Luisa Zaccarelli psicoterapeuta

Luisa Zaccarelli psicoterapeuta Psicologa, psicoterapeuta, neurobiologa e formatrice. Accompagno genitori e adulti nel percorso di diagnosi della neurodivergenza
www.luisazaccarelli.it

22/12/2025

Per molto tempo la valutazione del funzionamento sociale si è basata su indicatori quantitativi come ha amici? esce? parla? si relaziona?

Ma questi indicatori non misurano la qualità interna dell’esperienza sociale.
Una persona può essere costantemente in mezzo agli altri e vivere ogni interazione come:
😬 fonte di ansia
🤯 sforzo cognitivo
🚨 situazione di allerta
‼️ rischio di errore

Nel funzionamento autistico, la socialità non sempre è spontanea. Spesso è mediata da regole apprese, non da intuizione immediata.
Questo significa che ogni incontro richiede decodifica, previsione, controllo, monitoraggio.

Chiedere solo “se socializza” è come giudicare una maratona guardando solo se qualcuno arriva al traguardo, senza vedere se sta sanguinando.

20/12/2025

L’autismo femminile è spesso invisibile non perché sia lieve, ma perché è altamente adattato.
In molte bambine autistiche non vediamo crisi evidenti, comportamenti dirompenti, oppositività marcata e vediamo invece controllo, conformità, autocensura, imitazione, iperresponsabilità. Questo rende il loro funzionamento “socialmente accettabile”.
Ma ciò che è socialmente accettabile non è necessariamente psicologicamente sostenibile.
Ogni gesto adattato richiede:
⚠️ attenzione continua
⚠️ regolazione costante
⚠️ monitoraggio di sé
⚠️ repressione delle reazioni spontanee

È come vivere costantemente con un programma attivo in background che consuma tutta la batteria.
E quando la batteria si esaurisce, non c’è gradualità. C’è il collasso.

15/12/2025

L’autismo femminile non è una scoperta recente.
Non è comparso negli ultimi dieci anni.
Non è “una nuova moda diagnostica”.

L’autismo femminile è sempre esistito.

Quello che è cambiato, oggi, non è la realtà clinica, ma il nostro sguardo.
È la nostra capacità di riconoscere, nominare, dare dignità clinica e umana a ciò che per decenni è stato ignorato, ridotto, distorto o semplicemente non visto.

Gli studi sull’autismo femminile esistono da oltre dieci anni.
Alcuni strumenti diagnostici specifici per le donne sono stati sviluppati, validati, tradotti.
Eppure, per lungo tempo, queste conoscenze sono rimaste ai margini, poco diffuse, poco utilizzate, poco ascoltate.
Come spesso accade quando si parla di donne nella medicina e nella psicologia.

Il risultato è che intere generazioni di bambine, ragazze e donne sono cresciute senza una chiave di lettura per ciò che stavano vivendo.
Hanno attraversato l’infanzia sentendosi “strane”.
L’adolescenza sentendosi “sbagliate”.
L’età adulta sentendosi “rotte”, “inermi”, “inadatte”.

Mancava il linguaggio per dirlo.
Mancava lo sguardo clinico per vederlo.
Mancava il riconoscimento sociale per legittimarlo.

Oggi stiamo iniziando a comprendere che l’autismo non è solo quello che disturba, che grida, che rompe, che si vede subito.
Esiste anche un autismo che osserva in silenzio, si adatta, copia, studia, che impara a sembrare “come gli altri”

Ma questo adattamento non è gratuito.
Ha un costo enorme: energetico, identitario, emotivo, relazionale.

Riconoscere oggi l’autismo femminile non significa solo “fare diagnosi”.
Significa riparare simbolicamente una ferita collettiva.
Significa dire a milioni di donne:
“Non eri tu a essere sbagliata.
Era il mondo a non avere le lenti giuste.

*Estratto da Intervista di Patrizia Neri a Sara Calderoni e Antonio Narzisi, SALUTE MENTALE, QUADERNI ACP 6/2023 Disturbo dello spettro autistico: insight sul fenotipo femminile.

08/12/2025

Una mamma mi racconta dell’esperienza della diagnosi con suo figlio di 16 anni.

Ricorda di avergli chiesto se valesse la pena fare una diagnosi, e che lui, con convinzione, gli rispose di sì. Aveva 16 anni.
Era abbastanza grande da partecipare alla restituzione e capire ogni parola.

Quando sono usciti, era bianco come un lenzuolo. Per un attimo ha pensato potesse svenire!
Perché lui lo sapeva già. Lo sentiva dentro di sé da sempre. Ma sentirlo dire da professionisti, ha avuto l’impatto di una verità che si materializza davanti ai tuoi occhi.
Ci sono voluti due giorni di silenzio, inquietudine, adattamento. Poi è iniziato il sollievo. Il sollievo di potersi guardare allo specchio e pensare:
✨ Ok. Sono così.
E va bene così.
E oggi? Lo racconta agli altri con orgoglio. Dice che con la diagnosi di autismo cucca pure di più, perché ora sa che può essere se stesso e… «fa un po’ figo». 😎 📌

Il sollievo arriva dopo. Prima c’è un passaggio duro: accettare che quella parola appartiene davvero a te.
La diagnosi non cambia chi sei. Ti permette finalmente di esserlo.
È l’inizio di un nuovo inizio. È mettere il vestito giusto: quello che ti ha sempre appartenuto, ma che ora puoi finalmente riconoscere come tuo.

A 40 anni, dopo un periodo di salute difficile, qualcosa si è spezzato. Non c’era più energia per tenere la maschera su....
04/12/2025

A 40 anni, dopo un periodo di salute difficile, qualcosa si è spezzato.
Non c’era più energia per tenere la maschera su.
Non c’era più forza per razionalizzare ogni parola detta o ricevuta.
È stato un burn-out senza nome. Un crollo che ha rivelato una verità nascosta per una vita intera: quella comunicazione “perfetta” era adattamento continuo, non spontaneità.

Quando la maschera è caduta:
🔹 i filtri sociali sono evaporati
🔹 le reazioni degli altri sono diventate incomprensibili
🔹 ogni frase sembrava sbagliata
🔹 il mondo è diventato un enigma senza legenda.

Sentirsi regredita, temere di avere un problema mentale, chiedersi: com’è possibile che ora non ci riesco più?
Perché per tanti anni ci si adatta così bene… che nessuno immagina la fatica che c’è sotto. Nemmeno noi stessi.

Scoprire l’autismo in età adulta è anche questo:
🧩 vedere che l’invisibile era già lì
🧩 dare un nome al crollo
🧩 capire che il burnout non nasce dalla fragilità ma da un eccesso di forza tenuto troppo a lungo .

Non è un fallimento.
È la fine di una sopravvivenza silenziosa, e l’inizio di una vita più vera.

01/12/2025

Quando si parla di donne autistiche, questa frase è dolorosamente vera.

Se una donna fatica nelle relazioni → viene definita timida o insicura
Se ha meltdown o burnout → è stressata, ipersensibile, ansiosa
Se iperfocalizza i suoi interessi → è appassionata, perfezionista
Se non segue le aspettative sociali → è immatura, strana, difficile

Il risultato? L’autismo scompare dietro etichette più comode per gli altri.

Nella narrativa dominante, la donna deve essere:
💋 emotiva
🫂 socialmente capace
🎯 orientata alle relazioni

Quando qualcosa non torna, si cerca un modo per normalizzare la sua diversità.
Così la sua verità si perde, rimane nascosta dove nessuno la cerca: tra la performance e il pregiudizio.

Le diagnosi arrivano tardi perché il mondo sa riconoscere solo un tipo di autismo: quello maschile, quello visibile, quello stereotipato.
Ma ci sono storie che non rientrano nel copione. Storie che non si vedono, ma che urlano sottovoce. Storie che meritano di essere riconosciute per ciò che sono, non per ciò che fa comodo credere.

Rendere visibile l’invisibile non è un gesto clinico: è un gesto di giustizia.

27/11/2025

Molte persone autistiche raccontano un rapporto complesso con le situazioni sociali “cariche”, dove le norme non sono scritte ma tutti sembrano conoscere il copione tranne loro.
I rituali sociali hanno regole invisibili:
🔹 cosa dire
🔹 come dirlo
🔹 quando restare in silenzio
🔹 quanto mostrare emozione
🔹 come modulare la presenza

In un funerale, per esempio, un momento dove l’emotività è attesa, ma entro confini precisi, l’incertezza può diventare enorme.
È un terreno minato fatto di frasi rituali che devono essere sincere ma non troppo personali, empatiche ma non invadenti.

Non sapere come comportarsi non significa non provare dolore. Non trovare le parole non significa essere freddi o insensibili. Significa soltanto che la comunicazione sociale è un linguaggio con regole opache, che non tutti imparano allo stesso modo.

A volte, avere un “interprete” fidato, come un amico, una persona che traduce il mondo, è ciò che permette di esserci davvero senza paura di sbagliare.
E questa non è debolezza: è una forma di intelligenza adattiva, di cura per sé e per gli altri.

🧩 L’autismo non rende meno empatici. Rende solo più complesso decifrare come l’empatia dovrebbe essere messa in scena.

24/11/2025

Sembra semplice, quasi un gioco. Ma per molte persone neurodivergenti, sorridere “a comando” può essere un’esperienza tutt’altro che neutra. Perché?

🎭 IL SORRISO COME MASCHERA
Per tante persone autistiche o ADHD, sorridere non è solo un gesto spontaneo: è una strategia sociale per sembrare gentili, presenti, “a posto”.
È il modo per evitare fraintendimenti o giudizi.

🧠 SFORZO COGNITIVO ED EMOTIVO
Il sorriso deve avere il tono giusto. Né troppo poco (freddo), né troppo (strano). Un microbilanciamento che richiede energie.

🔍 AUTENTICITÀ MESSA ALLA PROVA
“Fai finta di sentirti felice” può suonare come un ordine a negare ciò che si prova davvero in quel momento.

🐍 TRIGGER PER CHI HA INTERIORIZZATO IL MASKING
Allenarsi a sorridere senza motivo può ricordare anni di adattamento forzato: «Mostrati come vogliono vederti, non come sei.»

Per qualcuno questo può essere un esercizio simpatico. Per altri può toccare corde profonde: il confine sottile tra gesto sociale e cancellazione di sé.

Una frase che sembra semplice. Una frase che sentiamo ogni giorno. E che per molte persone autistiche è tutt’altro che s...
20/11/2025

Una frase che sembra semplice.
Una frase che sentiamo ogni giorno.

E che per molte persone autistiche è tutt’altro che semplice.

Dietro questa domanda si nasconde una piccola giungla sociale da attraversare in pochi secondi:
🧩 Ambiguità — Vuoi la verità o solo un rituale?
🎭 Masking — Devo sembrare “a posto”, anche se non lo sono?
🧠 Alessitimia — Come sto davvero? Non sempre riesco a capirlo subito.
⏱️ Pressione del tempo — Devo rispondere adesso, senza esitare.
🧍‍♂️ Sovraccarico sociale — Parlare può richiedere più energia di quanta ne abbia.

Per molti neurotipici è una formalità, un atto di cortesia.
Per molte persone autistiche è un esercizio di equilibrio: tra sincerità e aspettativa, tra maschera e vulnerabilità, tra silenzio e performance sociale.
A volte, la risposta automatica è ✨ “Bene!” ma dentro c’è un mondo che nessuno vede.

Domandare “Come stai?” può essere un gesto di cura più profondo se impariamo a renderlo accessibile e autentico:
🔹 “Com’è stata la tua giornata finora?”
🔹 “Hai energie per parlare adesso?”
🔹 “Vuoi che ci sentiamo più tardi?”
Perché la comunicazione non dovrebbe mettere nessuno in difficoltà per sentirsi parte della conversazione. Anche la gentilezza merita di essere inclusiva.

17/11/2025

Ricevere una diagnosi di autismo, ADHD e plusdotazione a 35 anni significa guardare indietro e capire che quella forza non era naturale: era sopravvivenza.

Era spingere, sempre.

Per anni le persone hanno visto solo la parte che funzionava:
⭐ la figlia brillante
⭐ l’amica capace
⭐ la persona multitasking, entusiasta, che non si ferma mai .
Ma nessuno vedeva la fatica sotterranea.
Nessuno riconosceva il prezzo che si stava pagando per apparire “ok”.
Burnout non significa improvvisamente “non riuscire più”. Significa che il corpo e la mente dicono: «Basta. Non posso più sostenere una vita che non è fatta per me.»

💥 Il crollo arriva quando la maschera diventa troppo pesante.
Quando l’energia necessaria per funzionare nel mondo neurotipico si esaurisce del tutto. E allora inizia un’altra battaglia:
🧨 spiegare che non sei cambiata
🧨 che non sei diventata fragile
🧨 che quella fatica c’è sempre stata .

Il mondo però fa fatica a capire che l’eccellenza può essere una forma di coping. Che il “fare tanto” può essere un tentativo disperato di non fallire agli occhi degli altri.

🧩 La diagnosi tardiva è insieme lutto e liberazione: lutto per ciò che non è stato riconosciuto, liberazione perché finalmente non serve più fingere.

A volte, la vera forza non sta nello spingere… ma nel concedersi di fermarsi senza colpa.

13/11/2025

Molte persone autistiche ad alto funzionamento raccontano un’infanzia fatta di intuizioni molto profonde, soprattutto sugli adulti, sulle dinamiche sociali “ufficiali”, sulle regole che tengono insieme il mondo.

Eppure, questa capacità viene spesso fraintesa.
Se sai parlare bene, non puoi essere autistico.
Se rispetti le regole, non hai difficoltà sociali.
Se sei intelligente, non hai bisogno di aiuto.

💡 Questa è una delle ragioni per cui tante diagnosi arrivano tardi:
le competenze verbali e cognitive coprono le difficoltà più invisibili.
Invece di riconoscere una neurodivergenza, il mondo etichetta questi bambini come “maturi”, “intelligenti”, “bravi a scuola”… finché la vita non si complica e la maschera inizia a cedere.

Crescere così significa passare anni a chiedersi:
🔹 perché gli altri capiscono tra loro cose che a me sfuggono?
🔹 perché le regole cambiano senza preavviso?
🔹 perché il mio impegno sembra non bastare mai?

Arrivare alla diagnosi in età adulta può essere liberatorio e doloroso allo stesso tempo:
liberatorio perché finalmente tutto ha un senso;
doloroso perché nessuno se n’era accorto prima.

🧩 L’autismo non si definisce dalla mancanza, ma dalla differenza.
Capire le regole del mondo non significa riuscire a starci dentro senza fatica.
Saper parlare non significa sentirsi compresi.

Molti bambini autistici crescono pensando di essere sbagliati,
quando in realtà sono solo diversi in un mondo che riconosce troppo tardi il loro modo di funzionare.

Questa frase racchiude una verità spesso invisibile nelle neurodivergenze: il cambiamento che gli altri notano non è evo...
10/11/2025

Questa frase racchiude una verità spesso invisibile nelle neurodivergenze: il cambiamento che gli altri notano non è evoluzione spontanea, ma adattamento forzato.

Keiko cambia perché osserva, imita, studia ciò che la circonda. Cambia per essere letta come “normale”. Cambia per sopravvivere in un mondo che non ha postazioni per chi non segue le sue regole.

🎭 Questo si chiama masking: quando per essere accettata devi trasformarti ogni giorno, imparare nuovi copioni, spegnere parti di te e accenderne altre in base a chi hai davanti.
E allora quel “sei cambiata tanto!” che sembra un complimento diventa un promemoria doloroso: nessuno vede la fatica nascosta dietro quel cambiamento. Nessuno vede quanto costa sembrare “a posto”.

🌪️ Il masking ti protegge… e allo stesso tempo ti cancella.

La verità è che non si dovrebbe essere costrette ad assorbire il mondo per esserne accettate. Dovrebbe esserci spazio per esistere, non solo per adattarsi.

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