02/11/2025
https://www.facebook.com/share/19qbBLf5kR/
Kodokushi: quando la solitudine diventa una diagnosi sociale
Nel 2024 più di ventimila persone in Giappone sono morte da sole, in casa, senza che nessuno se ne accorgesse per giorni. Il fenomeno è conosciuto come kodokushi, parola che significa “morte solitaria”. Non è una tragedia spettacolare, ma un sintomo profondo di una società che invecchia e si disgrega: l’80% delle vittime aveva più di 62 anni, e la maggior parte viveva senza legami familiari o reti di supporto.
In Giappone questo tema è ormai parte del dibattito pubblico, perché la demografia parla chiaro: entro il 2050 oltre il 40% della popolazione avrà più di 65 anni. Meno giovani, meno familiari, meno comunità. Il risultato è che molte persone fragili rischiano di vivere — e morire — in isolamento.
Ma il kodokushi non è un problema “giapponese”: è un campanello d’allarme globale. Anche in Italia cresce il numero di anziani soli, soprattutto nelle grandi città. I medici di medicina generale lo vedono ogni giorno: pazienti che non hanno familiari, che faticano a seguire le terapie, che arrivano tardi alle visite perché nessuno li accompagna. La solitudine, in questi casi, non è solo una condizione esistenziale: è un fattore di rischio clinico.
Ecco perché il tema non può essere lasciato solo alla sensibilità del singolo. Servono reti strutturate di collaborazione tra medicina generale, servizi sociali e volontariato territoriale. Un sistema in cui il medico possa segnalare in modo semplice e protetto i pazienti in condizioni di vulnerabilità sociale — chi vive solo, chi non ha caregiver, chi rischia di essere dimenticato — sapendo che qualcuno interverrà con una visita domiciliare, un contatto, un monitoraggio.
La presa in carico non è solo terapeutica, ma relazionale. In molte realtà si stanno sperimentando modelli di “sorveglianza di prossimità”, in cui i medici, gli assistenti sociali e i servizi di comunità lavorano insieme per identificare precocemente situazioni di rischio. È un modo per restituire alla cura la sua dimensione umana e comunitaria: perché la medicina generale, quando lavora in rete, può davvero prevenire anche la solitudine.
Il kodokushi ci ricorda che non basta guarire, bisogna anche accorgersi. E che il primo passo per evitare la morte in solitudine è imparare, come sistema, a riconoscere la vita silenziosa che ci scorre accanto.