20/09/2025
Il 19 settembre 1940 la piazza di Oschatz, in Sassonia, non era solo il centro di un piccolo borgo tedesco. Quel giorno si trasformò in un teatro di crudeltà. Dora von Nessen vi fu trascinata come un trofeo da esibire, rinchiusa nei ceppi davanti a una folla che rideva, insultava, lanciava parole come pietre. Sopra di lei un cartello recitava: “Donna disonorata”. Non aveva rubato né ucciso. Aveva amato un prigioniero di guerra polacco. Per il regime nazista non esisteva peccato più grande: tradire il sangue e la razza.
Il supplizio durò quattro ore, ma non nacque quel giorno. Dora era già stata colpita dal potere molto tempo prima. Nata nel 1900, fragile e timida, portava addosso la fatica di chi fatica a leggere e scrivere, in un’epoca che non perdonava la dislessia. Era bersaglio di scherni e di esclusioni. Poi, nel 1936, lo Stato si arrogò il diritto di entrare nel suo corpo: venne sterilizzata a forza nell’ospedale di Wurzen, in base alla “Legge per la prevenzione della prole affetta da malattie ereditarie”. Con una sola operazione, le tolsero non solo la possibilità di diventare madre, ma anche la dignità. Eppure, malgrado i colpi subiti, Dora seppe scegliere. Quando il marito partì soldato, lavorò nella tenuta di Calbitz-Kötitz, dove i prigionieri di guerra erano trattati come bestie. In quel luogo di violenza lei osò compiere il gesto più proibito e più umano: si innamorò. Lo fece senza proclami, senza rivendicazioni, con la naturalezza con cui il cuore resiste al gelo. Quell’amore era il suo modo di dire no a un sistema che voleva trasformarla in ingranaggio silenzioso.
Il prezzo fu alto: il divorzio, la gogna pubblica, l’umiliazione che i nazisti usarono come spettacolo pedagogico per incutere paura negli altri. Ma la loro strategia fallì, almeno in parte. Perché Dora non si spezzò. Tornò a Fuchshain, trovò un lavoro in fabbrica, visse accanto alla sua famiglia. Non ebbe figli, perché le era stato negato, ma non rinunciò a vivere. Continuò a respirare, a camminare, a resistere. E quando il Reich crollò sotto le macerie della guerra, lei era ancora lì.
Dora von Nessen morì nel 2003, a 103 anni. Più longeva del regime che l’aveva condannata, più tenace di chi aveva provato a cancellarla. La sua storia non è solo la cronaca di una sopravvissuta, ma una lezione: che la forza non sempre grida, a volte tace e attende. Che la dignità può sopravvivere all’umiliazione. E che l’amore, anche se vietato, anche se punito, rimane l’atto più radicale di libertà.
Per le donne di oggi Dora è un invito: non lasciare che qualcun altro definisca chi sei o cosa meriti. Lei, marchiata come “disonorata”, ha dimostrato che l’onore non appartiene alle leggi né alle f***e, ma solo a chi continua a vivere senza rinnegare se stessa.