11/08/2020
Reggio Emilia, 2020.
Il vescovo di Reggio Emilia e Guastalla Monsignor Camisasca ritiene indispensabile esprimere la sua opinione sul tema dell'interruzione volontaria di gravidanza.
Un uomo. Di chiesa. Che ancora una volta non riesce a farsi da parte sulle scelte legislative del nostro Stato "laico", né sulle scelte delle donne.
Monsignor Camisasca sostiene che la depenalizzazione dell'ab**to abbia "portato cultura di morte" e critica le recenti modifiche alle linee guida in tre punti: che l'accessibilità in day hospital banalizzi il ricorso all'IVG, che la donna verrà lasciata troppo sola, che l'Italia ha bisogno di nuove nascite, visto il declino demografico.
In tutto questo, non si fa scrupolo di chiamare "mamma" la donna che si indirizza all'ab**to, una cosa gravissima e aberrante. Nel 2020 è assurdo dovere ancora giustificare l'importanza della accessibilità totale all'ab**to: una donna deve poter interrompere la propria gravidanza per mille ragioni senza che le vengano fatte troppe domande.
Se il Vescovo è preoccupato dalla demografia, il nostro consiglio è sempre lo stesso: di iniziare a preoccuparsi di tutto ciò che succede tra l'inizio e la fine di una vita, di quelle condizioni materiali che impediscono a tante persone che vorrebbero diventare genitori di accedere a un welfare che glielo consenta.
Abortire non è necessariamente un trauma: lo diventa se si continua a instillare nelle donne quel senso di colpa che ci portiamo dietro da troppo tempo. E, se è un'esperienza difficile, l'importante è che ci siano professionisti e familiari ad aiutare, tanto in day hospital quanto in ricovero.
Leggere giudizi e ipocrisie di questo tipo a pochi giorni da una conquista (peraltro parziale) ci inorridisce, e lei, monsignore, ha perso una buona occasione per starsene da parte.
Nadia Monti
Alex Isabelle