25/11/2025
La sentivo gridare sotto quel suo cielo nero. Davanti a me un urlo silenzioso, non verbale. Quel maglione largo e le maniche da ti**re ossessivamente per non dare aria nemmeno ai polsi, le labbra rinsecchite da mordicchiare, i segni invisibili negli occhi pallidi, le crepe modellate da lacrime acide che dalle guance consumate scendevano fino al petto, lo sguardo perduto, le unghie rotte. Poteva restare nel silenzio quanto voleva con me, gridare nell'ombra, le parole avrebbero dato luce ad una storia maledetta che adesso non serviva. Non conoscevo quasi niente, ma anche lei ancora non sapeva.
Non sapeva che stavo ascoltando le sue urla trattenute sotto la lingua, che ero lì e non sarei andata da nessuna altra parte. Non sapeva che la debolezza e la forza possono essere la stessa cosa, si alimentano vicendevolmente in un ingranaggio quasi perfetto. Non sapeva che avrebbe ancora riaperto quelle mani per stringerle, intrecciandole, in altre. Non sapeva che un giorno forse avrebbe potuto ferire il suo artefice ma non le sarebbe importato più nulla. Non sapeva che in quel giorno sarebbe stata temibile solo per una di quelle cose che, una volta apprese, non si dimenticano più. Aver imparato a sopravvivere.
(Tratto dal mio racconto "Universo pallido")
Per chi non c'è più.
Per chi è sopravvissuta ma è ferita profondamente.
Per chi ha tanta paura ma deve chiedere aiuto.