22/11/2020
Storie di pazienti/ Primo capitolo
In questo periodo la maggior parte di noi fisioterapisti si rende conto che alla base del proprio lavoro quotidiano c’è l’allenamento al contatto umano in ogni suo aspetto. Abbiamo un punto di vista privilegiato e spesso non ci accorgiamo di questa grandissima opportunità mentre il nostro sguardo è rivolto alle evidenze scientifiche e all’urgenza di rendere tutto il nostro campo d’azione permeato dalla conoscenza scientifica. In realtà è un dualismo che permane soltanto nella nostra testa. La psicologia e la medicina narrativa hanno già ampiamente dimostrato come “la connessione e il contatto siano momenti preziosissimi, perché permettono di rendere testimonianza alla sofferenza e quindi di alleviarla” (R.Charon).
L’epidemia, purtroppo, ha completamente spazzato dal campo questo tipo di approccio, trasformando il processo della cura in uno sterile atto privo di moltissimi significati umani, fino a che, ci auguriamo che non accada mai, non saremo più abituati a riconoscere la prospettiva dell’altro, né sapremo cogliere il senso di quello che osserviamo. Ma i piccoli miracoli accadono e hanno bisogno del racconto.
La settimana scorsa una paziente ha accettato di mettere a disposizione la sua esperienza per insegnare a un’altra paziente una tecnica di fasciatura compressiva appresa nella clinica tedesca Foldii, specializzata in trattamento del linfedema.
Detto così non sembra sia avvenuto quasi nulla…, due gambe, diverse nella loro storia e nel cammino percorso, si sono incontrate, tuttavia l’alleanza che ne è scaturita, attraverso i gesti consapevoli del riavvolgere le bende, lo scambio di opinioni sui materiali, e soprattutto il racconto del vivere quotidianamente sia con la debolezza di una gamba che con la forza di combattere la malattia, rende perfettamente giustizia al significato della parola cura.
Grazie di cuore Annalisa, e se vuoi rinnovare il tuo impegno e raccontare la tua storia, noi siamo pronti ad ascoltare e ad imparare da te!