’ho fatta più e ho mangiato qualsiasi cosa era a portata di mano
T: capisco e dopo come ti sei sentita?
P: in colpissima… perché poi penso che ingrasso e questo mi fa sentire stupida e inadeguata
T: mi sembra giusto… no?
P: no
T: ok questo è un buon punto di partenza
T: riesci a ricordare che rapporto avevi con il cibo quando eri piccola?
P: ecco appunto, lo sai che a casa la situazione tra i miei era sempre instabile
T: si
P: e niente, ogni volta che le cose si mettevano male scappavo da mia nonna e lei cercava di farmi distrarre praticamente mangiando
T: quindi il cibo si è trasformato in consolazione…
P: proprio così, e man mano che crescevo andava sempre peggio (abbassa gli occhi)
T: sai cos’è una strategia di coping disfunzionale?
P: no
T: in poche parole è una strategia poco protettiva che utilizziamo per affrontare momenti difficili e queste strategie, il più delle volte, le impariamo e strutturiamo durante l’infanzia forse perché, in quella fase di vita, non avevamo tante alternative e quelle erano le uniche alle quale potevamo aggrapparci, come una sorta di strategia di sopravvivenza che poi quando cresciamo diventa automatica…che ne pensi?
P: che questo vuol dire che perché mia nonna non se la cavava molto bene con l’affettività usava il cibo come una carezza
T: brava
P: ed io oggi faccio lo stesso… ma la consolazione dura poco
T: si, ma la cosa importante è chiedersi… come mai?
P: non lo so
T: pensaci un attimo, in questo periodo con il lavoro, il concorso e il trasferimento del tuo ragazzo; qual è la tua vera fame?
P: fermarmi un po'
T: bene, e cosa ti impedisce di farlo?
P: lo sai che quando faccio una cosa, voglio farla in maniera…
T: perfetta!
P: appunto
T: sì, ma a quale costo?
P: (sospira) di perdermi di vista
T: esatto e con quale risultato?
P: che mi stresso, mi abboffo, mi sento sbagliata e sto malissimo
T: sì…ora dimmi… esiste la perfezione?
P: no
T: esatto, e questo vuol dire che ogni volta che vogliamo essere perfetti ci condanniamo all’inadeguatezza perché quella perfezione non la potremmo raggiungere mai e quindi finiremo solo per essere sopraffatti ed infelici
P: ha senso
T: ricordi perché viviamo? Occhio non puoi sbagliare (sorridendo)
P: viviamo per la gioia e la gioia ci viene solo dal soddisfacimento dei nostri bisogni autentici e personali
T: brava! e adesso dimmi, secondo te essere perfetta è un tuo bisogno autentico e personale?
P: assolutamente no
T: e allora da dove viene? A chi dovevi dimostrare di meritare le sue carezze attraverso le performance?
P: beh, sicuramente papà, ricordo che anche quando mi sono laureata con il massimo dei voti è riuscito a dirmi: “hai fatto metà del tuo dovere”
T: e allora stai ancora cercando di dimostrare a tuo padre che vali…
P: credo proprio di si (piange)
T: (restiamo un po' in silenzio accogliendo e validando quel dolore e quella tristezza) …sai, non posso esserne certo ma, conoscendo qualcosa della tua storia, probabilmente tuo padre è stato sempre fiero di te, solo che quello poteva essere il suo modo, sicuramente disfunzionale, per spronarti…sai che mio padre, quello che davanti al dieci meno diceva: “perché quel meno?”, quando avevo 42 anni con tutta la serenità del mondo mi ha detto in maniera assolutamente scontata: “ma io sono sempre stato orgoglioso di te” ed io gli ho risposto: “cavolo papà se me lo dicevi a 6 anni mi risparmiavi un sacco di casini” (sorridiamo insieme)
P: (alza gli occhi ancora umidi) ho capito
T: cosa?
P: che quando voglio essere perfetta sto cercando di conquistare il mio Genitore interno, quello esigente e critico (la parte di noi dove interiorizziamo le persone significative della nostra vita, nei loro aspetti positivi e negativi, che come una presenza a volte protettiva ma molto più spesso negativa influenza ancora la nostra esistenza) per il quale in realtà non è mai abbastanza
T: te lo dico sempre che hai un bel Adulto (la parte di noi che fa capo alla corteccia pre-frontale la più evoluta del nostro cervello, quella che, tra le altre, ci fa percepire le cose per quelle che sono e prendere le decisioni più protettive)… quando ti succede di abbuffarti vorrei che tu non ti criticassi ma comprendessi quella parte di te, quella bambina che prima ci ha mostrato la sua sofferenza e che fino ad oggi si è sempre consolata in questo modo quando le cose si mettevano male
P: farò del mio meglio
T: ne sono sicuro! Voglio anche che nei momenti difficili ti fermi e senti la mia voce nella testa che ti chiede la solita fondamentale domanda
P: di cosa hai veramente bisogno in questo momento?
T: sì, perché questa è la maniera più protettiva per capire quali sono le tue fami autentiche e prendertene cura in maniera protettiva, liberandoti dalla presa di quel Genitore critico ed esigente, per dedicarti alla TUA gioia.
P: sì
T: bene, allora che farai adesso?
P: non posso fermarmi ma sicuramente posso rallentare un bel po' per respirare, passare più tempo col mio ragazzo, in vista della partenza, e dedicarmi un po' di carezze nutritive, come dici tu.
T: mi piace!!!
(questo dialogo è ispirato a più storie di vita che ho avuto il piacere di accompagnare, senza specifici riferimenti, che condividevano lo stesso processo, nel rispetto della privacy e segretezza dei pazienti)