Antonietta Caputo, Psicologa-Psicoterapeuta

Antonietta Caputo, Psicologa-Psicoterapeuta Psicologa-psicoterapeuta ad approccio sistemico-relazionale integrato. Milano | Online. Antonietta Caputo, Psicologa-Psicoterapeuta

[LA CRIPTA e IL FANTASMA: Quando la voce degli antenati fa eco attraverso i sintomi]A volte i dolori e i sintomi che viv...
20/11/2025

[LA CRIPTA e IL FANTASMA: Quando la voce degli antenati fa eco attraverso i sintomi]

A volte i dolori e i sintomi che viviamo oggi non nascono solo da noi.

Ci sono emozioni, schemi e ferite che attraversano le generazioni e arrivano fino al presente, spesso in modi che facciamo fatica a spiegare.
È ciò che chiamiamo trasmissione transgenerazionale del trauma: esperienze non elaborate dai nostri antenati che si intrecciano con la nostra storia personale, rendendo più complessi alcuni sintomi o vissuti.

Nell’approccio sistemico-relazionale, il sintomo non è “il problema”, ma un segnale: una porta che si apre su una storia più ampia fatta di legami, memorie, silenzi e lealtà familiari invisibili.

Abraham e Torok, ne La scorza e il nocciolo, spiegano che quando un dolore non può essere detto o elaborato, può restare come CRIPTA: un luogo sigillato nella storia emotiva di una famiglia, qualcosa che non è mai stato messo in parole.

E ciò che resta imprigionato può tornare come FANTASMA: un non-detto che cerca voce attraverso i sintomi, attraverso emozioni, paure o sensazioni che sembrano non avere un’origine chiara.

📌 Esempi concreti?
– Una paura intensa dell’abbandono che non sai spiegare… e scopri che una nonna ha perso un figlio mai nominato.
– Un senso di colpa “senza motivo”… mentre nella storia familiare c’è un evento traumatico mai elaborato.
– Un’ansia che emerge “dal nulla”… e i sogni riportano simboli o atmosfere che sembrano appartenere a un’altra epoca della famiglia.

Schützenberger, ne La sindrome degli antenati, riprende questi concetti e mostra come ciò che non è stato affrontato possa attraversare più generazioni, finché qualcuno — spesso proprio noi — non trova il coraggio di guardarlo e dargli un nome.

La psicoterapia diventa allora un percorso per riappropriarsi della propria storia, dare forma a ciò che era stato taciuto, trasformare ciò che pesa e lasciare finalmente andare ciò che non ci appartiene più.

Non per “guarire” in senso medicale,
ma per liberarsi, vivere con più autenticità e ritrovare una leggerezza nuova dentro di sé.



Se sei qui di passaggio e vuoi leggere ancora di questi temi, restiamo in contatto.

Antonietta Caputo, Psicologa-Psicoterapeuta

💛

19/11/2025
07/11/2025

Già nel primo contatto qualcosa accade: il terapeuta ascolta, valuta, accoglie, sintonizza.
E in quella risposta, anche breve, può esserci già un effetto terapeutico. 🌱

La violenza psicologica lascia tracce anche nel corpo, non solo a livello mentale. Prova di ciò è la grande quantità di ...
27/10/2025

La violenza psicologica lascia tracce anche nel corpo, non solo a livello mentale. Prova di ciò è la grande quantità di malattie che la scienza non è riuscita a trattare e curare.

Siamo abituati a pensare al tempo come a una linea:prima il passato, poi il presente, infine il futuro.Invece, soprattut...
24/10/2025

Siamo abituati a pensare al tempo come a una linea:

prima il passato, poi il presente, infine il futuro.

Invece, soprattutto in terapia, questa linea non è mai così "dritta".

✨ In psicoanalisi, Freud parlava di après-coup (Nachträglichkeit): un evento non porta in sé un significato definitivo al momento in cui accade. Spesso resta "in sospeso", quasi muto. Solo più tardi, quando un'esperienza successiva lo richiama, quell'evento passato si riaccende, acquista un nuovo senso, può perfino diventare traumatico o, al contrario, trasformativo.

È il presente che rilegge e dà voce al passato, ribaltando l'ordine cronologico.

✨ Nella psicoterapia sistemico-relazionale, ogni nuova narrazione condivisa cambia il modo in cui leggiamo la nostra storia: i ricordi non sono fotografie immutabili, ma pagine riscrivibili che ci permettono di trasformare i legami che furono e che sono e, così, alleggerire i pesi. Non a caso, in questo approccio di terapia si dice spesso che "i limiti diventano risorse". È una *magia* che si compie con impegno.

✨ Anche la filosofia ci ricorda questo paradosso:

Nietzsche con l'eterno ritorno, dove l'invito è a immaginare che ogni attimo della vita si ripeta all’infinito. Se ogni esperienza deve tornare, allora il senso non sta nel "superarla", ma nel darle un nuovo valore, trasformandola. È un modo radicale per dire che il presente può rifondare il passato.

Ricoeur con il concetto di memoria narrativa: la memoria non è un deposito statico, bensì una continua ricostruzione narrativa.

Benjamin con l'idea che il presente illumina la costellazione del passato, perché non "scorre oltre", ma lo riaccende, lo porta a nuova vita, gli dà un senso nuovo.

Tutti modi per dirci che il tempo non è lineare, ma dialogico.

Così, il passato non resta dietro: può diventare il futuro del presente, se ci mettiamo in una nuova prospettiva, tutta da riscrivere.

In quest'ottica, la terapia diventa lo spazio in cui impariamo a piegare il tempo, a cambiare il significato di ciò che è stato, per aprire strade nuove davanti a noi.

🫶🏻 Ogni ricordo è un futuro che attende di essere riletto.

Antonietta Caputo, Psicologa-Psicoterapeuta
www.antoniettacaputopsicologa.it

02/10/2025

✨ La domanda era: “La mia psicoterapeuta, dopo 15 sedute, mi ha detto che non può aiutarmi a causa dei miei silenzi. Non si dovrebbe capire prima?”

Nei reel precedenti ho parlato di quanto possa essere variabile il tempo necessario per analizzare davvero una domanda in terapia (trovi i reel sul profilo).

Oggi invece mi soffermo sul silenzio.

Anche se brevemente, possiamo dire che non è mai assenza di comunicazione, anzi!

Il gruppo di Watzlawick a Palo Alto (*) affermava con forza:
“Non si può non comunicare.”

Perché nei silenzi troviamo sempre messaggi impliciti, anche quando non dichiarati:

✨ Il silenzio può comunicare attesa, osservazione, rispetto, ragionamento, elaborazione.

🙅🏻‍♀️ Ma anche assenza, sfiducia, rifiuto, diniego e disaccordo.

🕷️ Al peggio punizione, controllo e potere.

👉🏻 Il silenzio è d’oro, perché al suo interno contiene parole non dette di grande valore.

✨✨✨

Oggi, vorrei approfondire il silenzio che parla della fatica di affidarsi in terapia 👉🏻 un sintomo di come la persona si gioca la fiducia là fuori, nella vita vera!

Ma non solo… il silenzio nel raccontarsi può parlare anche di resistenze al cambiamento che, lungi dall’essere viste come la peste nera, sono difese preziose. 💎

Per chi – nella sua famiglia di origine e nelle esperienze precoci – ha dovuto faticare con la fiducia, è normale entrare in terapia e restare in silenzio, nonostante il desiderio di stare meglio. Una parte di noi, probabilmente, in quella stanza non vuole starci del tutto.

Perché i sintomi ci chiedono di farci aiutare, ma al tempo stesso segnalano un equilibrio che si è cronicizzato nel tempo: “se fai da solo, è meglio”.

E chi è abituato a fare da solo, fa fatica a chiedere aiuto.

Il silenzio in terapia ci dice anche questo. 💌

Il compito del* terapeuta, allora, è stimolare la riflessione e restituire alla persona una serie di possibili significati connessi a quel silenzio. E non c'è “tempo” che tenga, se non quello della propria anima.

💬 E tu? Ti sei mai trovato in silenzio in terapia? Come lo vivi: come difesa, come protezione o come ostacolo?

* Libro citato nei commenti 💬

I BAMBINI DI IERI, ADULTI DI OGGINelle famiglie disturbate i bambini si sentono responsabili dei problemi familiari e an...
08/09/2025

I BAMBINI DI IERI, ADULTI DI OGGI

Nelle famiglie disturbate i bambini si sentono responsabili dei problemi familiari e anche della loro soluzione.

I modi in cui i bambini cercano di “salvare” le loro famiglie sono TRE:

rendersi invisibili,
diventare cattivi
o essere bravi.

-Rendersi invisibili significa non chiedere mai nulla, non avere esigenze, evitare preoccupazioni ai genitori. La sofferenza personale di questi bambini/adulti è essere intorpiditi, non sentire niente.

-Essere cattivi significa essere ribelli. Il capro espiatorio, punto focale delle sofferenze della famiglia. I genitori si chiedono "cosa faremo di lei/lui?” invece di chiedersi "cosa faremo del nostro matrimonio?".
La rabbia copre il suo dolore.

-Essere bravi significa essere vincenti nel mondo esterno. Sembrare felice e brillante serve a coprire la paura e la rabbia.

Apparire felice diventa più importante che sentirsi felice.

(R. Norwood)

🌿 Benvenuto settembre.
01/09/2025

🌿 Benvenuto settembre.

"A chi ha paura di iniziare una terapia"Oggi condivido una storia diversa dal solito: il racconto di G. che, al termine ...
28/08/2025

"A chi ha paura di iniziare una terapia"

Oggi condivido una storia diversa dal solito:

il racconto di G. che, al termine della sua terapia, mi ha chiesto di lasciare "un messaggio di speranza" a quanti si trovano oggi a lottare con la paura di iniziare (o restare) in terapia.

È un racconto vero, anonimo, intenso, che abbiamo deciso di condividere su questa pagina, con l'idea che possa raggiungere più persone possibili.

È una firma creativa, al termine del nostro viaggio, che restituisce a questo mondo social ciò che le ha donato inizialmente: la speranza!

Abbiamo parlato dei "rischi" di questa condivisione (esporsi a giudizi, vedere invalidata la propria storia - perché sì, i social sono anche questo), ma anche dei grandi vantaggi (la gratitudine, mandare un abbraccio e vicinanza a chi sta attraversando un momento difficile).

G. ha deciso di stare dalla parte dei "pro", perché più nessun giudizio può definirla:

lei sa chi è.

Buona lettura 🪷

"Mi chiamo G.
Ho iniziato la terapia a 41 anni e oggi, dopo un anno e mezzo di percorso, sento di poter lasciare un messaggio di speranza.

All’inizio ero molto reticente.
Forse è un po’ fisiologico esserlo… anche al solo pensiero di non raggiungere il risultato sperato.

Poi mi sono detta: “Ma che cosa ho da perdere? Peggio di così come può andare?”

Spoiler: è andata bene.
Ma non è stata mica una passeggiata.

Via via, le piccole conquiste quotidiane, sommate tra loro, hanno portato al risultato sperato. Sin dall’inizio, però, ci sono state delle difficoltà.

La più grande?
Trovare il coraggio di iniziare davvero.

Dopo un consulto di 5 incontri all’università, lo psicologo mi disse chiaramente che per me era fondamentale cominciare una terapia.

Il sintomo era un blocco universitario che ormai durava da troppo: ero iscritta a Medicina, ma non riuscivo più ad andare avanti.

Provai con il consultorio, ma non mi trovai bene. Così decisi di cercare online, e lì scelsi la mia terapeuta.

Un’altra difficoltà era quella economica.
All’inizio ho pagato le prime sedute con qualche risparmio.
Poi, finiti quelli, ho chiesto un piccolo aiuto a mia madre.
Fino a quando sono riuscita a trovare un lavoro che mi permettesse di pagarmi da sola la terapia.

Quel lavoro è stato il primo vero risultato terapeutico.
Il mio blocco nello studio era, in realtà, un blocco nella vita.

Uno dei motivi fu che, per una serie di dinamiche, nella mia famiglia assunsi un Ruolo rigido di figlia iper-responsabilizzata: mi occupavo delle 'questioni' di casa ( da quelle concrete a quelle emotive) e, spesso, anche di questioni che andavano oltre la mia responsabilità.

Poi, in aggiunta mi ripetevano: “Tanto tu hai tempo, perché studi soltanto”.
E io ci avevo creduto.

Così sono rimasta intrappolata nella parte della ragazza studentessa, brava figlia, sempre disponibile per gli altri e poco per sé. In una parola: in gabbia.

Un primo punto di svolta arrivò con una frase della mia terapeuta:
“ma... studiare È un lavoro”.

Quelle parole mi risuonano ancora oggi: scardinarono via via la convinzione che mi teneva bloccata.
Per la prima volta iniziai a vedermi davvero come una donna di 41 anni, non più come una ragazzina sospesa.

E, così, andare in biblioteca ogni giorno diventò il mio modo di “andare al lavoro”.
Piccole azioni, sì.
Ma dentro di me, un cambiamento enorme.

Ovviamente non sono mancati i momenti di sconforto.
A volte, i passi avanti sembravano seguiti da due indietro.

Ma la mia terapeuta mi ricordava:
“Stai costruendo una nuova abitudine. Datti tempo, per abituarti”.

E io oggi dico a te: “Non demordere”.
All’inizio è tutto nuovo, magari spaventoso…
Ma c’è una nuova routine da acquisire,
una nuova Te che ti aspetta, come una farfalla che, liberandosi in volo, lascia indietro il suo baco da seta.

E in questo processo di evoluzione, fondamentale è stata la relazione terapeutica.
Un "posto" dove puoi scoprirti autentica, dove puoi finalmente definire confini, essere chiara, evitare invischiamenti.
Un vero allenamento per costruire la tua identità.

Oggi, alla fine del mio percorso, posso dirlo forte:
Quel blocco che mi teneva ferma NON mi definisce più.

Perché sì, ERO iscritta a Medicina. "Ero", perché ORA sono un medico.

Scrivo per chi ha paura, come me all’inizio, e scrivo per chi ha la mia età, dentro o fuori, e si sente la vita in sospeso.

La terapia spaventa, è faticosa e talvolta dolorosa, ma in alcuni casi necessaria.

Oggi posso dire che è proprio attraversando la "selva oscura" che si arriva in "paradiso":
Non mollare. Se proprio ne senti il bisogno, fa' che sia a tempo determinato.

❤️"

🪷 La terapia non va davvero in vacanza. 🪷Le sedute vanno in pausa, certo. Ma la terapia continua, a lento rilascio.🌱 Com...
21/07/2025

🪷 La terapia non va davvero in vacanza. 🪷

Le sedute vanno in pausa, certo. Ma la terapia continua, a lento rilascio.

🌱 Come un seme che resta nel terreno anche quando in superficie tutto sembra fermo.
Come una relazione che non si spegne, ma cambia forma per qualche tempo.

E allora: cosa può aiutare durante la pausa?

🧭 Qualche punto da tenere a mente:

1️⃣ Scrivere al/alla terapeuta (se avete concordato questa possibilità).

Laddove c’è una disponibilità concordata, si può:
• scrivere per un’urgenza
• condividere aggiornamenti da riprendere poi in seduta
In alcuni casi, la chat di WhatsApp può diventare un piccolo diario di bordo: parole che lasciano tracce, che non chiedono risposta ma raccontano continuità.

2️⃣ Tenere un quaderno personale.

Annotare pensieri, immagini, ricordi, sogni.
Può essere una scrittura libera, creativa, oppure legata a ciò che è emerso in terapia.

📓 Scrivere diventa una strategia per accogliere e accogliersi, per rielaborare, per non perdere ciò che si muove dentro.

3️⃣ Accogliere i momenti di fatica come spazi di lavoro interiore.

Dolore, nostalgia, dubbi: possono diventare occasioni per allenare uno sguardo diverso, quello che piano piano si sta costruendo in terapia.
Anche quando sembra di tornare indietro, spesso qualcosa dentro si è già mosso.

4️⃣ Riprendere metafore, immagini, concetti emersi in seduta.

Ritornare su una frase chiave, su un'immagine emersa insieme può dare un senso di continuità e sostegno. Qualcosa da portare con sé, da rileggere nei momenti più delicati.

5️⃣ Concedersi lentezza e fiducia.

La pausa non è vuoto. È spazio. E nello spazio, spesso, si depositano intuizioni preziose.

🌱 La terapia continua anche nel silenzio: è lì che i semi mettono radici.

Buona estate 💛

Oggi parliamo di una modalità comunicativa disfunzionale che fa molto discutere:Il Gaslighting 🪔👉🏻 Scorri il carosello p...
10/07/2025

Oggi parliamo di una modalità comunicativa disfunzionale che fa molto discutere:

Il Gaslighting 🪔

👉🏻 Scorri il carosello per leggere tutto.

E se ti rivedi in queste dinamiche, ricorda:

Non c'è nulla di sbagliato in te o nell'altro, piuttosto proviamo a osservare con apertura e consapevolezza le modalità di comunicazione in atto e, se lo ritieni opportuno, porta i contenuti in terapia:

con un/a professionista potrai affrontare ciò che emerge, esplorare le radici di certe dinamiche e, soprattutto, prenderti cura di te.

🌿 Non per colpevolizzarti, ma per comprendere, scegliere, trasformare.

Indirizzo

Via Fratelli Rosselli, 5
Milan
20139

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Conosciamoci...

Mi chiamo Antonietta Caputo, sono Psicologa (iscritta all’Albo degli Psicologi della Campania, n° 7226), specializzanda in Psicoterapia a indirizzo Sistemico-Relazionale e in Psicologia dello Sviluppo.

È difficile dire di sé in poche righe, ancora di più se non ci guardiamo negli occhi.