09/04/2021
Trattare temi così delicati e complessi come il confine tra la tutela della salute pubblica e quello della tutela di se stessi in quanto operatori del campo è senza dubbio molto difficile.
Presuppone un pensiero complesso, che provi a tenere assieme i diversi livelli in gioco. Tutta la questione della pandemia si è sin dal primo giorno giocata su questo. Ovviamente la campagna vaccinale rientra appieno in questa complessità, aumentandone la posta in palio. Quale sia esattamente il confine tra la libertà di scelta personale e il dovere della pubblica tutela non è questione semplice dal punto di vista etico. Come è ovvio, dentro il tema giocano infiniti fattori di sensibilità personale, di visioni politiche, di apprensione e fobie inconsce.
Entrare a gamba tesa dentro questa complessità non è certo ciò che ci si attende da chi si è volontariamente assunto il compito di indicare vie possibili d’uscita dallo stato di crisi profonda.
Meno ancora ci si attende che tutto venga gestito soprattutto sulla base delle reazioni emotive del momento, per cui un giorno d’imperio si decide che tutti gli iscritti agli albi professionali delle professioni sanitarie devono essere vaccinati senza distinzione di criterio alcuna, il giorno seguente si rimproverano aspramente gli stessi di averlo fatto.
A parte lo scontato invito a fare pace con se stessi prima di ogni ulteriore proclama, sarebbe legittimo avanzare la domanda su quanto questa confusione non celi, o piuttosto esprima, la vera emergenza sanitaria che attraversa il paese, quella relativa alla salute mentale, tanto enorme da non potere neppure essere nominata.