Dott.ssa Elisabetta Lucati - Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa Elisabetta Lucati - Psicologa Psicoterapeuta “Essere consapevoli di ciò che si prova dentro di sé, senza sentirsi sbagliati, è il passo fondamentale per essere padroni di sé stessi”
-A. Schopenhauer-

11/12/2023
27/11/2023

Credo che potremmo chiamare i nostri Studi non tanto "luoghi di Cura" bensì "luoghi del Prendersi Cura"...
"Che lavoro fai?"
"Mi prendo Cura"
"Ti prendi Cura?"
"Sì, mi prendo Cura di ricordi dolorosi, di ferite ancora aperte. Ma anche di gioie e stupori, di cose non dette. Di rabbia e paura. Di sorpresa ed altre meraviglie. Mi prendo Cura della Vita nel suo divenire: ascoltandola, accogliendola, offrendole Parola".

Francesca Carubbi

01/11/2023

"Quando trovi il coraggio di raccontarla, la tua storia,
tutto cambia.
Perché nel momento stesso in cui la vita si fa racconto,
il buio si fa luce
e la luce ti indica la strada".

[Ferzan Özpetek]
Illustrazione da Pinterest

12/09/2023

NON DATE CARAMELLE AL POSTO DELL'AFFETTO

Le caramelle ed i dolciumi in generale (così come qualsiasi altro cibo spazzatura) non dovrebbero MAI essere utilizzati come ricompensa, premio e dunque sostituti del legame con un bambino (e qualsiasi essere umano), e di un riconoscimento affettivo rivolto alla persona o ad una sua prestazione.

Questa abitutudine invece è molto frequente ancora in tante famiglie così come in svariati ambiti scolastici ed educativi.

Sono convinta che chi la porti avanti non pensi in modo profondo ai danni di tutto ciò e pensi piuttosto di veicolare messaggi di affetto e di riconoscimento al bambino.

Ed è proprio questo il problema!

Le caramelle e i suoi soci vengono sostituiti con l'affetto, con le parole, con i baci, con gli abbracci.

Non si tratta solo di una necessaria ed urgente educazione alimentare ma anche affettiva!

🌟 Se volete ringraziare un bambino ditegli "grazie, guardandolo col sorriso negli occhi", non dategli caramelle!

🫂 Se volete salutarlo dopo tanto tempo abbracciatelo o ditegli "sono felice tu sia qui! , non dategli caramelle!

🍁 Se un bambino è triste o arrabbiato o impaurito, offritegli la vostra presenza calma e supportiva, non dategli caramelle!

🌳 Se volete favorire la creazione del legame del gruppo classe non dategli caramelle ma educate alle parole, alle emozioni ed all'affettività fisica!

Guardate che tutto questo non è un vezzo o una esagerazione.

Qualcuno tra di voi mi dica perchè mangia dolciumi. Non parlo di una loro assunzione equilibrata, ma di quell'altra roba lì, mi avete capita.

💭 Cosa state in realtà cercando in quel momento? 😔

Affetto, riconoscimento, amore, compagnia, supporto -> che naturalmente porterebbero ad una sensazione di dolcezza e di riempimento del sistema mente-corpo.

Più parole, affetto e presenza e meno cibo!!!!

Noemi Zenzale

P.s. auspico in una comprensione del post che non ha affatto affermato che gli zuccheri vadano banditi.

👇 Per scoprire di più della tua infanzia ed iniziare un processo riparatore delle tue ferite infantili c'è il mio percorso on line IL BAMBINO CHE SEI STATO: CONOSCERE IL PASSATO PER LIBERARE IL PRESENTE. 🙂
INFO QUI:
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=839167951101884&id=100050260609173

24/08/2023
23/08/2023

Ho compreso perché amo la psicoterapia. Perché è narrazione. Proprio come ogni fiaba che si rispetti, nella sua accezione più vera: narrazione orale, appunto, che canta i segreti, le tradizioni, gli enigmi, gli aspetti più intimi e, spesso, indicibili dell'essere umano. Non fa lo stesso, se ci pensiamo bene, la psicoterapia? Lo psicoterapeuta, da qui, è come un novellatore, anzi un facilitatore della novella, della parola unica, soggettiva e irripetibile della Persona. L'arte dell'ascolto è, allora, il permettere il lento e paziente dipanarsi delle proprie epopee o fiabe personali, che tanto somigliano a quelle che abbiamo ereditato dai nostri avi sotto forma di favolosi Miti, Leggende e Novelle popolari.

Francesca Carubbi

18/06/2023

Via da quel che ti limita.
Fosse anche l’amore.
Stamani il grande , vincitore dell'Oscar per il miglior film animato del 2002. E autore di mille capolavori.
Lui che ha dichiarato più volte di voler rappresentare figure femminili che fossero di ispirazione per tutte le e le del mondo: forti, intelligenti, capaci di spirito di adattamento e coraggio grandissimi.
Qui rappresenta una delle forme di coraggio più grande.
Allontanarsi da ciò che ci rende infelici.

18/06/2023

La nascita è un momento di passaggio a cui bisogna arrivare preparati. Non mi riferisco alla preparazione fisica o al corredino del neonato, intendo una preparazione emotiva sufficiente ad affrontare un momento di rara intensità e connubio tra mente e corpo.
Il parto è diretto da un’orchestra ormonale dove una sola nota stonata può interrompere quella cascata di trasmettitori che regolano il suo svolgimento. Affinché avvenga in modo naturale una donna deve innanzitutto sentirsi a suo agio.

Dovremmo arrivarci consapevoli, scegliendo di avere accanto chi ci offre senso di protezione, in un luogo che percepiamo come sicuro, con personale che ci fa sentire totalmente accolte. In questo modo il dolore del parto può essere affrontato come un aiuto che guida le azioni del corpo. Se invece una donna si sente sola, spaventata e non ascoltata o se viene continuamente interrotta da pratiche mediche innecessarie può produrre ormoni che bloccano il parto invece di favorirlo, aumentando così il rischio di complicanze ostetriche.

Sappiamo tutti che un parto è un momento delicato che può richiedere l’intervento medico, ma bisogna ricordare che gli interventi eccessivi (ipermedicalizzazione) sono un’arma a doppio taglio. Oggi le società scientifiche concordano nel favorire il naturale svolgersi di eventi fisiologici come il parto, il bonding (primo incontro tra mamma e neonato), l’allattamento e perfino lo svezzamento: meno intrusioni esterne ci sono e meglio questi eventi si svolgono. Nella maggior parte dei casi tutto ciò che si rende necessario sono ascolto e supporto: nessuna di questi passaggi è una malattia. Solo se si riscontra realmente una situazione di rischio, allora si può e si deve intervenire.

Sono convinta che nel nostro paese sia in atto un cambiamento culturale che farà abbracciare la prassi di un parto rispettato, tuttavia non posso tacere il fatto che ci sono ancora troppi casi in cui le esigenze della partoriente non vengono rispettate. Sono incalcolabili le volte in cui una neomamma si reca in ambulatorio per la prima visita del neonato e davanti alla domanda di prassi: “Com’è andato il parto?” diventa un fiume di lacrime. Ho imparato a non dare mai niente per scontato: se prima mi limitavo a compilare la cartella clinica usando delle crocette che indicavano freddamente “parto eutocico” e “parto distocico”, adesso invece rivolgo questa domanda a cuore aperto mettendomi in ascolto.

Per molte di queste donne sono la prima e unica persona ad interessarsi all’argomento e quando si sentono ascoltate sono talmente sorprese e liberate che buttano fuori tutto. È in questo modo che ho raccolto tante storie, alcune meravigliose e altrettante crude che parlano di violenza, la cosiddetta violenza ostetrica.

Queste ultime mi toccano direttamente come professionista sanitario perché ho sempre la sensazione di un divario tra noi e voi, medici e pazienti, impegnati gli uni a tutelarsi e gli altri nell’accusare. Più noi sanitari neghiamo l’esistenza di queste situazioni e più l’opinione pubblica si inferocisce verso l’intera classe medica. Io credo profondamente che il nostro lavoro si basi sulla fiducia medico-paziente, preziosa e delicata come un fiore che va accudito da entrambe le parti nel rispetto reciproco. Se una delle due parti compie un errore deve ammetterlo per migliorarsi e continuare a coltivare la fiducia nel singolo e nel sistema.

È necessario parlare di cultura del parto rispettato, senza schierarsi dall’una o dall’altra parte, ma limitandosi a raccontare la verità: che esistono situazioni d’eccellenza accanto a casi di malasanità e che tutti abbiamo bisogno di aprire gli occhi sulla violenza ostetrica e conoscerla per eradicarla.

Innanzitutto la violenza ostetrica ha un nome infelice perché sembra un dito puntato verso una categoria, dovrebbe chiamarsi più correttamente "violenza perinatale". Si tratta dell’insieme di comportamenti messi in atto dalle strutture o da singoli sanitari che fanno sì che vengano a mancare la tutela e il rispetto della donna. Per esempio le stesse manovre che in casi specifici possono salvare la vita del bambino e si rendono obbligatorie, si rivelano uno svantaggio per mamma e bambino quando innecessarie e realizzate al solo scopo di accelerare il parto. Le statistiche parlano chiaro: dovrebbero essere applicate solo in una piccola percentuale di casi e invece sono quasi una costante con numeri che variano incredibilmente in reparti, regioni e nazioni diverse a dimostrazione del fatto che dipendono dal modus operandi del personale sanitario e non dalle reali necessità mediche.

La violenza ostetrica ha molte forme: non solo le manovre innecessarie in un parto fisiologico (cateterismo vescicale, episiotomia, Kristeller…), anche la mancanza di sostegno in momenti di estremo dolore o stanchezza (donne lasciate sole in travaglio, impossibilità del partner di stare accanto alla compagna…), i giudizi che feriscono la donna in momenti di particolare fragilità (dire che si lamenta troppo, che non sa partorire, che non ha il latte, che se non fa come le dicono mette a rischio la vita del bambino…), al mancato riconoscimento del dolore psicologico (sminuire l’impatto di un lutto perinatale, sminuire l’impatto di un parto traumatico…).

La violenza ostetrica causa non solo danni fisici ma anche psicologici intensi e durevoli nel tempo. Non è sempre facile riconoscerla, io stessa ho assistito a centinaia di parti senza vederla prima di aprire gli occhi, prima di capire che c’è qualcosa di profondamente sbagliato, tanto da sentire oggi la necessità di schierarmi per cambiarlo.

La violenza ostetrica viene da retaggi culturali, problemi organizzativi degli ospedali, carenza di personale, mancanza di empatia dei singoli operatori, nasce dalla convinzione che la donna debba soffrire sempre e comunque per avere un figlio sano, che debba occuparsi fin da subito da sola del neonato e non abbia diritto di lamentarsi perché in tal caso viene additata come immatura o debole.

Per me non è facile affrontare questo argomento facendo parte del mondo medico, ma la mia onestà intellettuale mi obbliga a parlare a nome delle donne perché conosco queste storie da vicino e mi schiero da una sola parte: quella giusta. Quella delle donne che sostengono i propri diritti e quella degli operatori sanitari che lavorano in modo corretto e con empatia, che sono la maggior parte di noi e meritano di vedere riconosciuto il loro lavoro.

Il primo passo però è ammettere che queste situazioni esistono e segnano per sempre la storia non solo di una madre, ma di un’intera famiglia e il futuro di un bambino che nasce in un contesto di sofferenza. È fondamentale aprire gli occhi e guardarle in faccia, abbattere l’omertà, la reticenza e la vergogna a parlarne.

Ne ho parlato approfonditamente nel mio libro "Genitori strada facendo", senza paura di affrontare un tema tabù, perchè lo ritengo necessario e da anni ho una mission ben precisa: quella di cambiare la cultura in questo paese, insieme alle donne, agli uomini e al personale sanitario che vorrà farlo con me.

24/05/2023

RIPARARE

“Basta Adeleeee!”

Un urlo, il mio, riempie la stanza. Poi quel grido lascia il posto al suo pianto.

In genere, è proprio in quel momento che mi rendo davvero conto che è successo qualcosa ed inizio quel faticoso ma vitale processo di riparazione.

Perché il punto non è non esplodere mai: sarebbe impossibile e irreale in qualsiasi relazione tra piccoli e grandi.

Il nodo della questione è riuscire a fermarsi quando si è perso il controllo, il contatto e la connessione e provare a ripartire.

Io di solito cerco di non fare più nulla, mi prendo il tempo di qualche respiro, mi abbasso alla loro altezza e poi mi muovo verso di loro con l’intenzione di rimettermi in contatto: tendo le mani, allargo le braccia per offrire riparo, modulo la voce.

Ma la cosa più incredibile di tutto questo processo del riparare è che non sarebbe mai stato possibile se non fossi passato attraverso le urla, la rabbia (mia e loro) e gli innumerevoli tentativi di riconnessione!

Ho capito che non basta la conoscenza ma serve consapevolezza e questa si costruisce soltanto attraverso il fare, lo sbagliare, il perdere controllo per poi imparare a riparare.

05/05/2023

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