30/10/2025
Chi sono le prefiche?
Le prefiche erano donne chiamate a piangere ai funerali, in cambio di un compenso o di piccoli doni. Il loro compito era quello di manifestare pubblicamente il dolore per la morte di una persona, attraverso grida, canti, gesti rituali e formule recitate. Non erano parenti del defunto, ma figure esterne, riconosciute dalla comunità come necessarie a dare voce al lutto.
Il termine deriva dal latino praefica, con cui già i Romani indicavano le donne che aprivano i cortei funebri. Con i capelli sciolti in segno di dolore, camminavano davanti al feretro intonando lamenti e lodando il morto, spesso accompagnate da strumenti musicali. Era una pratica diffusa e regolata, al punto che talvolta le autorità cercarono di limitarne l’eccesso.
Con il passare dei secoli la figura delle prefiche non scomparve. Anzi, rimase viva nelle campagne italiane fino al Novecento. Ogni regione aveva le proprie denominazioni, piagnone in Piemonte, piansune in Lombardia, repute in Molise, chiangitare in Calabria, attitadoras in Sardegna. Pur con differenze locali, il loro ruolo era sempre lo stesso, accompagnare il defunto con il pianto rituale e aiutare la comunità a condividere il dolore.
Il loro compito non si limitava al canto. In alcuni contesti si graffiavano il viso, agitavano un fazzoletto sopra il corpo o eseguivano movimenti del capo e del corpo ritmati, come accadeva in Sardegna, dove l’attitu diventava una vera e propria poesia funebre. Questi atti servivano a dare forma al dolore collettivo e a mantenere vivo il ricordo della persona scomparsa.
Le prefiche appartenevano in genere ai ceti più poveri, donne vedove o anziane che trovavano in questa attività un modo per sostenersi. Nonostante la condizione sociale modesta, la comunità riconosceva la loro funzione, senza di loro un funerale poteva sembrare incompleto.
Il declino arrivò con la modernizzazione delle pratiche funebri e con una nuova idea di lutto, più privata e meno esposta. Oggi la loro presenza è rara, ma rimane nella memoria popolare e negli studi antropologici come testimonianza di un mondo in cui la morte era vissuta in modo comunitario e ritualizzato.