Dott.ssa Anna Borriello Psicologa

Dott.ssa Anna Borriello Psicologa Psicologa
Età Evolutiva
Consulenza e Sostegno Psicologico
Esperta in Psicologia Giuridica

Mi chiedo quando abbiamo iniziato a chiamare “vivere” l’essere costantemente stanchi.A volte sembra che la vita sia solo...
05/10/2025

Mi chiedo quando abbiamo iniziato a chiamare “vivere” l’essere costantemente stanchi.

A volte sembra che la vita sia solo questo: lavorare tutto il giorno e arrivare la sera
con la testa piena e il corpo stanco.
Eppure, la vita non comincia
quando smetti di lavorare.
La vita è in mezzo a quelle ore.

Il lavoro è parte della vita.
Ma non dovrebbe mai diventare tutta la vita.

A volte si comincia solo con l’idea
di impegnarsi, di dare il massimo, di fare bene.
Poi, senza accorgersene,
si finisce a vivere per un calendario
pieno e un’anima vuota.
E quando ti fermi, capisci che mentre
rincorrevi risultati, ti sei perso tutto il resto:
le risate, i pranzi con chi ami, i momenti
in cui potevi respirare davvero.

Il tuo ruolo può essere sostituito.
Il titolo che hai oggi,
domani non lo ricorderà nessuno.
L’azienda per cui resti fino a tardi andrà
avanti anche senza di te.
Ma il tempo che non hai vissuto… quello no.
Le persone che non hai abbracciato,
i sogni che hai rimandato,
i giorni che non torneranno.
quelli li perdi per sempre.

Il lavoro ti dà soldi, ma se per averli perdi la pace, stai pagando un prezzo troppo alto.
Non sei la tua posizione.
Non sei il tuo stipendio.
Non sei il biglietto da visita sulla scrivania.
Sei una persona.
Con un cuore, un senso e una vita
che chiede di essere vissuta.

Ridi di più con chi ami.
Cammina, anche senza meta.
Sogna, anche quando sei stanco.
Prenditi tempo per quello che ti fa stare bene,
perché sono queste le cose che danno
significato a tutto il resto.

Alla fine nessuno ricorderà
quante ore hai lavorato.
Ricorderanno solo come hai vissuto,
come hai amato e come li hai fatti sentire.

Il lavoro è ciò che fai, non chi sei.

In Giappone ho imparato una parola nuova.
Ikigai.
Ikigai è molto semplice: è avere almeno
una ragione concreta per alzarti la mattina.
Una ragione che ti dà senso,
anche se non è spettacolare.

Perché se aspetti il weekend per vivere,
stai già perdendo la vita.
Il weekend sono 2 giorni su 7:
significa che ti concedi il 28% della
tua esistenza e butti via il resto.

Le ferie sono 30 giorni all’anno:
il 92% del tuo tempo non lo vivi.

La più grande bugia che tutti ti dicono
è di mollare tutto e partire, che quella è la
soluzione, ma non è vero.
Quello è solo scappare.

Non serve mollare tutto e scappare.
Serve imparare a portare un po’ di mondo dentro la tua quotidianità.
Serve cambiare il modo in cui ti svegli,
il modo in cui respiri, il modo in cui ti concedi
di esistere anche dentro una
giornata normale.

Perché la libertà non arriva quando
smetti di lavorare.
Arriva quando smetti di credere che
la vita sia solo lavoro.

Ma come si può portare l’ikigai
concretamente nella tua vita di tutti i giorni?

1️⃣La tua ragione minima.
Non servono grandi sogni.
Serve almeno una cosa che ti faccia alzare
dal letto.
Se non sai qual è, scrivi ogni mattina una cosa
che renderà la giornata meno sprecata.
Una. Anche piccola.
Senza quella, vivrai in automatico.

2️⃣Smetti di dividere vita e lavoro.
Otto ore al giorno per 40 anni:
se ti convinci che “quella non è vita”,
hai già deciso di buttare via metà della
tua esistenza.
Trova un modo per infilare vita anche lì:
una playlist che ti accompagna,
una pausa vera, una parola diversa detta
a chi hai accanto.

3️⃣Proteggi uno spazio intoccabile.
Mezz’ora al giorno sono 3,5 ore a settimana.
14 ore al mese. 168 ore all’anno.
Se non riesci a proteggere neanche questo,
non è perché non hai tempo:
è perché non sei una priorità per te stesso.

4️⃣Trasforma un gesto quotidiano in rituale.
Se bevi tre caffè al giorno, sono 1.000 all’anno.
O lo fai distratto, oppure hai 1.000 occasioni
per fermarti, respirare, stare.
Non servono più ore, serve far diventare speciale quello che già fai mille volte.

Ricorda: il vero cambiamento non arriva
quando cambi lavoro o città.
Arriva quando smetti di chiamare “vita”
solo il tempo libero

Riccardo Bertoldi🌊

05/10/2025
21/09/2025
21/09/2025

🧠 𝟮𝟭 𝗦𝗲𝘁𝘁𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 - 𝗚𝗜𝗢𝗥𝗡𝗔𝗧𝗔 𝗠𝗢𝗡𝗗𝗜𝗔𝗟𝗘 𝗗𝗘𝗟𝗟'𝗔𝗟𝗭𝗛𝗘𝗜𝗠𝗘𝗥

Dal 1994, l'𝘖𝘳𝘨𝘢𝘯𝘪𝘻𝘻𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘔𝘰𝘯𝘥𝘪𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘚𝘢𝘯𝘪𝘵𝘢̀ e l'𝘈𝘭𝘻𝘩𝘦𝘪𝘮𝘦𝘳'𝘴 𝘋𝘪𝘴𝘦𝘢𝘴𝘦 𝘐𝘯𝘵𝘦𝘳𝘯𝘢𝘵𝘪𝘰𝘯𝘢𝘭 ci invitano, in questa giornata e non solo, a guardare oltre i pregiudizi e oltre il silenzio che troppo spesso circondano l'Alzheimer e le altre forme di demenza.

Non parliamo solo di numeri, anche se sono eloquenti: oltre 𝟱𝟱 𝗺𝗶𝗹𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗻𝗲𝗹 𝗺𝗼𝗻𝗱𝗼 convivono con queste condizioni, e dietro ogni statistica c'è una 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮, una 𝗳𝗮𝗺𝗶𝗴𝗹𝗶𝗮, una 𝗿𝗲𝘁𝗲 𝗱𝗶 𝗮𝗳𝗳𝗲𝘁𝘁𝗶 che si trasforma e si adatta.

La Giornata Mondiale dell'Alzheimer ci dà l'occasione di ricordare, come psicologhe e psicologi, alcuni 𝗽𝗶𝗹𝗮𝘀𝘁𝗿𝗶 fondamentali:

✅ La 𝗱𝗶𝗮𝗴𝗻𝗼𝘀𝗶 𝗽𝗿𝗲𝗰𝗼𝗰𝗲 può cambiare il corso della malattia
✅ La 𝘀𝘁𝗶𝗺𝗼𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗼𝗴𝗻𝗶𝘁𝗶𝘃𝗮 può rallentarne il declino
✅ Il 𝘀𝘂𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗼 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗼 riduce l'isolamento e migliora la qualità della vita di 𝘱𝘢𝘻𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪 e 𝘤𝘢𝘳𝘦𝘨𝘪𝘷𝘦𝘳𝘴.

💜 Troppo spesso l'Alzheimer viene vissuto nel silenzio, nella vergogna, nell'isolamento sociale. Ogni volta che parliamo apertamente di queste condizioni, ogni volta che offriamo supporto invece di giudizio, ogni volta che scegliamo la comprensione invece della distanza, stiamo contribuendo a costruire il futuro di una 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗲𝘁𝗮̀ 𝗽𝗶𝘂̀ 𝘀𝗮𝗻𝗮 𝗲 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗴𝗶𝘂𝘀𝘁𝗮

14/09/2025

Cassino oggi è una città più vuota.
Il vuoto che lascia un ragazzo di soli quindici anni, Paolo, è qualcosa che nessuno sa colmare.
Un’anima buona, silenziosa, fatta di cose semplici: la pesca con il papà, i dolci in cucina con la mamma, la chitarra suonata per le sue sorelle.
Un ragazzo che non ha mai cercato di assomigliare agli altri, e forse per questo è diventato un bersaglio.

La sua famiglia, però, non l’ha mai lasciato solo. Simonetta, sua madre, è una donna che conosco da una vita. Siamo cresciute insieme, condividendo i banchi delle elementari. Era già allora una bambina educata, sensibile, profonda. E ha cresciuto i suoi figli con gli stessi valori: il rispetto, la cura, la rettitudine.

Simonetta ha combattuto.
Ha chiesto aiuto, ha denunciato, ha protetto Paolo ogni giorno, con tutta la forza che solo una madre sa trovare.
La famiglia ha provato in tutti i modi a reggere quel peso, a difendere una fragilità che non era debolezza, ma solo un cuore più sensibile degli altri.

Ma forse qualcosa, attorno a loro, è venuto meno. Forse il mondo fuori – quello delle istituzioni, della scuola, di chi avrebbe dovuto ascoltare – non ha capito fino in fondo quanto fosse urgente intervenire.

E adesso resta il dolore. Immenso. Ingiusto.
E la certezza che questa famiglia non ha nulla da rimproverarsi. Hanno fatto tutto. Hanno fatto di più.

Paolo ora è altrove, in un posto dove forse si può essere se stessi senza dover lottare per ogni respiro. E noi, qui, restiamo con la responsabilità di imparare a guardare meglio, a capire prima, ad ascoltare davvero.

Molti adulti, diventando genitori, ripetono inconsapevolmente ciò che hanno vissuto nella propria infanzia. È naturale, ...
04/09/2025

Molti adulti, diventando genitori, ripetono inconsapevolmente ciò che hanno vissuto nella propria infanzia. È naturale, ciascuno educa attingendo al patrimonio emotivo e inconscio che porta dentro di sé. Questo comporta che spesso ci troviamo a riprodurre schemi antichi, non sempre rispettosi dei bisogni profondi di un bambino.
Quando un genitore scopre che le ferite più durature nascono proprio nei primi anni di vita, può sentirsi schiacciato da un senso di colpa terribile. Accettare di non essere stati dei genitori "perfetti" significa anche riconoscere che i nostri stessi genitori, ai quali siamo rimasti leali interiormente, non erano affatto infallibili. È un pensiero difficile e doloroso da tollerare.
Proprio per questo, per difendersi da ciò, alcuni scelgono di rifugiarsi nelle regole del passato: negare i sentimenti, obbedire ciecamente, sopportare senza lamentarsi, e vivere come se la forza nascesse solo dal sacrificio, affrontando le difficoltà senza concedersi fragilità. In questo modo si evita di guardare in faccia la verità emotiva dell’infanzia e si mantiene l’illusione che quella severità fosse necessaria e giusta.
In realtà le nuove conoscenze non sono così lontane, basta osservare i bambini che oggi hanno l’opportunità di crescere in un clima più libero, in cui vengono ascoltati e accolti. Da loro possiamo apprendere che ciò che fa davvero la differenza è l’autenticità, la possibilità di esprimere i propri sentimenti e la sicurezza di un adulto presente e affidabile.
Riconoscere questi bisogni significa interrompere la catena che lega il dolore del passato al presente. Significa dare ai nostri figli ciò che forse a noi è mancato: il diritto di essere sé stessi, senza paura.

24/07/2025

"Nel giovane adulto abita un senso di vuoto di chi vive il tempo presente sempre allo stesso modo, tutti i giorni e vede il futuro come qualcosa di impossibile da immaginare".
Le parole di Maria Antonietta Gulino, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, nell’approfondimento del quotidiano Avvenire sul ruolo strategico della psicologia nella società contemporanea.

Emerge un crescente disagio psicologico che colpisce in modo particolare i giovani adulti tra i 26 e i 35 anni, ma anche gli adolescenti tra i 15 e i 18 anni. Si evidenziano quadri clinici complessi, caratterizzati da «un senso di vuoto» e dalla difficoltà a proiettarsi nel futuro.

Secondo i dati riportati, molti giovani avvertono una perdita di orientamento e identità, che spesso si traduce in forme di disagio emotivo o malessere psicologico. Il bisogno di supporto si manifesta in modo trasversale, coinvolgendo ambiti scolastici, universitari e lavorativi.
«È necessario un investimento culturale prima ancora che economico», afferma Gulino, sottolineando l’urgenza di integrare la salute psicologica nelle politiche pubbliche e riconoscerne il valore per la crescita del Paese.

"Abbiamo apprezzato le novità di questi giorni, che vanno nelle giusta direzione - prosegue la Presidente del CNOP -, ora c'è bisogno di un'ulteriore spinta di chiarezza per l'organizzazione dei prossimi servizi psicologici e di coraggio per stanziare i fondi necessari a livello nazionale. Il disagio psicologico - conclude la Presidente - ha rilevanza anche sociale perché ha effetto non solo sui singoli ma anche sui sistemi in cui siamo inseriti, famiglia, scuola, comunità"

Un richiamo forte alla responsabilità collettiva e istituzionale nel promuovere benessere e prevenzione, a partire dalle scuole, dai servizi territoriali e dal sostegno alle fragilità.

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