30/11/2025
La dissonanza cognitiva: ciò che ci ricorda, chi non la vede, cosa accade quando arriva.
Ci ricorda qualcosa che cerchiamo costantemente di dimenticare, che non siamo creature lineari, ma ammassi complessi di convinzioni, paure, bisogni e narrazioni che si intrecciano e spesso si contraddicono. È la prova vivente che la nostra identità non è mai un blocco compatto, ma una trama fragile in cui le cuciture saltano appena un pensiero inatteso la attraversa. Ogni volta che sperimentiamo la dissonanza cognitiva, è come se una crepa luminosa si aprisse nel muro che abbiamo costruito attorno a ciò che crediamo di essere.
Ci ricorda che cambiare è possibile, ma anche che cambiare fa male. Perché ogni nuova informazione che non coincide con l’immagine che abbiamo di noi stessi, o con la storia che raccontiamo al mondo, ci obbliga a un confronto: rivedere la mappa interna, ridisegnare i confini, o più spesso, fingere che nulla sia accaduto. La dissonanza è dunque, contemporaneamente, una soglia e una minaccia.
Chi è colui che non la vede?
È colui che si è abituato alla superficie. Chi vive di certezze per paura di guardare nei propri abissi. Chi non sopporta l’idea che un proprio pensiero possa essere sbagliato, incompleto o perfino derivato da bisogni che non conosce. Chi confonde l’identità con il dogma, le opinioni con la verità, il proprio punto di vista con il mondo. Colui che non la vede è spesso un devoto della coerenza ostinata: coltiva l’immagine di sé come persona “che sa”, “che ha già deciso”, “che non cambia idea”. È un analfabeta emotivo e cognitivo che non riesce a leggere i segnali interni, a riconoscere che il fastidio, la rabbia o il risentimento non arrivano dall’esterno, ma dallo scontro fra ciò che credeva stabile e ciò che improvvisamente non lo è più. Non vedere la dissonanza significa rimanere prigionieri di sé stessi, incapaci di crescere perché il cambiamento verrebbe vissuto come un crollo, non come un’evoluzione.
Cosa accade nel momento in cui la dissonanza avviene?
Accade qualcosa di simile a un sussulto: una tensione invisibile che si accende nel punto esatto in cui una nuova realtà tocca la nostra vecchia struttura mentale. È l’istante in cui si forma una fenditura, un rumore di fondo che disturberebbe chiunque fosse disposto ad ascoltarlo.
Nel momento in cui avviene, la dissonanza mette in scena un dramma interiore:
La mente percepisce l’incompatibilità.
Due convinzioni non possono convivere e chiedono un arbitrato improvviso.
Il corpo reagisce.
Un’ombra di fastidio, un’irritazione che non si sa spiegare, una difesa istintiva: il segnale fisico di una crepa nel pensiero.
L’ego si allerta.
Si sente minacciato, perché ogni dubbio è una richiesta di ridisegnare ciò che crede immutabile.
La persona sceglie.
O accoglie il conflitto e cresce; oppure lo nega e si rifugia nella rigidità, imputando all’esterno un disagio che nasce dentro.
Lì, in quell’intervallo sottilissimo, si misura la maturità di un individuo: nella capacità di rimanere nella frattura senza scappare, di abitare lo smarrimento come condizione naturale dell’essere pensante.
La dissonanza cognitiva è, in fondo, un invito alla complessità. Ci ricorda che siamo esseri incompleti e che l’unico modo per non diventare caricature di noi stessi è tollerare la frizione tra ciò che eravamo e ciò che potremmo diventare.
Chi non la vede resta fermo.
Chi la sente, anche a costo di soffrire, si muove. E in quel movimento, fragile, incerto, talvolta scomodo, comincia ogni forma autentica di libertà interiore.
Grazie Antonio Ruben