20/11/2023
Serve una rivoluzione culturale.
Una rivoluzione che cancelli l’idea che chi uccide una donna sia malato, pazzo.
Una rivoluzione che cancelli l’idea che schiaffi, insulti, controllo siano sinonimi di amore.
Una rivoluzione che cancelli l’idea che non si possa accettare un no, che non si possa accettare che una relazione finisca senza sentirsi minacciati.
Una rivoluzione che più di tutto, insegni ai bambini, ai ragazzi, nelle scuole, nelle parrocchie, nelle case, nelle associazioni di qualunque genere e natura, a parlare di emozioni, di educazione affettiva, emotiva, relazionale, di sessualità.
E non a fare biscotti per addolcire il gusto amaro della violenza.
Riconoscere che c’è violenza è doloroso. Vederla spesso è difficile. Difficile perché fa male. Difficile perché all’interno di relazioni intime. Difficile perché a volte subdola, invisibile. Non solo schiaffi, segni e lividi, ma forme diverse di violenza, psicologica e morale. Il femminicidio non nasce dal nulla: è alimentato da fiumi, talvolta sotterranei, ma molto più spesso evidenti e tollerati, che narrano la violenza domestica, economica, psicologica, assistita come normale manifestazione di "amore". Come psicologhe e psicologi dobbiamo imparare a riconoscere tutti questi segnali e insegnare a farlo: è un'operazione difficile perché impatta su una cultura che questa violenza la usa da sempre e la trova "normale". Una volta per tutte abbiamo bisogno di nuovi occhiali che ci consentano di riconoscere la violenza degli uomini sulle donne e di farla vedere: è un nostro compito di professioniste e professionisti "ampliare" di default la nostra percezione e rovesciare la narrazione negazionista di chi riduce la violenza ad un conflitto fra pari poteri. E lavoriamo senza stancarci affinché il NO ad una relazione sia percepito come un diritto, anche se doloroso, da accettare. Tutte le donne devono poter guardare al futuro senza più paura.