01/12/2025
Quando si parla di donne autistiche, questa frase è dolorosamente vera.
Se una donna fatica nelle relazioni → viene definita timida o insicura
Se ha meltdown o burnout → è stressata, ipersensibile, ansiosa
Se iperfocalizza i suoi interessi → è appassionata, perfezionista
Se non segue le aspettative sociali → è immatura, strana, difficile
Il risultato? L’autismo scompare dietro etichette più comode per gli altri.
Nella narrativa dominante, la donna deve essere:
💋 emotiva
🫂 socialmente capace
🎯 orientata alle relazioni
Quando qualcosa non torna, si cerca un modo per normalizzare la sua diversità.
Così la sua verità si perde, rimane nascosta dove nessuno la cerca: tra la performance e il pregiudizio.
Le diagnosi arrivano tardi perché il mondo sa riconoscere solo un tipo di autismo: quello maschile, quello visibile, quello stereotipato.
Ma ci sono storie che non rientrano nel copione. Storie che non si vedono, ma che urlano sottovoce. Storie che meritano di essere riconosciute per ciò che sono, non per ciò che fa comodo credere.
Rendere visibile l’invisibile non è un gesto clinico: è un gesto di giustizia.