21/12/2025
LA FAMIGLIA DEL BOSCO E IL SENSO DEL LIMITE
L’opinione pubblica in queste settimane è stata integralmente catturata dalla vicenda della cosiddetta “famiglia del bosco”; molti si sono spesi in riflessioni sull’appropriatezza di metodi di vita ed educativi alternativi ma una questione resta centrale ma trascurata: dov’è il senso del limite?
Partiamo da una breve riepilogazione dei fatti.
A seguito di un accesso al pronto soccorso per una intossicazione alimentare, tre bambini di una coppia anglo australiana vengono allontanati dalla loro casa nel bosco. I bambini vengono affidati ad una casa famiglia, accessibile alla madre.
La relazione dei servizi sociali sottolinea l’inadeguatezza e la mancata agibilità della casa nel bosco, priva di servizi igienici, di elettricità e di acqua corrente. Inoltre si denuncia l’isolamento sociale al quale i minori sono costretti anche a causa del regime educativo di “home schooling” scelto dai genitori.
In questa faccenda, lo Stato interviene nell’ottica della tutela dei minori, attraverso l’intervento di istituzioni, come gli assistenti sociali e il tribunale, che tecnicamente tentano di dirimere la questione. Tuttavia, la situazione sfugge di mano.
Potremmo indicare nella grande attenzione mediatica e quindi nell’inevitabile svolta pubblica della faccenda il momento decisivo di questa storia per il ruolo dei media tradizionali e social. La politica, la stampa e i commentatori si sono azzuffati nel tentativo di attaccare, giustificare, offrire pareri sulla faccenda.
Al centro del dibattito, abbiamo il primato dei genitori sull’educazione dei figli, sulle scelte di vita e di crescita.
Si tratta di un tema secolare, con al centro il confine tra dimensione singolare e privata e il ruolo dello Stato.
Non voglio entrare nel merito della questione, proprio in virtù del senso di questo articolo; mi limito a sottolineare un punto: dov’è il senso del limite?
Come abbiamo visto, si tratta di una vicenda che mescola aspetti tecnici e legali con altri politici, filosofici e sociali. Per questo è necessario capire dove sia il confine tra questi, facendo riferimento al senso del limite.
Il nostro rapporto con il sapere con la realtà è di per sé insufficiente: non possiamo sapere tutto, non possiamo intervenire su tutto, non possiamo capire tutto.
A questa insufficienza spesso si risponde con la sindrome della “tuttologia”, cioè la convinzione difensiva di poter, invece, intervenire su qualsiasi ambito della realtà.
Ecco allora che i media tradizionale moderni diventano l’arena nella quale si combatte una battaglia politica e sociale che dimentica l’unica questione davvero importante.
Ovvero: qual è il bene dei bambini?
Chi deve intervenire? L’impossibilità emotiva di fare i conti con i limiti del sapere dell’azione si scontra con la distanza emotiva che la dimensione della tecnica porta con sé.
La vicinanza il calore familiare vincono su la fredda e dura dimensione della legge. La mobilitazione sociale a tutela della famiglia riguarda proprio questo aspetto;
l’idea stessa che la famiglia in quanto tale sia luogo di calore vince sul freddo sapere della legge e della scienza, condannata a rimanere emotivamente distante.
Accettare il limite implica uno sforzo mentale e una consapevolezza di sé che l’emotività spesso rifiuta. Intervenire riflette infatti una primitiva ma efficace strategia per tamponare l’angoscia che l’impotenza determina.
L’articolo completo è disponibile sul sito.