06/12/2025
Le parole per dirlo – Racconto n. 1
LA CHIAVE
di Guido Ferra
La distrazione è un difetto o un’esercizio di libertà? In questo racconto, in modo sorprendente, ma ovvio, si scioglie l’enigma e si dissolvono i conflitti grazie a una chiave.
Sono distratto, questo me lo ripeto da molti anni. Sempre con la testa tra le nuvole a inseguire qualche interessantissimo pensiero, mi trovo spesso nei guai per le tante cose p***e. Patenti da duplicare, portafogli lasciati in luoghi inusitati, chiavi tragicamente dimenticate in oscuri meandri, oppure lavate in lavatrice, o lasciate in casa e rammentate solo dopo aver chiuso la porta. A questi accadimenti seguono infallibilmente autoaccuse, mea culpa, assoluzioni, solenni promesse di cambiamento, tentativi di correzione, tutti inutili. Infatti, il male è difficile da eradicare perché porta il mio nome. Veniamo dunque a sabato scorso. Rincasando con l'auto, poco prima della mezzanotte, mi appresto a parcheggiare. Penso: “Che fortuna avere trovato questo garage, il prezzo è buono, praticamente è sotto casa, il personale è gentile. Poche regole, anzi solo una: lasciare le chiavi in auto dopo averla parcheggiata”. Ovvio, dato che i posti non sono assegnati, ma cambiano con le esigenze di ingressi ed uscite dei clienti, e può essere sempre possibile doverla spostare anche durante la notte. Ammetto che un paio di volte ho dimenticato anche questa semplice regola. Perso nella consueta nuvola di pensieri, in quei casi, ho eseguito automaticamente la sequenza di gesti che ripeto dappertutto, ma che in garage erano assolutamente da evitare: ho sfilato le chiavi dal quadro, mettendo il volante in posizione di blocco, per poi, con le malcapitate in tasca, dirigermi tranquillamente a casa. Certo, ora non lo faccio più. Sono stato richiamato, con gentilezza in quelle occasioni, ho chiesto scusa ed ho capito la lezione. Basta solo stare più attenti! Con questi pensieri, sabato, dopo aver parcheggiato, torno a casa, e dopo un po' vado a letto. Verso le sei del mattino il campanello della mia porta sembra impazzito. Qualcuno lo sta suonando convulsamente. Mi sveglio, tutto insonnolito. Sbircio il cellulare sul comodino e vedo che mi segnala trentadue chiamate p***e. Mia madre in fin di vita? Controllo: sono tutte di Mario-Garage. Capisco di colpo e mi precipito alla porta. Apro, è Mario: “Dottò, vi siete ancora una volta portato le chiavi”. Ancora in pigiama, controllo nella tasca del giubbotto. Ha ragione. Farfuglio un “mi dispiace - mentre le recupero e gliele do”. Lui va via. Torno a letto, mortificato, dispiaciuto. Ora basta, vanno presi provvedimenti seri, stavolta. Non posso continuare così. Decido di elaborare una soluzione che mi inchiodi, e che mi impedisca di farlo ancora. Devo costringermi all'attenzione! La mia colpa deve avere una conseguenza, devo assumerne la piena responsabilità. Così, più tardi, verso le otto e mezza, decido di scrivere al garagista: “Mi dispiace molto, Mario, non lo rifarò più. Per assicurarle che questo avvenga davvero, mi impegno, qualora accadesse di nuovo, a pagarle, oltre alla mensilità in corso, altre due in sovrapprezzo, come multa”. Alle otto e trentotto Mario-Garage mi risponde: “Dottò, ma quando mai. Non vi preoccupate. Facciamo la copia delle chiavi e me la date a me, così stiamo tranquilli”.
Rimango di sasso, poi mi metto a ridere. La soluzione di Mario mi sorprende perché è ovvia, perfetta, a prova di errore: “Come ho fatto a non pensarci?” Mette in scacco la mia distrazione, senza cambiarla, e senza punirla. “Che succederà la prossima volta? Niente”. La vera soluzione non può che avere questa estetica.