28/11/2025
Il mio ricordo di Umberto Veronesi.
Ho lavorato insieme a Umberto Veronesi per un numero di anni superiore a quello di chiunque altro: ricordarlo nel centenario della sua nascita non è solo onorare un maestro, ma celebrare la memoria sempre viva di un carissimo amico.
La sua rivoluzione non si è limitata alla chirurgia del tumore al seno: se così fosse, faremmo comunque bene a ricordarci di lui ogni giorno. Il punto è che ha ribaltato del tutto il modo in cui si guarda alla malattia tumorale e, di conseguenza, alle cure per le persone che ne sono affette.
Umberto Veronesi ha rifiutato l’idea dell’incurabilità e della perdita della funzione familiare, sociale, lavorativa di chi soffre per un tumore: la sua costante ricerca assomigliava quasi a una lotta personale contro un nemico che tenta di togliere dignità alle persone, un duello che Veronesi non ha mai abbandonato perché riteneva che ogni donna e uomo che incontrava meritassero di esistere nella pienezza dei propri desideri, delle emozioni, della professione e della vita di relazione. Il tumore non doveva portare via tutto, non doveva azzerare la voglia di apparire in piena bellezza, funzionalità, apertura alle relazioni.
Quando sento dire che è stato un uomo solare non sono d’accordo: ha avuto luci e ombre caratteriali che gli hanno donato la profondità e l’unicità che servono per farsi ricordare. Un elemento peculiare che tengo a sottolineare è la sua sincerità nel voler conoscere davvero le persone, e non alludo solo ai pazienti: aveva un profondo rispetto per chiunque lo circondasse e sembrava dotato di uno speciale dono per capire quali fossero i veri talenti e quale fosse la vera strada che avrebbe portato alla realizzazione di sé.
Da collega e direttore, non avrebbe mai mancato di rispetto nei confronti di chi lavorava insieme a lui, qualunque fosse il ruolo di ciascuno: era capace di ascolto e di empatia genuini, forse aiutato da un’origine familiare orgogliosamente contadina che lo aveva portato a investire molta energia per arrivare fin dove era. Sapeva quanta fatica costi perseguire i propri obiettivi e non sottovalutava mai il lavoro altrui. C’era una cosa che poteva farlo arrabbiare in modo immenso: la mancanza di comunicazione con le/i pazienti; se capitava, non esitava a rimproverare duramente chiunque fosse stato poco attento/a.
La mia gratitudine per lui è pari all’amore con cui lo ricordo e, a volte, lo rimpiango. Il tocco speciale, delicato e forte della sua eleganza sarebbe veramente necessario oggi a molti livelli, insieme alla visione lungimirante e tollerante che lo ha sempre caratterizzato.