14/05/2022
Mi piace, dalla seconda ondata pandemica, coltivare orchidee. Le accolgo in casa, le coltivo, le curo, tutte hanno un nome, ci parlo e trascorro il mio tempo tra libri e consigli on line e le ammiro, entrando in una dimensione contemplativa e meditativa profonda.
La prima che ho curato, l'ho uccisa... troppo amore, troppa cura, troppa acqua... troppo e la piccola meravigliosa Dea, non ha retto!
Ne ho salvato una foglia, l'ho verniciata e incorniciata, messa in una quadretto accanto alle altre, a monito, per ricordarmi cosa non fare.
Da allora, ne ho ammazzate altre due. Qualunque coltivatore che si rispetti afferma che fa parte del gioco, della vita. Nella nostra, come in quella delle orchidee, la morte e la malattia esistono.
Le curo, le coccolo, ci parlo, canto, gli dò il benvenuto, saluto i nuovi fiori che si schiudono al mondo, uso la giusta dose di concime, controllo il livello di umidità, alterno concime a nitrato di calcio, vaporizzo con attenzione. Le osservo per essere certa che non ci siano tracce di ospiti indesiderati, di muffa, di marciume. Ne ho alcune nella mia postazione di lavoro, accanto alla finestra, perché mi piace osservarle anche tra una seduta e l'altra, perché rendono l'ambiente più armonico e vivace coi loro colori.
Mi dispero, perché non rifioriscono. Mi rattristo perché muoiono.
Rifletto, ogni volta che le curo, che devo svasarle, creare una zattera, rinvasarle, tagliare le parti morte e causticare le ferite con le cesoie roventi, su come il modo di curarle sia una perfetta sintesi della genitorialità.
Sono così ipervigile in certi momenti che rasento sicuramente uno stile genitoriale ansiogeno.
Poi arrivano i momenti di iperlavoro, giornate infinite in cui alterno riunioni di scuola, lezioni frontali a pazienti, corsi di formazione, eventi on line o in presenza... e le orchidee finiscono nella loro isola felice senza il minimo sguardo, la minima cura, la minima attenzione... Ed ecco che avviene la magia e il parallelo con la genitorialità continua: più sono convinta di fare male, di essere una orchimamma di m***a (passatemi il termine) e più loro crescono rigogliose, mi regalano radici nuove, foglie verdi e sode, inizi di steli e keiki... boccioli, fiori quasi mai. Ecco che il dubbio mi assale, seguo la mia community on line e vedo foglie, fiori e piante che creano estasi e mi chiedo: oh, dove sto sbagliando?
Sono fermamente consapevole del fatto che, come i figli senza foglie e clorofilla, le piante non si evolvano per fare felice me, ma per seguire quella che Carl Rogers definisce "tendenza attualizzante". Dai a un'orchidea o a un qualunque essere umano, una condizione minima e ridotta per evolversi e lui/lei lo farà, al meglio delle sue possibilità, come i germogli sulle patate nella penombra della dispensa.
Perché vi racconto tutto questo?
Perché la cura è la base essenziale del vivere bene;
perché il contatto con la natura e ancor di più con la coltivazione è una delle più grandi fonti di benessere che esistano (anche senza dilapidare i propri risparmi per comprare costose orchidee!);
perché probabilmente avete dei figli e vi fate le stesse identiche domande;
perché forse li state crescendo come siete stati cresciuti voi, sulla base delle vostre idee e delle vostre aspettative
Ecco, lasciateli liberi sulla propria mensola, dategli luce, il giusto nutrimento, il giusto grado di calore e umidità... la possibilità profonda di avere fiducia in se stessi e nel mondo che si stanno creando intorno, vedrete che andranno lontano, sbocceranno, fioriranno e non dimenticheranno mai le proprie radici.
Volete consigli su come uccidere la vostra prima orchidea? Beh, siete nel posto giusto, datevi una pacca sulla spalla e ditevi che sbagliando si impara.
Consigli per i figli dite? Sì, sarebbe quello il mio campo senza hobby, che dirvi: per fortuna i figli umani sono più resistenti delle piante 😉
Buon weekend così! Ci rivediamo col buongiorno del lunedì e se serve scrivetemi nei commenti o anche nei messaggi.
Buon vita!
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