Elisa Vianello Psicoterapeuta

Elisa Vianello Psicoterapeuta “Rendi conscio l’inconscio, altrimenti lui guiderà la tua vita e tu lo chiamerai destino” Jung

Psicologa - Psicoterapeuta , età evolutiva e adulti, terapia individuale e di gruppo, in lingua italiana e spagnola. L'obiettivo comune è creare, costruire e progettare il Benessere Personale.

25/11/2025

L’indecisione è uno degli stalli psicologici più frequenti e più sottovalutati. Non è semplicemente il “non sapere cosa scegliere”: è uno spazio mentale sospeso, un limbo che assorbe energia, aumenta il rimuginio e spesso amplifica la sensazione di inadeguatezza.

Quando resti troppo a lungo nell’indecisione, la tua mente entra in una modalità di iper-analisi: cerchi la scelta perfetta, la garanzia assoluta, la certezza che nessuna opzione possa portar dolore o errore.

Ma la verità è semplice e scomoda: non esiste la scelta senza rischio. Esiste la scelta che ti permette di crescere.

L’indecisione, invece, ti immobilizza. Blocca il movimento, ostacola l’evoluzione, ti mantiene in uno stato di tensione costante.

È uno stallo che dà l’illusione di protezione, ma in realtà ti allontana da te stessa: dalle tue risorse, dal tuo intuito, dai tuoi bisogni reali.

Dal punto di vista psicologico, scegliere è un atto di maturità emotiva. Non si tratta di “indovinare” il futuro, ma di prendersi la responsabilità del proprio cammino. Anche quando fa paura. Anche quando non ti senti pronta. Anche quando sai che potresti sbagliare.

Perché crescere non significa evitare l’errore, crescere significa permettersi il movimento.

Ogni scelta che fai è un passo verso una versione più consapevole di te. Ogni decisione, anche quella difficile, ti aiuta a definire chi sei, cosa vuoi, cosa non vuoi più accettare.

Arriva sempre un momento in cui rimanere ferme fa più male che rischiare. Ed è lì, proprio lì, che la vita ti chiede coraggio: decidi, muoviti, attraversa lo spazio incerto e scopri che puoi sostenerti, correggerti, riallinearti.

L’indecisione ti trattiene. La decisione ti evolve. Scegli di scegliere.

Con mucho amor ❤️

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Oggi non celebriamo una ricorrenza: diamo voce a una realtà che ...
25/11/2025

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Oggi non celebriamo una ricorrenza: diamo voce a una realtà che spesso vive nel silenzio.

Non è solo un giorno. È una ferita collettiva che ci chiede ascolto, presenza, responsabilità.

La violenza non è solo un atto fisico, non è fatta solo di lividi. È psicologica, emotiva, economica, verbale, sessuale. Vive nei silenzi forzati, nelle parole che umiliano, nei confini violati, nelle paure che si insinuano lentamente fino a diventare normalità. È fatta di controllo, svalutazione, isolamento, paura. È un lento logoramento dell’identità: ti fa dubitare di te stessa, dei tuoi ricordi, della tua percezione. Lavora nell’ombra, si infiltra nelle relazioni e confonde l’amore con il possesso.

La violenza è un processo, non un episodio. È qualcosa che toglie spazio psichico, identità, libertà interna.

Ma c’è una verità che merita di essere detta, forte e chiara: non è colpa tua. Mai. E non sei sola.

La guarigione, la salvezza, comincia dal riconoscere che ciò che stai vivendo non è “normale”. Comincia quando trovi il coraggio, anche piccolo, anche fragile, di parlarne con qualcuno.

Se ti senti in pericolo, confusa, annullata, controllata, minacciata, umiliata…chiedere aiuto non è debolezza. È il primo atto di protezione verso di te.

Puoi rivolgerti:
• a un* psicolog* o terapeuta
• ai centri antiviolenza della tua città
• al numero nazionale antiviolenza e stalking 1522 (attivo h24, gratuito, anonimo)
• a una persona di cui ti fidi davvero

Meriti di sentirti al sicuro. Meriti rispetto. Meriti una vita libera dalla paura.

Oggi ricordiamo tutte le donne che non hanno potuto salvarsi. E tutte quelle che stanno ancora cercando il coraggio di farlo.

Se stai attraversando qualcosa che ti fa male: non aspettare. La tua voce conta. La tua sicurezza viene prima di tutto.

Io ci sono, con mucho amor ❤️

24/11/2025

La paura è un’emozione primaria, fondamentale per la nostra sopravvivenza. Ci orienta, ci protegge, ci segnala che qualcosa merita attenzione.

Ma diventa disfunzionale quando smette di essere una guida e inizia a diventare un limite: quando ci blocca, ci fa evitare, ci tiene fermi in zone troppo strette per la nostra crescita.

Arriva come un nodo allo stomaco, con una sensazione che pulsa e che ci spinge a fare un passo indietro proprio nel momento in cui vorremmo andare avanti.

E più la eviti, più quell’ombra si amplifica, si stende silenziosa su decisioni che non prendiamo, possibilità che non cogliamo, parti di noi che restano in sospeso.

Ma la paura non scompare evitando di guardarla. Dal punto di vista psicologico, ogni evitamento rafforza i circuiti interni della minaccia: il cervello apprende che “non è sicuro” e che dobbiamo proteggerci ritirandoci. È così che l’ombra si allunga.

Jung chiamava Ombra proprio ciò che non vogliamo vedere di noi: emozioni, ferite, conflitti, bisogni non riconosciuti. E la paura è spesso una delle forme più potenti con cui l’Ombra ci parla. Non per bloccarci, ma per farci integrare qualcosa che abbiamo lasciato fuori dalla coscienza.

Affrontare la paura significa fare un movimento diverso dal solito: non eliminarla, ma restare presenti mentre la attraversi. È questo che modifica il sistema nervoso, che costruisce nuove mappe interne, che ti permette di tollerare ciò che prima sembrava ingestibile.

Ogni micro-esposizione, ogni passo nella direzione che temi, invia un messaggio nuovo al tuo cervello:“Posso farcela. Sono al sicuro. È possibile.”

E lentamente l’ombra si ritira, perché non ha più bisogno di proteggerti da qualcosa che ora sai contenere.

Oggi chiediti: Quale paura sto lasciando decidere al posto mio?E qual è il primo, minuscolo passo che posso fare per riprendere in mano la mia luce?

Con mucho amor ❤️

“Nella vita non importa ciò che ti accade, ma come scegli di reagire.” EpittetoIn psicologia sappiamo che non è l’evento...
23/11/2025

“Nella vita non importa ciò che ti accade, ma come scegli di reagire.” Epitteto

In psicologia sappiamo che non è l’evento in sé a determinare il nostro benessere, ma l’interpretazione che ne diamo, il modo in cui lo integriamo nella nostra storia interna e le strategie di coping che mettiamo in atto.

Quando viviamo un’esperienza difficile, il nostro sistema nervoso attiva risposte automatiche: attacco, fuga, congelamento e talvolta compiacenza. Sono schemi appresi, spesso antichi, che si attivano per proteggerci.
Eppure, proprio in quegli istanti, la vera crescita avviene quando iniziamo a osservare la nostra reazione, riconoscerla e creare uno spazio mentale per scegliere una risposta più regolata.

È questo il processo che in clinica chiamiamo autoriflessione, mentalizzazione e regolazione emotiva.
Significa riconoscere le emozioni senza esserne travolti, comprendere i bisogni sottostanti e attivare comportamenti coerenti con i nostri valori e credenze, non con i nostri trigger.

Anche la spiritualità, in questo senso, ci ricorda che tra stimolo e risposta esiste uno spazio sacro: lo spazio della presenza, in cui possiamo interrompere la catena automatica e ridefinire il significato dell’esperienza.

E ogni volta che scegliamo una risposta più consapevole, stiamo riorganizzando le nostre reti neurali, rinforzando la nostra resilienza e costruendo un Sé più integrato.

Non è ciò che accade fuori a definirci, ma ciò che siamo capaci di elaborare dentro. È lì che avviene la trasformazione.

E allora chiediti:
Come sto rispondendo a ciò che vivo?
Sto reagendo con il mio passato… o rispondendo con la mia possibilità di cambiamento?

Perché la vera evoluzione comincia nel momento in cui smetti di subire ciò che accade e inizi a scegliere chi vuoi diventare davanti a ciò che accade.

Con mucho amor, siempre 🌹

21/11/2025

All’inizio di ogni cambiamento c’è quasi sempre un senso di disagio. Non perché stai sbagliando strada, ma perché il tuo sistema interno sta riorganizzandosi.

Dal punto di vista psicologico, quando esci dai tuoi schemi abituali il cervello attiva meccanismi di allerta: non riconosce ancora il nuovo come “sicuro” e ti fa sentire confusa, irritabile, sospesa. È una fase fisiologica, non un segnale di fallimento.

Il disagio è il primo passo dell’integrazione: è il punto in cui vecchi automatismi si allentano e nuovi modi di essere iniziano a formarsi. È lo spazio fragile in cui nasce la trasformazione.

Se stai vivendo questa sensazione, ricordati:
• non sei “tornata indietro”,
• non significa che non sei pronta,
• significa che stai attraversando il ponte tra ciò che eri e ciò che stai diventando.

Accoglilo con gentilezza. Respira dentro quell’iniziale caos. È il segnale che la tua rinascita è già iniziata.

Con mucho amor ❤️

L’autostima non é “un tratto fisso”, è un processo psicologico che si costruisce, si nutre e si protegge ogni giorno.Cli...
20/11/2025

L’autostima non é “un tratto fisso”, è un processo psicologico che si costruisce, si nutre e si protegge ogni giorno.

Clinicamente, possiamo definirla come il modo in cui valutiamo il nostro valore personale, ma nella pratica è molto di più: è il dialogo interno con cui interpretiamo ciò che viviamo, quello che diciamo a noi stessi e il modo in cui ce lo diciamo.

Spesso l’autostima si incrina non per mancanza di capacità, ma perché abbiamo interiorizzato sguardi critici, confronti costanti, aspettative impossibili.

Ad esempio:
• Quando minimizzi un successo dicendo “non era niente”.
• Quando chiedi scusa per esistere o per avere un bisogno.
• Quando tolleri relazioni che non rispecchiano il tuo valore.

Coltivare l’autostima significa allenare una nuova postura interna. Significa imparare a darti valore, a legittimarti, a prenderti cura di te e a volerti bene. Non si costruisce solo con frasi motivazionali, ma con micro-azioni quotidiane di coerenza e gentilezza verso se stessi.

Ecco alcuni passi psicologicamente efficaci:
• Riconosci i tuoi progressi, anche quelli piccoli: il cervello impara per rinforzo positivo.
• Metti confini chiari: ogni “no” coerente aumenta la percezione del tuo valore interno.
• Riduci l’autocritica automatica: chiediti “questa voce è mia o è un’eredità di qualcun altro?”.
• Agisci secondo ciò che senti, non secondo ciò che gli altri si aspettano: l’autostima cresce nella congruenza.
• Scegli ambienti che ti rispecchiano, non che ti consumano.

Ricordati che l’autostima non è “sentirsi forti” ma imparare ad essere dalla propria parte, soprattutto nei giorni in cui ti senti fragile. Significa essere la tua principale fan, la tua più grande alleata, la tua squadra. È lì che si vede davvero quanto ti stai scegliendo.

E tu, ti stai dando quel valore che meriti? 🦋

Con mucho amor ❤️

19/11/2025

A volte dietro il bisogno di controllo non c’è rigidità, ma paura. La paura di non riuscire a gestire l’imprevisto, di rivivere un caos già conosciuto, di soffrire, di tornare in quel luogo interno in cui ci siamo sentiti impotenti.

Il controllo diventa allora un tentativo di sicurezza. Un modo per tenere lontano l’incertezza, per evitare il dolore, per non sentire la vulnerabilita. Ma nel tentativo di controllare tutto, finiamo spesso per perdere il contatto con noi stessi e la vita stessa.

Perché il controllo nasce dalla mente, mentre la vita accade nel corpo, nel sentire, nel flusso del presente. E quando cerchiamo di gestire ogni dettaglio, perdiamo la capacità di affidarci, di stare, di fidarci del processo.

Il paradosso è che il bisogno di controllo nasce dal bisogno di sicurezza, ma proprio il controllo ci impedisce di sentirci davvero al sicuro, perché la vera sicurezza non si trova nel prevedere tutto, ma nel sapere che qualunque cosa accada, saremo in grado di affrontarla.

Rinunciare al controllo non significa cedere, ma imparare a fidarsi. Non significa disinteressarsi, ma scegliere di abitare la vita invece di contenerla.

Domanda per te: in quali ambiti della tua vita senti di avere più bisogno di controllo... e cosa temi accadrebbe se lo
lasciassi andare?

Con mucho amor, siempre 🌹

19/11/2025

Fermarsi non è debolezza. È una competenza psicologica.
Nella nostra cultura tendiamo a confondere il movimento continuo con l’efficacia, ma dal punto di vista clinico sappiamo che senza pause il sistema nervoso si sovraccarica, la mente perde lucidità e le emozioni si confondono.

Fermarsi significa interrompere l’automatismo. Significa creare uno spazio interno in cui osservare ciò che sta accadendo senza esserne travolti.

È in quella sospensione che possiamo:
• ricalibrare le nostre priorità,
• ascoltare segnali che avevamo ignorato,
• riorganizzare energie mentali ed emotive,
• distinguere ciò che ci appartiene da ciò che stiamo portando per abitudine.

Il punto è questo: la pausa non arresta il cammino, lo rende più autentico. Perché quando ci fermiamo, ci ritroviamo.
E solo da lì, da un contatto più vero con noi stessi, possiamo ripartire con una direzione chiara, una motivazione rinnovata e un’energia più integra.

A volte il passo più evolutivo non è andare avanti, ma concedersi di stare.

Con mucho amor ❤️

19/11/2025

La fine di una relazione è uno degli eventi emotivamente più dolorosi da attraversare. È’ una esperienza di lutto in quanto “perdita”. Dal punto di vista psicologico, rappresenta una rottura di schemi, abitudini, significati e legami di attaccamento. È un cambiamento che attiva paura, vuoto, disorientamento… ed è normale che accada.

Se però integriamo una lettura più ampia, quella quantistico-sistemica, possiamo osservare la relazione come un campo di esperienza: un luogo in cui due persone si incontrano perché, a livello profondo, esiste un processo di apprendimento reciproco.

Ogni legame diventa così uno spazio evolutivo:
• dove emergono parti di sé,
• dove si attivano ferite antiche,
• dove si costruiscono nuove competenze emotive.

Quando quel processo si completa, quando ognuno ha integrato ciò che la relazione era destinata a insegnargli, l’energia del legame cambia. Non “finisce” in senso assoluto: semplicemente ha concluso la sua funzione evolutiva.

Da questa prospettiva, la fine non è un fallimento, ma la naturale chiusura di un ciclo psicologico ed esperienziale.

Riconoscerlo permette di elaborare il distacco con più lucidità, meno colpa e maggiore capacità di attribuire senso. Perché ciò che termina, in realtà, lascia sempre tracce trasformative.

Che ne pensi?

Con mucho amor ❤️

18/11/2025

La zona di comfort è uno spazio psicologico che il nostro cervello percepisce come sicuro e prevedibile. Restarci significa ridurre l’ansia e il rischio, ma anche mantenere intatti schemi di comportamento che spesso ci tengono bloccati negli stessi cicli emotivi.

Dal punto di vista clinico, uscire da questa zona è un vero e proprio allenamento del sistema nervoso: ogni nuova esperienza attiva circuiti neuronali diversi, amplia la finestra di tolleranza emotiva e costruisce nuove connessioni che favoriscono resilienza e flessibilità psicologica.

Sì, all’inizio può emergere paura o resistenza — ed è normale. Ma è proprio attraversando quella soglia che impariamo a tollerare l’incertezza, a regolare le emozioni e a trasformare le difficoltà in strumenti di crescita.

Non è coraggio assenza di paura, ma capacità di muoversi nonostante la paura. Non è cambiamento fare qualcosa di grande, ma uscire ogni giorno un po’ oltre i propri limiti abituali.

Fuori dalla zona di comfort non c’è solo il nuovo: ci sei tu, nella tua versione più evoluta.

Con mucho amor, siempre 🌹

18/11/2025

Sorridere non è solo un gesto emotivo. È un atto corporeo che dialoga con il cervello, con i neurotrasmettitori e con il sistema nervoso.

Ogni volta che sorridi, anche in modo lieve, il tuo corpo invia un messaggio di sicurezza al cervello: “va tutto bene”.
Il sistema parasımpatico si attiva, si abbassa Il cortisolo, aumenta la serotonina. In pochi secondi cambia la chimica interna, e di conseguenza, lo stato emotivo.

Non si tratta di “fingere” felicità. Si tratta di scegliere di dare al corpo un segnale di apertura anche quando la mente è chiusa. Perché il corpo è il primo linguaggio dell’Anima: quando lo coinvolgi, il pensiero segue.

Sorridere, allora, diventa un piccolo atto di autoriparazione. Un modo per ricordarti che, anche nelle giornate più pesanti, dentro di te c’è ancora una zona di luce che puoi riattivare.

Non sorridere per negare ciò che provi. Sorridi per ricordarti che puoi stare con ciò che provi senza affondare in esso. Il sorriso non è una maschera, è una medicina gentile che parte dal corpo e arriva al cuore.

Con mucho amor ❤️


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Milan

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