01/05/2022
La cosa migliore che può fare chi è intrappolato in un lavoro che non ama è smettere di identificarsi con il proprio mestiere.
Il primo passo è iniziare a usare i verbi, invece dei nomi, quando bisogna descrivere a qualcuno cosa si fa nella vita.
L’obiettivo è quello di tracciare una linea di demarcazione tra ciò che si è (come essere umano) e ciò che si fa per sopravvivere.
Ricorda: uno degli assiomi della Psicologia è che il linguaggio che usiamo plasma il nostro pensiero.
Sembra una sciocchezza, ma in realtà questo piccolo cambiamento linguistico ha degli effetti incredibili sulla salute mentale.
Vedi, le persone che soffrono a causa del proprio lavoro sono vittime di un enorme, gigantesco, equivoco:
credono di essere il lavoro che svolgono.
Quando accade ciò, un errore o un litigio sul lavoro non viene percepito come un semplice sbaglio, un banale imprevisto, ma come un vero e proprio attacco alla propria personalità.
Ogni errore mette in discussione la propria esistenza, il proprio diritto ad esistere nel mondo.
“Non sono un buono commesso, figuriamoci come essere umano”, è il pensiero intrusivo che potrebbe instillarsi nella mente.
Ma noi non siamo il nostro lavoro.
Certo, rappresenta una parte importante della nostra vita, rinforza la nostra identità sociale… ma non dobbiamo permettere che diventi l’unica identità che ci resta.
ℹ️ Facciamo un esempio concreto.
Sei ad un party e si avvicina uno sconosciuto.
Fa qualche battuta divertente, ma poi giunge alla fatidica domanda: “che lavoro fai?”
A questo punto dovresti rispondere usando un verbo che descrive la tua azione lavorativa (es: “organizzo e vendo articoli di abbigliamento”), invece di usare il titolo lavorativo (es: “sono un commesso”), con cui rischi di identificarti.
Un altro esempio è “insegno in una scuola dell’infanzia”, invece di “sono una maestra”.
👩🏻💻Una donna può lavorare alla cassa di un supermercato 8 ore al giorno, ma di sera accende il computer e scrive uno dei suoi racconti rosa che la rendono amata dalle sue lettrici.
👨🏼🎨Un uomo può lavorare all’altoforno di un’acciaieria per tutta la notte, ma quando torna a casa si dedica al restauro della sua collezione di fumetti d’epoca.
Come dovrebbero definirsi queste due persone, una cassiera e un operaio?
Fare ciò vorrebbe dire ridurre al minimo le numerose sfaccettature della loro personalità.
Ciò non è positivo né per loro, né per la società intera.
L’eccessiva identificazione con il proprio lavoro genera mostri, oltre ad un biglietto di sola andata verso la nevrosi.
🔴 In conclusione, presta più attenzione al modo in cui descrivi te stesso come lavoratore.
Tendi a usare più i verbi o più i titoli?
A meno che tu non lo faccia volutamente perché ami quei titoli e il prestigio che portano con sé (es: “sono un giudice, un astrofisico, ecc.”), inizia a dis-identificarti dal tuo lavoro, soprattutto se è temporaneo e non ti rispecchia.
Descrivi il tuo lavoro spiegando cosa fai per guadagnare soldi, invece di spiegare cosa sei.
Ne guadagnerai in salute, in attesa di formarti e cercare un lavoro più gratificante.
👨⚕️ PS: Per lo stesso motivo noi dottori moderni incoraggiamo i pazienti a non identificarsi con il proprio problema psicologico (es: “sono ansioso”, “sono aracnofobico”), ma esortiamo ad usare un linguaggio orientato a ciò che fanno (es: “soffro di attacchi d’ansia”, “ho la fobia dei ragni”).
Sfruttalo anche tu.
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di Psicologia Applicata