Gianfranco Ricci - Psicologo

Gianfranco Ricci - Psicologo Benvenuta/o nella mia pagina. Qui potrai trovare contenuti sulla psicologia e la psicoanalisi

TARZAN SUL LETTINO DI FREUDTarzan è un personaggio immaginario, nato dalla fervida fantasia dello scrittore Edgar Rice B...
01/12/2025

TARZAN SUL LETTINO DI FREUD

Tarzan è un personaggio immaginario, nato dalla fervida fantasia dello scrittore Edgar Rice Burroughs. Il primo romanzo che lo vede protagonista, intitolato “Tarzan delle scimmie” è stato pubblicato nel 1912 ed è rapidamente divenuto un grande successo.

Tarzan prende forma nel pieno della cosiddetta “Belle Époque”, gli anni prima della g
Grande Guerra, durante i quali la cultura europea occidentale si impose sul resto del mondo.

Le esplorazioni dei continenti meno conosciuti, come l’Africa, portarono le potenze europee a scoprire e sottomettere culture considerate inferiori.

L’arrivo di manufatti esotici costituiva uno stimolo importante per l’arte europea, come le opere di Picasso e Modigliani dimostrano.

Pensiamo, ad esempio, all’opera “Les demoiselles d’Avignon” di Picasso del 1912: l’artista rappresenta delle donne con maschere africane. Non a caso quest’opera costituisce il dipinto più conosciuto del cosiddetto “periodo africano” di Picasso.

In questo vibrante e vivace contesto culturale, Tarzan rappresenta l’archetipo dell’uomo primitivo che torna in contatto con la civiltà. Non si tratta semplicemente di un simbolo che rappresenta la difficile coesistenza tra mondi culturali diversi; piuttosto, è in gioco il lutto collettivo dell’umanità per la perdita dello "stato di natura".

Il mito del “buon selvaggio” ha molteplici esempi nel passato: i filosofi Thomas Hobbes, John Locke e Jean-Jacques Rousseau immaginavano come potesse essere un’umanità prima della legge e dell’emergere della cultura.

Ad esempio, per Hobbes, lo stato di natura sarebbe stato caratterizzato da una violenta conflittualità senza limiti; per Rousseau invece lo stato di natura sarebbe stato l’unico nel quale trovare libertà, salute e felicità.

Anche la psicoanalisi si interroga sul rapporto tra natura e civiltà. Per Freud la civiltà era un male necessario, utile a vincolare la spinta dell’aggressività; accettare le regole e i limiti della civiltà significa rendere possibile la vita "umana", al prezzo della rinuncia ad una piena soddisfazione della pulsione.

Lo psicoanalista Jacques Lacan sottolinea invece la strutturale condizione di "alienazione" dell’uomo rispetto allo "stato di natura"; secondo Lacan non vi sarebbe stato di natura per effetto del linguaggio. In altre parole, l’esistenza stessa del linguaggio costituirebbe la condizione di separazione permanente e strutturale dell’uomo dal resto degli esseri viventi.

Secondo questa concezione, il concetto stesso di stato di natura sarebbe un vero e proprio mito; non sarebbe quindi possibile distinguere tra un tempo nel quale l’uomo era una creatura tra le altre e invece l’inizio della storia e della civiltà.

Tarzan allora rappresenterebbe l’ennesimo tentativo di sublimare questo "lutto collettivo", attraverso l’incontro reale con un’umanità non corrotta, non influenzata dalla cultura e dalla legge.

Tarzan comunica con gli animali, in una profonda connessione con loro.
L’uomo civilizzato è invece esiliato, escluso e alienato: distante dal proprio desiderio, è per così dire “traumatizzato” e “negativizzato” dall’effetto del linguaggio sulla psiche e sul corpo. Per questo, alla luce della psicoanalisi, nell’uomo non si parla di istinto bensì di “pulsione”.

Da un altro punto di vista, alcuni psicoanalisti della scuola chiamata “psicologia dell’Io” considerano possibile rintracciare la dimensione primitiva dell’umanità nell’inconscio; secondo questa concezione, l’inconscio sarebbe la parte animale dell’uomo, priva di regole e dei limiti imposti dalla civiltà. In questo senso, l’io dovrebbe imporsi sull’inconscio per civilizzarlo.

Lacan invece critica questa concezione perché coglie nell’inconscio una “ragione alternativa” a quella dell’Io e dell’Altro; se gli psicologi dell’Io affermano che l’istanza dell’Io debba subentrare all’inconscio primitivo per civilizzare l’umanità, Lacan invece afferma che siano l’inconscio e il desiderio del soggetto a doversi realizzare, relativizzando il peso dell’Io nell’economia psichica.

L’articolo completo è disponibile sul sito.

Per approfondire:
- Edgar Rice Burroughs – “Tarzan delle scimmie”;
- Sigmund Freud – “Il disagio della Civiltà”;
- Alex Pagliardini – “Jacques Lacan e il Trauma Del Linguaggio”.

IL LUTTO DI PIRANDELLOLuigi Pirandello è stato uno dei grandi maestri della letteratura e della drammaturgia italiana. P...
27/11/2025

IL LUTTO DI PIRANDELLO

Luigi Pirandello è stato uno dei grandi maestri della letteratura e della drammaturgia italiana. Premio Nobel per la letteratura nel 1934, Pirandello ha fatto dell’esplorazione dell’interiorità e della follia uno dei pilastri della propria ricerca.
L’impossibilità di comunicare pienamente e di conoscere il proprio sentire sono alcuni dei temi tragici che caratterizzano i personaggi e le opere del grande scrittore siciliano.

Uno dei momenti più toccanti della sua difficile vita è stato la perdita della madre (1919). Pirandello scopre della morte della madre mentre si trova lontano, in Germania.

Il tema del lutto, della perdita e della mancanza di chi lo ha amato, viene affrontato nelle “Novelle per un anno” (1922). In queste pagine, Pirandello dà voce ad un dialogo interiore tra sé e la madre.

Scrive Pirandello:

Madre: “Voi, del resto, tu che mi sei stato sempre lontano, così lontano, pensatemi ancora viva! Non sono forse io viva per te?

Pirandello: “Oh, Mamma, sì! - io le dico. – Viva, viva, sì... ma non è questo! Io potrei ancora, se per pietà mi fosse stato nascosto, potrei ancora ignorare il fatto della tua morte, e immaginarti, come t'immagino, viva ancora laggiù, seduta su codesto seggiolone nel tuo solito cantuccio, piccola, coi nipotini attorno, o intenta ancora a qualche cura familiare. Potrei seguitare a immaginarti così, con una realtà di vita che non potrebbe esser maggiore: quella stessa realtà di vita che per tanti anni, così da lontano, t'ho data sapendoti realmente seduta là in quel tuo cantuccio…

E questo mi sosteneva, mi confortava. Ora che tu sei morta, io non dico che non sei più viva per me; tu sei viva, viva com'eri, con la stessa realtà che per tanti anni t'ho data da lontano, pensandoti, senza vedere il tuo corpo, e viva per sempre sarai finché io sarò vivo…”

Pirandello descrive l’esperienza interiore della sopravvivenza psichica della propria madre. Come possiamo descrivere questo fenomeno dal punto di vista della psicoanalisi?
Il grande psicoanalista, Franco Fornari ha offerto una preziosa descrizione di questo processo psichico in termini di “famiglia interna”.

Afferma Fornari:

“Per spiegarvi che cos’è la buona famiglia interna, vorrei riferirmi a Pirandello. Pirandello ha perso la madre in un periodo in cui si trovava in Germania. Prima che lui ricevesse la notizia, erano passate 10 ore dall’ora in cui la madre era morta, quando lui l’ha saputo.
Di fronte a questo lutto, Pirandello ha reagito un modo che è tipico di tutta la sua creazione poetica. Pirandello si è detto: “ma se mia madre è morta 10 ore fa e io lo so adesso, dentro di me mia madre viveva anche se era morta. Allora c’è una madre dentro di me che non morirà mai e che continuerà a vivere finché io vivrò. Piuttosto sono io che sono morto perché non incontrerò più nessuno nella vita che mi guardi con gli stessi occhi con cui mi guardava mia madre.”

Cosa vuol dire questa riflessione di Pirandello?

Le grandi Imago, le grandi immagini da cui noi ricaviamo la nostra vita affettiva non sono solo le persone reali, sono nostri oggetti interni. La terapia degli affetti intende recuperare dei genitori eterni che vivono al di dentro di noi anche quando i genitori reali sono morti.”

Fornari coglie il profondo legame tra affetto e identità, tra relazione e valore.

Prosegue Pirandello:

“ma vedi? è questo, è questo, che io, ora, non sono più vivo, e non sarò vivo per te mai più! Perché tu non puoi più pensarmi com'io ti penso, tu non puoi più sentirmi com'io ti sento! E ben per questo, Mamma, ben per questo quelli che si credono vivi credono anche di piangere i loro morti e piangono invece una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati. Tu l'avrai sempre, sempre, nel sentimento mio: io, Mamma, invece, non l'avrò più in te.”

Nelle parole di Pirandello e nella descrizione psicoanalitica di Fornari vediamo in modo molto vivo quanto Freud descrive in “Lutto e melanconia”: la morte della madre diventa morte del soggetto, “l’ombra dell’oggetto perduto cade sull’Io”, come afferma Freud.

Conclude Pirandello:
“L'ombra s'è fatta tenebra nella stanza. Non mi vedo e non mi sento più. Ma sento come da lontano lontano un fruscio lungo, continuo, di fronte, che per poco m'illude e mi fa pensare al sordo fragorio del mare, di quel mare presso al quale vedo ancora mia madre…

L’articolo completo è disponibile sul sito.

Per approfondire:
-Luigi Pirandello – “novelle per un anno”;
-Franco Fornari – “la terapia degli affetti”;
-Sigmund Freud – “Lutto e melanconia”.

LA SCULTURA DI LEONARDO E LA PSICOANALISI DI FREUDSembrano mondi molto diversi. Forse la scultura di Leonardo da Vinci c...
25/11/2025

LA SCULTURA DI LEONARDO E LA PSICOANALISI DI FREUD

Sembrano mondi molto diversi. Forse la scultura di Leonardo da Vinci ci può aiutare a capire meglio la psicoanalisi di Sigmund Freud.

Freud è sempre stato affascinato dal mondo dell’arte. Nella sua lunga vita, ha collezionato molte opere: quadri, stampe e…sculture.

In un articolo intitolato “Psicoterapia” (1904), Freud risponde ad alcuni colleghi medici del Collegio medico viennese sui loro dubbi sulla psicoanalisi, la tecnica per indagare l’inconscio.

Il padre della psicoanalisi sottolinea l’importanza della psicoterapia nella pratica medica, mostrando il ruolo dei fattori psichici nella cura di ogni forma di patologia.

I medici infatti, consapevoli della loro funzione o meno, fanno ricorso a strumenti o pratiche psicoterapeutiche, per mobilitare i fattori psichici del malato nella cura delle malattie.

Citando Leonardo Da Vinci, Freud accosta la suggestione alla pittura e la psicoanalisi alla scultura.

Perché?

Per Leonardo, la pittura è una forma d’arte che si realizza “per via di porre”: l’artista copre la tela con la massa del colore, aggiungendo, formando strati, coprendo.

La scultura invece si effettua “per via di levare”: da un blocco di pietra o marmo l’artista fa emergere la statua, intrappolata sotto strati di materiale che la mano sapiente e gli strumenti dello scultore riescono ad eliminare.

Così, la terapia basata sulla suggestione e sull’ipnosi utilizza la suggestione che il medico riesce a creare nei confronti del paziente per impedire alle idee patogene di emergere.

Tuttavia, sottolinea Freud, l’aggiunta della suggestione ha effetti brevi e non risolutivi: il sintomo, scomparso in un primo istante, ritorna, anche sotto forme diverse.

La terapia analitica, la psicoanalisi, invece scandaglia i processi inconsci e si preoccupa del senso dei sintomi e del contesto psichico nel quale si formano le cosiddette “idee patogene”.

Inoltre, Freud sottolinea l’importanza della resistenza alla guarigione. Si tratta di un fenomeno che si manifesta nell’attaccamento del malato alla propria malattia. Freud lo considera legato ai “vantaggi secondari” che la malattia permette di ottenere.

In seguito, il concetto di pulsione di morte permetterà di andare “al di là del principio del piacere”, per esplorare il terreno inquietante del legame tra morte e godimento.

Per concludere sulla scultura di Leonardo e la psicoanalisi di Freud…
La metafora della psicoanalisi come “scultura”, “per via di levare”, ci permette di capire meglio il silenzio dell’analista. Ogni parola dell’analista rischia infatti di essere un’aggiunta impropria, che nulla ha a che fare con l’inconscio del paziente.

L’azione dell’analista allora consiste nel “levare”, nel fare emergere la logica inconscia della sua sofferenza. Al centro della cura psicoanalitica abbiamo le parole del paziente: il lavoro dell’analista è sostenere il paziente nella sua ricerca nell’inconscio.

Come sottolinea Domenico Cosenza, “l’analista è chiamato a togliere il “troppo di senso”, la ridondanza con cui il paziente presenta la propria condizione.

L’analista, così, mostra al paziente che l’unico interprete del proprio inconscio non può che essere lui stesso.

L’articolo completo è disponibile sul sito.

Per approfondire:

Domenico Cosenza – “Jacques Lacan e il problema della tecnica in psicoanalisi”
Sigmund Freud – “Psicoterapia” (1904)

FREUD E LA ROCCIA DELLA CASTRAZIONECome finiscono le analisi? Dopo tanti anni di ricerca, Sigmund Freud si interrogava s...
24/11/2025

FREUD E LA ROCCIA DELLA CASTRAZIONE

Come finiscono le analisi? Dopo tanti anni di ricerca, Sigmund Freud si interrogava sulla conclusione dei trattamenti psicoanalitici. Nel testo “Analisi terminabile e interminabile” (1937), il padre della psicoanalisi cerca di riflettere sui limiti logici dell’analisi.

Certo, un trattamento può terminare quando il paziente ha superato il proprio sintomo.
Tuttavia, Freud si chiedeva fino a dove la psicoanalisi si possa spingere nell’indagare le dinamiche inconsce della psiche.

Da un certo punto di vista, l’analisi è infatti interminabile: non è possibile ricondurre integralmente l’inconscio alla coscienza; in questo caso è in gioco una fantasia “egoica”, di padronanza e di controllo dell’inconscio da parte dell’Io e della ragione conscia.

Come più volte affermato da Freud, l’Io deve fare i conti col fatto che non è “padrone in casa propria”. Accettare questo limite e il primato dell’inconscio è un passaggio fondamentale del trattamento.

D’altra parte l’analisi si muove a partire da alcune precise “coordinate logiche”, legate ai conflitti e alle dinamiche psichiche che determinano la comparsa della nevrosi. In questo senso, per Freud, una psicoanalisi può essere spinta fino ad un estremo ben preciso.

Qual è il punto estremo di un’analisi per Freud?

Secondo il padre della psicoanalisi, il limite estremo di un trattamento corrisponde alla “roccia della castrazione”, cioè il punto di contatto tra il fisico e lo psichico.
Freud parla di una “roccia basilare” costituita dalla dimensione biologica come fondamento dell’attività psichica.

Freud coglie nel maschile una “protesta virile” invincibile, legata al terrore biologico della castrazione, intesa come “rifiuto della femminilità” nell’uomo. Nella donna invece questo limite, la “roccia basilare”, sarebbe costituita dall’impossibilità di soddisfare, proprio a partire da un’impossibilità biologica, l’invidia del pene.

Per questo, per Freud, alla fine dell’analisi si osserva una necessaria accoglienza del limite che si traduce spesso in un vissuto depressivo.

Molti analisti negli anni successivi si sono interrogati su questo limite logico posto da Freud come insuperabile. Per esempio, per Lacan, un trattamento portato fino in fondo implica necessariamente “l’attraversamento del proprio fantasma fondamentale”, cioè la trasformazione del proprio rapporto soggettivo con la pulsione dal punto di vista simbolico, immaginario e reale.

Questo “attraversamento” si rifletterebbe in un profondo cambiamento del soggetto rispetto alle proprie modalità nevrotiche dolorose di trovare soddisfazione alle esigenze della pulsione.

Troviamo un’evoluzione di questo concetto nella proposta di Massimo Recalcati di lavorare nella direzione di una “conversione della pulsione”: lo psicanalista milanese con questa formula indica la necessità di favorire l’alleanza tra pulsione e desiderio per rendere la vita del soggetto capace di creatività e soddisfazione.

In questo senso, a partire dalla proposta lacaniana, la fine del trattamento dovrebbe piuttosto corrispondere con l’emergere di un “più di vita”, di una nuova capacità sublimatoria.

In gioco quindi non vi sarebbe l’esaurimento dell’inconscio, bensì la possibilità di fare della spinta della pulsione la forza che sostiene l’emergere della creatività e dello stile di ciascuno.

L’articolo completo è disponibile sul sito.

Per approfondire:
-Sigmund Freud – “analisi terminabile e interminabile”;
-Massimo Recalcati – “convertire la pulsione?”;
-Jacques-Alain Miller – “come finiscono le analisi?”.

JUNG SOGNA LA GUERRACarl Gustav Jung è stato uno degli intellettuali più influenti della cultura occidentale. La teoria ...
20/11/2025

JUNG SOGNA LA GUERRA

Carl Gustav Jung è stato uno degli intellettuali più influenti della cultura occidentale. La teoria psicoanalitica che ha elaborato è figlia delle sue esperienze interiori. Dopo la rottura con Freud, Jung ha attraversato un profondo periodo di crisi, durante il quale ha lavorato sulle sue immagini e fantasie inconsce.

Il frutto di questo lavoro sui propri contenuti psichici è il famoso “Liber novus”, noto come “Libro rosso”.

Racconta Jung:
“Nell’ottobre 1913, mentre ero in viaggio da solo, durante il giorno fui improvvisamente sopraffatto da una visione: vidi una spaventosa alluvione che inondava tutti i bassopiani settentrionali situati tra il Mare del Nord e le Alpi. Andava dall’Inghilterra alla Russia e dalle coste del Mar del Nord fin quasi alle Alpi. Vedevo i flutti giallastri, le macerie galleggianti e la morte di innumerevoli persone.”

Negli anni precedenti lo scoppio della prima guerra mondiale, l’élite intellettuale europea discuteva apertamente del possibile scoppio di un conflitto. I generali facevano piani di combattimento sempre più dettagliati e articolati; i politici e i sovrani si confrontavano su quando far scoppiare il conflitto.

Prosegue Jung:
“questa visione durò circa due ore, mi sconcertò e mi fece star male. Non riuscii ad interpretarla. Passarono due settimane e la visione ritornò, ancora più intensa di prima. Una voce interiore mi diceva: “guarda bene, è tutto vero, sarà proprio così. Non puoi dubitarne”. Lottai ancora per circa due ore contro questa visione, ma essa non mi abbandonava. Mi lasciò esausto e sconcertato. E pensai che la mia mente si fosse ammalata.”

La testimonianza di Jung è impressionante: lo psichiatra svizzero racconta nel dettaglio la forza della visione che lo aveva catturato, senza lasciarlo andare. L’intensità di questa esperienza è tanto forte da far temere a Jung di essere impazzito.

Secondo i dettami della psicologia analitica, possiamo interpretare queste visioni come effetto della connessione dello psichiatra con la dimensione collettiva dell’inconscio, la capacità di sentire lo “spirito del suo tempo”, ciò che si agita sotto la sottile crosta della razionalità e della coscienza.

Continua Jung:
“Da quel momento tornò la paura del mostruoso evento che pareva incombere immediatamente su di noi. Una volta vidi anche un mare di sangue ricoprire i paesi nordici.”

A queste visioni si aggiungono tre sogni che Jung stesso racconta:
“nel 1914, all’inizio e alla fine del mese di giugno, e all’inizio del mese di luglio, feci per tre volte il medesimo sogno.
Ero in terra straniera, e all’improvviso di notte e proprio in piena estate, dagli spazi siderali era calato un freddo inspiegabile e mostruoso, tutti i mari e fiumi ne erano rimasti ghiacciati e gelata era ogni forma di vegetazione.
Il secondo sogno era molto simile al primo, mentre il terzo, agli inizi di luglio, fu di questo tenore:
Mi trovavo in una remota regione inglese. Era necessario che tornassi in patria il più in fretta possibile con una nave veloce. Arrivavo in fretta a casa. In patria trovavo che in piena estate era calato dagli spazi siderali un freddo mostruoso che aveva congelato ogni forma di vita.
Lì c’era un albero fronzuto, ma privo di frutti, le cui foglie si erano trasformate per effetto del gelo, in dolci grappoli, colmi di un succo salutare. Io coglievo e li offrivo una grande folla in attesa.”

Questi sogni furono, in un primo momento, considerati impossibili da interpretare da Jung. I fatti successivi, tuttavia offrirono la chiave di interpretazione necessaria.

Conclude Jung:
“nella realtà stava succedendo questo. Nel periodo in cui scoppiò la grande guerra tra i popoli europei mi trovavo in Scozia, costretto dalla guerra decise di tornare in patria con la nave più veloce per la rotta più breve. Trova il freddo polare, che ha fatto gelare ogni cosa, trovai l’alluvione, il mare di sangue, e ritrovai anche il mio albero priva di frutti, le cui foglie il gelo aveva trasformato in rimedio salutare. E io colgo i frutti maturi e li offro a voi senza sapere che cosa vedono, quale agrodolce inebriante pozioni, che vi lascia un sapore di sangue sulla lingua.”

Così Jung scrive nel suo “Libro rosso”, un testo pensato per rimanere nascosto, non per essere pubblicato. Ecco, forse, il frutto evocato dal sogno di Jung.

L’articolo completo è disponibile sul sito.

Per approfondire:
-Carl Gustav Jung – “Liber Novus”;
-Nante B. e F. – “Guida alla lettura del libro rosso di C.G. Jung”;
-Cicero e Guerrisi – “Leggere il libro rosso di Jung”.

È scomparso oggi Paul Ekman, psicologo americano pionere nella ricerca delle emozioni e nello studio delle espressioni f...
19/11/2025

È scomparso oggi Paul Ekman, psicologo americano pionere nella ricerca delle emozioni e nello studio delle espressioni facciali.

Ekman è riuscito a dimostrare la dimensione universale delle espressioni facciali connesse alle cosiddette emozioni di base: rabbia, disgusto, tristezza, gioia, e sorpresa.

I TRE PILASTRI DI LACANJacques Lacan ha dedicato la propria vita ad una ripresa del pensiero di Freud. Secondo lo psicoa...
17/11/2025

I TRE PILASTRI DI LACAN

Jacques Lacan ha dedicato la propria vita ad una ripresa del pensiero di Freud. Secondo lo psicoanalista francese era necessario recuperare le scoperte del padre della psicoanalisi, affinché la scienza dell’inconscio non diventasse una mera psicologia.

Tuttavia, nel pensiero comune Lacan è un autore difficile da comprendere e criptico nel proprio modo di esporre idee e concetti. Sono in molti a cercare di “tradurre” Lacan, affinché possa essere più accessibile.

Tra i primi a cimentarsi in questo compito, Mario Francioni, professore universitario a Torino di storia della psicologia e docente di filosofia, ha tentato di sistematizzare alcuni aspetti centrali del tentativo lacaniano di “ritornare a Freud”.

Possiamo quindi individuare tre pilastri, che Francioni definisce “tesi paradossali”, tre passaggi del lavoro che Lacan effettua nel suo studio dell’opera di Freud:

1-L’inconscio coincide realmente con l’intero soggetto: per Lacan il vero soggetto sarebbe “il soggetto dell’inconscio”, ben distinto dall’Io; è nel soggetto dell’inconscio che sarebbe possibile individuare il desiderio e la dimensione unica e particolare di ciascun soggetto;

2-L’Io, per la sua funzione puramente difensiva e quindi narcisistica, non è che il soggetto immaginario, cioè l’assoggettato senza aver autonomia o libertà da conflitti o da misconoscimenti alienanti. L’io sarebbe una costruzione necessaria per rispondere alla domanda “chi sono?”, nel tentativo di far coincidere l’intera psiche con l’Io stesso e la coscienza; questo inganno avrebbe luogo a partire dal rapporto del soggetto con l’altro che gli preesiste (la famiglia, la società, il resto del mondo);

3-La cura -la maieutica freudiana -non cerca la guarigione, ma la verità, di cui la scienza conosce solo taluni effetti: la guarigione tuttavia può giungere in sovrappiù. I principi di fondo della terapia analitica sarebbe la capacità ordinatrice della verità; l’emergere della verità permetterebbe al soggetto di fare i conti con le proprie questioni e con il proprio desiderio. La risoluzione di questi conflitti porterebbe ad un altro equilibrio psichico, maggiormente favorevole al soggetto.

Lacan ha creato un vero e proprio sistema di pensiero basato su questi tre pilastri. Ciascuno di essi influenza profondamente tanto la teoria quanto la pratica della psicoanalisi nella scuola di Lacan.

Sullo sfondo abbiamo il conflitto tra soggetto e realtà, uno scontro senza soluzione definitiva ma la ricerca perenne di un equilibrio.

L’articolo completo è disponibile sul sito.

Per approfondire:
-Mario Francioni – “psicoanalisi linguistica e di epistemologia in Jacques Lacan;
-Silvia Vegetti Finzi – “intervista con Jacques Lacan”;
-Caruso P. – “Conversazioni con Claude Lévi-Strauss, Michel Foucault, Jacques Lacan”.

IL TRAMONTO DI IRVIN YALOMCosa significa invecchiare per un terapeuta? In che modo gli anni che passano incidono sulla s...
13/11/2025

IL TRAMONTO DI IRVIN YALOM

Cosa significa invecchiare per un terapeuta? In che modo gli anni che passano incidono sulla sua capacità di aiutare i pazienti?

Irvin D. Yalom è da decenni una figura di riferimento per la psicoterapia, in ambito esistenziale e non solo. Autore generoso e creativo, Yalom è autore di saggi e romanzi che mettono al centro un modello di psicoterapia basato sulla centralità della relazione.

Nel suo ultimo lavoro, scritto insieme al figlio Benjamin, intitolato “L’ora del cuore” (2025), Yalom, oramai ampiamente superati i 90 anni, si interroga sulla propria pratica di psicoterapeuta.

Racconta Yalom:
“quando avevo da poco compiuto ottant’anni, mi ero reso conto che la mia memoria cominciava a perdere colpi… Con il progredire di questa condizione, cominciai a pensare che forse non ero più in grado di offrire una terapia a lungo termine, come avevo fatto per quasi sessant’anni. Invece di intraprendere terapie aperte che a volte durano tre o quattro anni, decisi di porre il limite di un anno, stabilito in anticipo, per tutti i nuovi pazienti”

Porre un limite alla durata della terapia è pratica comune in molti approcci basati su percorsi standardizzati oppure su rigidi protocolli di intervento.
Tuttavia, davanti alla difficoltà di produrre risultati clinici significativi, lo stesso Freud, nel celebre caso chiamato “l’uomo dei lupi”, decise di porre un limite alla terapia analitica. Nel caso di Freud, il limite temporale imposto alla terapia aveva lo scopo di stimolare il paziente a lavorare più intensamente in seduta, favorendo il suo coinvolgimento nel trattamento.

Tuttavia, gli anni per Yalom continuavano a passare, imponendogli nuovi cambiamenti nella sua pratica di terapeuta; prosegue Irvin:

“quando stavo per compiere 87 anni, cominciai a rendermi conto che per ricordare i dettagli dei pazienti dipendevo sempre di più dai riassunti… Ero in difficoltà, e cominciai a mettere in discussione il valore della cura che era in grado di offrire. Sentivo di avere ancora molto da dare, ma era chiaro che, in tutta coscienza, non potevo impegnarmi in un lavoro continuativo con dei pazienti, sia pur entro i limiti di un anno.”

L’avanzare dell’età costringe Yalom ad un ulteriore cambiamento; al centro della sua esperienza vi era l’idea difficile da metabolizzare di porre fine alla propria pratica.
Come mettere da parte l’attività che per oltre sessant’anni ha scandito ogni giorno della propria vita?

Si chiede Yalom: “chi avrei potuto essere, se non uno psicoterapeuta? A dire la verità ero arrabbiato e profondamente spaventato. Non ero pronto a sentirmi così vecchio, così inutile. Il pensiero di lasciarmi la terapia alle spalle era come rassegnarsi a un rapido declino, seguito nel giro di poco tempo dalla morte inevitabile”.

Il racconto di Yalom rappresenta una vivida testimonianza del lutto inevitabile legato al passare degli anni e all’avvicinarsi della morte.

Come sopravvivere? Come conciliare i limiti dell’età con il proprio desiderio?

Conclude Yalom:
“me ne venni fuori con un’idea non convenzionale. Forse potevo incontrare le persone per un’unica consultazione, della durata di un’ora. Nel corso di quell’ora avrei offerto loro tutto quello che potevo -intuizione, guida, una presenza cordiale e tollerante - e in seguito, se necessario, avrei potuto mandarli da un collega che fossi in armonia con le loro questioni…”

Yalom decide di mettere di nuovo al centro della propria pratica un suo pilastro fondamentale: la centralità del “qui ed ora” come orizzonte della propria pratica.

Questo ultimo (davvero ultimo?) lavoro di Yalom costituisce una preziosa occasione di riflessione su come ciascun uomo, terapeuta o paziente, sia chiamato a trovare la propria personale “soluzione” davanti alle sfide della propria vita.

L’articolo completo è disponibile sul sito.

Per approfondire:
-Irvin Yalom – “Il dono della terapia”;
-Irvin Yalom – “L’ora del cuore”;
-Irvin Yalom – “Psicoterapia esistenziale”.

JACQUES LACAN E L’“ORIGINE DU MONDE”“L’Origine du monde” di Gustave Courbet è uno dei dipinti più scandalosi e noti nell...
10/11/2025

JACQUES LACAN E L’“ORIGINE DU MONDE”

“L’Origine du monde” di Gustave Courbet è uno dei dipinti più scandalosi e noti nella storia dell’arte. Prima di Courbet, le altre rappresentazioni anatomiche femminile avevano solo uno scopo descrittivo anatomico; ne sono un esempio le raffigurazioni di Leonardo del 1510.

L’opera era stata commissionata nel 1866 dal diplomatico ottomano Khalil Bey; la p***e due anni dopo, a causa del gioco d’azzardo, che costrinse il diplomatico a mettere all’asta la sua collezione.

Tuttavia, “L’Origine du monde” non era tra le opere in vendita; l’opera quindi scomparve per 44 anni, fino al 26 novembre 1912, quando una certa “Madame Viale” vendette un dipinto di Courbet alla galleria Bernheim-Jeune a Parigi. Quel dipinto è descritto nel contratto di vendita come un “paesaggio—riva del mare (castello-fortezza)”.

In realtà era anche la copertura di un contenitore che nascondeva “L’Origine du monde” (già il suo primo proprietario, Khalil Bey, era solito nascondere il quadro sotto un velo verde, per sottrarlo alla vista degli spettatori).
Nel giugno 1913, Hatvany acquistò entrambe le opere dalla galleria.

I tesori di Hatvany sopravvissero alla rivoluzione ungherese del 1918. Confiscati dal governo, i capolavori furono restituiti al proprietario dopo la caduta della repubblica rossa.
Durante il periodo tra le due guerre, la villa di Hatvany era un luogo di ritrovo per artisti e visitatori illustri a Budapest, tra cui Thomas Mann.

Tutto cambiò negli anni ’30, quando l’Ungheria cadde sotto l’influenza della Germania. Nel 1942, dopo il primo bombardamento di Budapest da parte degli Alleati, Hatvany comprese finalmente il pericolo per la sua collezione. Depositò oltre 300 capolavori della collezione nelle casseforti di tre banche di Budapest, a nome di due dipendenti.
Il destino dei dipinti rimase misterioso fino alla fine della Guerra Fredda. Solo durante la perestrojka, alla fine degli anni ’80, si scoprì che alcuni tesori di Hatvany erano nascosti in un museo in Russia.

I tentativi di Hatvany e degli ufficiali ungheresi di persuadere l’amministrazione militare sovietica a recuperare i capolavori rubati non ebbero successo. Nel 1946, Hatvany fu contattato da un ufficiale sovietico, apparentemente ungherese di nascita. L’ufficiale disse al barone che era disposto a restituirgli i dipinti in cambio di un’adeguata ricompensa.

Hatvany riscattò dieci tele, “liberate” dalle casseforti delle banche di Budapest dalle truppe sovietiche, tra cui “L’Origine du monde” di Courbet.

L’anno successivo, Hatvany lasciò l’Ungheria. Gli fu concesso il permesso ufficiale di esportare un solo dipinto della sua collezione, un’opera priva di valore artistico secondo i funzionari culturali. Si trattava proprio di “L’Origine du monde”. Hatvany trascorse gli ultimi anni a Parigi e in Svizzera.

Nel 1955, “L’Origine du monde” fu venduta all’asta per 1,5 milioni di franchi. Il nuovo proprietario fu lo psicoanalista Jacques Lacan.

L’opera è stata probabilmente acquistata da Jacques Lacan e sua moglie Sylvia Bataille nel 1955 grazie all’aiuto del pittore André Masson e di George Bataille.

Nella sua casa di campagna Lacan, in una dependance che aveva trasformato in studio, era solito mostrare ai suoi ospiti “il suo Courbet” con un rituale molto preciso: Lacan teneva infatti l’opera nascosta dietro ad un pannello scorrevole incastrato nella cornice.

Lacan molto orgoglioso della sua opera, che sicuramente ha mostrato ad artisti come Pablo Picasso e Marcel Duchamp.

Oggi si trova al Musée d’Orsay.

Tutti hanno voluto “nascondere” il quadro a sguardi indiscreti; perché? In gioco non c’è solo l’anatomia di un corpo, ma la dimensione pulsionale del vedere e il divieto che la regola. L’opera mette al centro proprio lo sguardo e la posizione soggettiva di chi osserva.

Si tratta di un quadro o di una finestra aperta su un momento di intimità? Siamo semplici osservatori o involontari vo**ur?

L’articolo completo è disponibile sul sito.

Per approfondire:
- Gallimard – Centre Pompidou-Metz – “Lacan Expo”;
- Fabrice Masanès – “Gustave Courbet 1819-1877: The Last of the Romantics: Unsentimental Realism”;
- Gustave Courbet - “Il realismo. Lettere e scritti”.

Indirizzo

Naples

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