06/07/2023
Per la Rubrica "Autori di Philo-Sabof": Giovanna Morelli, analista filosofa, ricercatrice, saggista.
“Ivan Illich e la fenomenologia dell'incarnazione” in In cammino sullo spartiacque. Scritti su Ivan Illich , a cura di A. Arrigoni, E. Morandi, R. Prandini, Mimesis, Milano-Udine 2017, pp.33-69.
Riflettendo sul corpo medicalizzato e sulla iatrogenesi culturale Illich ha dunque iniziato a configurare il senso profondo della nemesi tecnica […] Già in Nemesi Illich rileva che il «progressivo appiattimento della prestazione personale virtuosa», la perdita della virtù e dell’etica, procedono di pari passo con la perdita del piacere. «Il consumatore di anestesia», resosi estraneo a un dialogo esistenziale col proprio corpo, non sa educarsi al piacere come al dolore; l’ «aumentata soglia dell’esperienza a base fisiologica» induce la richiesta di stimolanti sempre più forti. In questo senso, fuggendo il fantasma del masochismo, perdiamo ogni autentico edonismo, proprio mentre rivendichiamo ideologicamente il nostro diritto al godimento. Spinta al limite, la manipolazione del dolore e del corpo potrebbe produrre una nuova specie di orrore «l’esperienza dell’ insensibilità artificiale».
Questa «anestetizzazione» diffusa di un corpo che si vorrebbe tecnicamente amortale, minaccia, secondo Illich, la nostra stessa «esperienza dell’io», così profondamente radicata in tutta la gamma di esperienze sensuali alle quali dobbiamo «il senso di esser vivi». La soggettualità incarnata, intraducibile non solo in termini di pura fisicità, ma anche in quelli ugualmente astratti e oggettivabili di unità psico-fisica, si pone come dato fenomenologico irriducibile, opaco, soggettivamente denso, fortemente interno, qualcosa di inappropriabile e indisponibile se non da me stesso. Esperiamo qui la paradossale ambiguità dell’incarnazione: il nostro limite più evidente – la gnostica “notte della carne”, la antiquata “prigione della carne” invisa all’utopia cyborg – è al tempo stesso pre-condizione fondante dell’edificio personale e della sua libertà, quale sarà infine per Illich coronata dall’autorivelazione dello spirito nella dimensione carnale del sé. (pp. 47-48)