Simeone Stefano

Simeone Stefano Consulenze, start up e rilancio hotels , ristoranti, bar,recruitment e training risorse,controllo di gestione

30/04/2021

Degustazione del "Solopaca" Sannio Doc della Vinicola del Titerno in vendita da Carrefour ad un prezzo davvero accessibile: 2,50 €.

Prezzo irrisorio e packaging non particolarmente accattivante; devo essere sincero, quando l'ho acquistato ho temuto per un'esperienza non proprio promettente.
Però bisogna sempre provare prima di giudicare e poi la Sannio Doc non è una denominazione che sono così solito testare quindi, perchè non lanciarsi?

Blend di quattro uve: Trebbiano Toscano, Malvasia Bianca di Candia, Falanghina e Coda di Volpe, non ho trovato indicazioni circa vinificazione e maturazione (comunque, a pelle, direi tutto acciaio).
Anno di vendemmia 2019.

Nel calice bello il colore giallo paglierino piuttosto intenso e luminoso.
Al naso ha una bella espressività. Aromatico e con un buon livello di eleganza, esprime un bouquet floreale che si accompagna a note fruttate e minerali/iodate. Da sfondo un'impronta balsamica mentolata e di macchia mediterranea.

In bocca non delude. Sorso intenso ed elegante che chiude con ottima persistenza e bella pulizia, fattore non da poco.
Dritto e snello, solca piacevolmente il palato grazie alla spinta acida supportata dalla sapidità.

Vino ovviamente da tutto pasto e ottimo per il suo prezzo di vendita.

13/02/2021

Le bottiglie di vino sono da 750 ml perché???

Le bottiglie di vino sono solitamente da 750 ml (75 cl) e non da un litro (1.000 ml), ma da dove viene questa specifica?
La capacità di una bottiglia di vino si è normalizzata nel XIX secolo e sono emerse le spiegazioni più folli di questo fatto, che corrispondevano a spesso a queste ipotesi:
- La capacità polmonare di un vetro;
- Consumo medio in un pasto;
- La migliore capacità di conservare il vino;
- Facilità di trasporto
Bene, non è niente di tutto questo
In realtà si tratta semplicemente di un'organizzazione pratica con una base storica: All'epoca i principali clienti dei produttori di vino francesi erano gli inglesi. L'unità di volume degli inglesi era il “gallone imperiale “equivalente a 4.54609 litri. Per semplificare i conti di conversione, hanno trasportato vino di Bordeaux in botti da 225 litri, vale a dire esattamente 50 galloni, corrispondenti a 300 bottiglie da 750 ml. (75 centilitri). Essendo più facile il calcolo, hanno adottato un barile = 50 galloni = 300 bottiglie.
In questo modo un gallone corrispondeva a 6 bottiglie.
In realtà, per questo ancora oggi le scatole di vino hanno spesso 6 o 12 bottiglie.
Anche il vino è cultura!

Perché si chiama bar L’etimologia del termine bar, tanto comune quanto insolita per la nostra lingua, è da ricondursi al...
08/02/2021

Perché si chiama bar

L’etimologia del termine bar, tanto comune quanto insolita per la nostra lingua, è da ricondursi alla contrazione dell’inglese barrier, che significa letteralmente sbarra.
Considerato ciò, ci sono due possibili interpretazioni: la prima parte dal fatto che, nelle antiche osterie, l’angolo riservato alla vendita degli alcolici era separato dal resto del locale da una sbarra, che poi ha finito per indicare l’esercizio stesso; mentre la seconda ci conduce all’aggettivo inglese barred, che significa sbarrato, dal quale, sempre per contrazione, ha avuto origine l’odierno bar, inteso come luogo il cui ingresso era “sbarrato” a causa delle leggi inglesi che vietavano il consumo di bevande alcoliche.
In ogni caso il termine bar è strettamente legato al concetto di sbarra e ciò appare coerente visto che molto spesso nei banconi dei bar troviamo proprio due barre, una per le braccia e l’altra per i piedi.

04/12/2020

Ecco quali sono i 4 fattori che creano maggiore tensione in un ristoranti:

1. La disparità di paga. Nella maggior parte dei ristoranti la brigata di cucina prende di più che il personale di sala.

2. Chef, pasticceri e in generale tutti coloro che lavorano in cucina pensano che il loro lavoro sia più importante, solo perché è più faticoso e impegnativo.

3. I cuochi pensano che il loro lavoro ricada nella categoria "possedere un talento", a differenza di quello dei camerieri, che si limitano a prendere ordini.

4. L'atmosfera lavorativa in un ristorante è tesa e stressante. Non tutti sono fatti per sopportarla, e anche quelli che lo sono rischiano di esagerare in una situazione di stress, a differenza di un normale ufficio con orari dalle 9 alle 5, dove ci si innervosisce per non essere in cc in una mail.

Ecco come la situazione può risolversi.

1. Ricordate che siamo stati tutti, almeno una volta, "quello che ha commesso lo sbaglio", e sicuramente lo saremo ancora.

2. Date a chiunque abbia commesso un errore il beneficio del dubbio, presumendo che il suo fosse un errore in buona fede. Perché probabilmente lo era.

3. Pensate che la persona dall'altra parte sta facendo del proprio meglio. Proprio come voi.

4. Dare la colpa a qualcuno per qualcosa che è già successo non aiuterà a migliorare la situazione. Concentratevi invece su come risolvere le cose, e soprattutto come evitare che la situazione si ripeta in futuro.

30/09/2020

Spesso nel senso comune si confondono le figure di barman e barista e la situazione peggiora quando si parla di bartender. A questo punto facciamo un po’ di chiarezza.

Sono tre figure chiave legate al bar, ma cambiano i ruoli e le attività che svolgono.

Partiamo dal barman che, come suggerisce la parola, fa riferimento all’uomo che lavora al bar. Questo però non significa che non vi siano dei nomi distintivi anche per il gentil sesso come barwoman, barlady.

In entrambi i casi parliamo di una persona specializzata nella preparazione di cocktail classici o particolari e di tutto ciò che viene servito dopo l’aperitivo. In America viene identificato con il termine “mixologist”, cioè il dottore della miscelazione, perché è anche specializzato nella preparazione di bevande alcoliche. Opera per lo più in grandi alberghi o lounge bar.

Il barista, invece, svolge un’attività che potremmo per certi versi definire “meno notturna”, dal momento che si occupa di preparare bibite, aperitivi, stuzzichini e prodotti di caffetteria: cappuccino, caffè e simili. Per questo è la figura classica che di solito si associa alla caffetteria tradizionale e ad un servizio diurno.

Il bartender, invece, è per certi versi più vicino alla figura del barman, ma lavora con un approccio più innovativo e moderno. Un bravo bartender è in grado di soddisfare il cliente non solo per la resa estetica e gustativa del suo drink, ma anche per la sua abilità nel versare la bevanda a più clienti contemporaneamente.

Non va, però, confuso con il barman acrobatico che prepara le bevande eseguendo movimenti particolari. Grazie alle sue competenze il bartender è, invece, in grado di gestire meglio i contesti in cui è maggiore l’affluenza come discoteche e pub.

Quello del bartender è, dunque, un ruolo che richiede un alto senso di professionalità, unito alla capacità di creare decorazioni alternative, miscelare i drink tenendo conto del sapore, del colore e del profumo degli ingredienti. Le sue competenze, però, si estendono anche all’ambito della caffetteria.

10/07/2020

Lo sapevate che per tanto tempo si è pensato che il termine “Fiano” rimandasse al latino “Apianis”, uva così chiamata perché della sua dolcezza ne andavano ghiotte le api? Studi successivi poi, hanno ricondotto il nome più ad un toponimo che ad una fantasia!

Cheers 🍷

07/07/2020

Il mito del cucchiaino nello spumante

La leggenda narra che un cucchiaino inserito nel collo di una bottiglia di spumante aperta consenta una migliore conservazione della sua effervescenza, impedendo la fuoriuscita e la dispersione delle bollicine.
Come gran parte delle credenze popolari, quella del cucchiaino nello spumante è priva di evidenze scientifiche e si basa su un assunto teorico che però non trova riscontro nella pratica.
Impedire che una bevanda con le bollicine si sgasi, perdendo la sua caratteristica effervescenza, è una missione che ha accompagnato l’uomo per diversi secoli. Prima dell’introduzione delle moderne tecnologie di conservazione e della progettazione di particolari formati dei contenitori, pensati appositamente per il consumo in un’unica occasione del liquido, si ricorreva ai cosiddetti “metodi della nonna”, tramandati di generazione in generazione.
Tra i rimedi “fai da te” utilizzati per la conservazione dell’effervescenza di uno spumante, quella del cucchiaino inserito nel collo della bottiglia ottenne un grande successo, tanto che, ancora oggi, qualcuno se ne serve.
Pare che questa credenza si diffuse tra i consumatori delle prime bottiglie di Champagne, alla ricerca di una soluzione per cercare di godersi tanto ben di Dio, profumatamente pagato, anche dopo qualche ora dalla sua apertura, mantenendo inalterata la sua effervescenza.
Una volta aperta una bottiglia di spumante, l’anidride carbonica intrappolata nel contenitore fuoriesce. La fuoriuscita del gas non è comunque repentina e immediata, anche perché il collo di una bottiglia è pensato per rallentare questo processo. Inoltre, la velocità di rilascio delle molecole di gas è influenzata dalla temperatura: più la temperatura è bassa e più i gas si disciolgono, più è alta e più si liberano dal liquido, disperdendosi nell’aria e sgasando lo spumante.
Per far sì che uno spumante non perda la sua effervescenza è dunque necessario impedire all’anidride carbonica di disperdersi nell’aria. Come?
Ritappando la bottiglia. Certamente, ma il tappo di uno spumante dopo l’apertura si dilata a tal punto che diventa impossibile riutilizzarlo. Ecco perché si è fatta strada l’idea di utilizzare un cucchiaino freddo da inserire dalla parte del ma**co. La posata e la bassa temperatura del suo ma**co funzionerebbero da ostacolo per la fuoriuscita del gas!
La soluzione del cucchiaino nello spumante si rivela inefficace all’atto pratico per due semplici motivi. In primo luogo, il cucchiaino non garantisce una chiusura ermetica della bottiglia, ma solo un ingombro parziale. In secondo luogo, la bassa temperatura del ma**co è una condizione temporanea, che si perde nel giro di pochissimi minuti.
Addirittura, nel corso degli anni ’90 diversi studiosi hanno condotto una serie di esperimenti scientifici per verificare l’efficacia del metodo del cucchiaino nello spumante. Tutte le ricerche hanno dimostrato che l'inserimento di un cucchiaino in una bottiglia comporta la stessa perdita di effervescenza di una bottiglia lasciata totalmente aperta, risultando inutile per preservare le bollicine dello spumante.
L’unico metodo efficace, con comprovata evidenza scientifica, è quello della richiusura della bottiglia con tappo ermetico. E se la tua bottiglia è quasi vuota, ti consigliamo di trasferire il liquido in un contenitore meno capiente, per evitare la diminuzione della pressione interna e la conseguente liberazione di gas dal liquido.
Sarà pure affascinante, suggestivo e circondato da un’aura di mistero ma il metodo del cucchiaino va catalogato nell’ambito dei miti sul vino, con buona pace dei sostenitori del “fai da te”.

04/07/2020

Cosa sono i vini ancestrali
Proviamo a spiegare in termini semplici di che si tratta. E’ un metodo di vinificazione per ottenere vini con le bollicine diverso sia da quello champenois (con il quale si fa lo Champagne in Francia e il Metodo Classico e il Franciacorta in Italia) sia da quello Charmat o Martinotti (con il quale si produce per esempio il Prosecco). Il metodo Ancestrale è più simile a quello champenois perché la seconda fermentazione (quella che produce le bollicine), avviene in bottiglia e non in vasca. Ma in questo caso la temperatura viene abbassata per bloccare la fermentazione: il mosto parzialmente fermentato, e quindi con ancora zuccheri, continua il suo processo in bottiglia senza l’aggiunta di altri zuccheri e lieviti. Alla fine non si effettua la sboccatura e dunque il vino risulta spesso torbido. Non a caso spesso si chiamano “con il fondo“. I lieviti accentuano il sentore di crosta di pane tipico degli spumanti.
Riassumendo, il metodo ancestrale (che deve il suo nome al fatto che era utilizzato anticamente) è un metodo che prevede la fermentazione Sur Lie, ovvero sui lieviti, senza sboccatura finale (ovvero senza eliminazione di lieviti). La fermentazione in bottiglia degli zuccheri residui produce una maggiore complessità organolettica e un perlage normalmente leggero e brioso (la pressione è inferiore rispetto a quella dei metodi classici).

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01/07/2020

Una bevanda amara può diventare neutra aggiungendovi sale (alterazione dei sapori). Il tuorlo di un uovo può diventare solido, bollendo o marinando, e quindi dalla percezione molle o liquida passare a quella gommosa (alterazione delle strutture fisiche). Una patata può essere alterata nel suo aroma e sapere di vaniglia o passare allo stato farinoso o a quello croccante, se soggetta a una modificazione termica attraverso essiccamento o frittura sviluppando altri odori (alterazione delle catene aromatiche), e tutto ciò contribuisce a definire, insieme a quell'esperienza di livello superiore e collettivo antropologico, ciò che, in una sola parola, noi chiamiamo il GUSTO.
Questi appunti non avevano come obiettivo, chiaramente, quello di fornire la ricetta perfetta, ovvero non il “come”, ma il “perché” di una ricetta perfetta, ovvero quelle basi scientifiche e conoscitive che possono permettere oggi ad un cuoco di modellare il Gusto secondo parametri oggettivi con consapevolezza.
È la stessa esperienza mangiare un brodo caldo o freddo? Le proprietà aromatiche sono percepite allo stesso modo? Ovviamente no.
Questo significa che tutta la bocca (lingua, labbra, denti, gengive, palato etc.) devono essere prese in considerazione quando prepariamo una pietanza.
Per troppo tempo i cuochi si sono concentrati sul sapore migliore, più buono, ma non si è ragionato su tutta l'esperienza degustativa o, comunque, non si è fatto fin quando la cucina molecolare non ha iniziato a portare in tavola “arie” di pomodoro o gelati di carne o la neurofisiologia ha iniziato a spostare l'accento sul Gusto, ovvero la capacità analitica tra “Sapori + Aromi + Strutture” del cibo. Adesso, alla luce di ciò, con la cucina contemporanea, possiamo cucinare considerando il cibo come un'esperienza di tutta la bocca, e la bocca come il sensore complessivo delle nostre percezioni cognitive anatomiche di quella capacità sensoriale che chiamiamo Gusto e che, in connubio con i livelli concettuali antropologici che collettivamente una società riconosce e chiama “cultura”, fanno nascere e definiscono a livello estetico e concettuale il principio di “Gusto gastronomico” oggettivo e scientifico.
Cosa sappiamo, quindi, nel 2020 grazie alle neuroscienze e che non possiamo più sottovalutare?
Il gusto è la capacità di percepire e analizzare sapori / aromi / strutture;
I sapori sono almeno 7;
C'è un “non-sapore” che è l'effetto Kokumi;
Gli aromi, ovvero la parte più “ricca” del cibo, hanno 10 indici identificativi e 3 percettivi;
I retrogusti sono almeno 3;
Le strutture tattili-chimiche sono almeno 6;
Le strutture tattili-fisiche sono almeno 18;
Le strutture tattili-termiche sono almeno 6 + 1 indice "falso-termico" + le temperature di servizio;
Il Gusto gastronomico si forma in concomitanza alle strutture antropologiche e culturali.
Costruire un piatto gustoso, per quanto possa sembrare semplice, non lo è affatto.
Se cerchiamo la strada da percorrere, normalmente troviamo una indicazione assai in voga tra i cuochi, che ci spiega che un piatto per essere completo debba contenere almeno una parte morbida o cremosa, una solida o croccante e una spumosa o ariosa, ci deve far vivere un percorso di sapori e deve inebriarci con gli aromi. Ciò equivale quindi a dire tutto e niente!
Ogni volta che abbiamo a che fare col Gusto, ci aspettiamo di venir a sapere quante parti di sale o pepe o altro deve contenere la “ricetta perfetta”, ma non è affatto così. La ricetta perfetta nasce dalla perfetta conoscienza degli elementi che compongono il Gusto di una pietanza e se, da una parte non può essere esaustiva, dall'altra, quest'assenza di determinazione, ci stimola a chiederci cose assai più importanti: come ognuna delle strutture agisce in bocca? Cosa provoca la sua presenza all'interno della bocca? Di quale sapore o aroma può essere al meglio il vettore questo cibo? Come scelgo i cibi da abbinare in una preparazione? Quale temperatura ci aiuta a questo fine, considerando sempre che, durante la masticazione, tutto si mischia e che i tempi percettivi sono differenti? Come posso variare la percezione o la durata di un aroma giocando con temperature e strutture? E infine, la più importante, come le risposte a tutte queste domande contribuiscono alla creazione del Gusto?
Rispondere a queste domande, per quanto la scienza ci indichi i modelli cognitivi, sta alla capacità del cuoco, al suo estro e alla sua arte che però, oggi, non può ignorare le informazioni suddette!
Il cuoco può dare ordine a questo apparente disordine, anzi, deve darlo, e questo ordine passa necessariamente dalla conoscenza scientifica di come il cibo sia vettore di queste componenti cognitive!
È importante, a tal fine quindi, che la fase della cottura e dell'impiattamento non siano solo una mera esecuzione scolastica o estetica, ma che siano prese in considerazione e principalmente come azioni funzionali a produrre la degustazione desiderata. È importante che le cotture e l'impiattamento siano esse stesse il comparto logistico, dall'imballaggio alla consegna, con cui abbiamo deciso di spedire informazioni “di piacere” al cervello!
Quando pensiamo a come realizzare una pietanza “gustosa”, quindi, la prima cosa che dobbiamo chiederci è come permettere alla nostra preparazione di raggiungere l'obiettivo giusto secondo questa formula di consapevolezza scientifica:

NF(sP + sS + sT)n
Gc =-----------------------
bG

Il gusto culinario è la risultante data dalle infinite combinazioni neurofisiologiche, delle strutture primarie, secondarie e terziare del cibo e che sono sempre denominate alla base dal concetto antropologico e culturale di “buon gusto”.
A questa raccolta di appunti sparsi, raccolti nel tempo e un po' messi in ordine durante il “Lockdown”, probabilmente pieni di refusi e forse anche apparenti incongruenze, dovrebbero far seguito almeno altre 4 raccolte: una su carboidrati e proteine (ovvero i principali “vettori” delle strutture primarie), una sui metodi di cottura (ovvero le metodologie di trasformazioni del cibo a livello di catene aromatiche, e quindi sulle strutture secondarie), una sulla produzione delle consistenze del cibo (ovvero sulle strutture terziarie) e, infine, una sulle tecniche di “architettura” della pietanza, ciò che banalmente chiamiamo impiattamento (ovvero le modalità di somministrazione dell'esperienza degustativa).

Gli appunti ci sono, ma il tempo manca!
Buona cucina a tutti.

20/06/2020

Qualche anno era così ora ancora di più

Vi spiego perché non trovate personale per la STAGIONE
La stagione estiva è iniziata mentre ristoratori e albergatori non riescono a trovare personale per le loro attività. Che cosa sta succedendo?
A sentire i titolari, i problemi comuni solitamente sono i seguenti:
– arrivano che non sanno fare nulla
– dicono di saper cucinare e poi non sanno tenere in mano una padella
– la prima cosa che ti chiedono è lo stipendio
– il sabato e la domenica vogliono restare a casa
– si sentono troppo bravi per fare i lavori più umili
Ora. Partiamo dal presupposto che in Italia di personale di sala e cucina ce ne sta anche troppo! Quindi eviterei di gridare all’emergenza, perché ci manca solo che qualcun’altro si inventa cameriere o cuoco pensando che ci siano tutte queste porte aperte.
Secondo, come asserisce qualcuno di questi ristoratori in cerca, a volte arrivano quelli che non sanno fare niente e a volte quelli che sanno fare troppo. Non sarà forse il caso di specificare esattamente quello che state cercando?
Andiamo diretti al punto, se non trovate personale nella stragrande maggior parte dei casi è perché:
– non promettete un’adeguata paga
– non garantite una qualità della vita decente sul posto del lavoro.
Lavorare 80 ore a settimana rientra nel non avere una qualità della vita decente. Lavorare con attrezzature inadeguate, insufficienti o addirittura pericolose lede altrettanto la qualità della vita sul posto di lavoro.
– non garantite una continuità.
Essere assunti per 4 mesi, di cui i primi solo il fine settimana rientra nel vivere una vita precaria che ti fa preferire altre opzioni.
– spesso non sapete nemmeno voi cosa cercate e quindi è normale che ad una domanda poco chiara, ne deriveranno risposte altrettanto fumose.
A tutti quelli che dicono di non trovare personale valido, chiediamo se hanno mai provato a mettere per tempo (e non a giugno, se si parla della stagione Estiva) un annuncio di questo tipo:
– Cercasi cameriere per la Stagione estiva in località X### presso il ristorante X###xx
– Inquadramento secondo CCNL come chef de rang 4° livello
– Orario di lavoro dalle 18 alle 1.00, per 6 turni serali a settimana (il giorno di riposo settimanale si sceglierà assieme)
– Sono previste ore di straordinario (REMUNERATE) per un massimo di 6 a settimana nei periodi di maggior lavoro.
– Il contratto avrà durata da metà Maggio fino a metà settembre con possibilità di proroga in base all’andamento del lavoro.
Ammesso e considerato che qualcuno metta un annuncio così, dovete poi chiedervi per quale motivo un cameriere di mestiere dovrebbe lavorare solo 4 mesi da voi allo stesso stipendio o poco più, che potrebbe ottenere tutto l’anno presso un locale di una normale città medio grande (anche in Italia).
Un tempo, camerieri, cuochi, pizzaioli e tutto ciò che componeva una brigata, viveva di lavoro stagionale estivo, più lavoro stagionale invernale, più disoccupazione.
Erano tempi in cui gli alberghi e spesso anche i ristoranti davano vitto ma soprattutto alloggio, cosa ormai sempre più rara in Italia.
Voi penserete: “Questi non sono problemi miei!”
E invece lo sono, visto che poi andate in tv a dire che dovete lavarvi i piatti da soli.
Se il vostro locale è in un posto turistico dove durante il resto dell’anno ci vivono 10mila persone e d’estate il numero di abitanti triplica, vien da se che TUTTE LE ATTIVITÀ presenti non potranno usufruire della manodopera locale.
Dovrete attingere, soprattutto se cercate professionisti, fuori dalla vostra zona. Un fuori spesso fatto di centinaia di chilometri. E uno se si fa centinaia di chilometri per ve**re a lavorare per voi deve avere o un buon motivo o deve essere disperato e, da quello che dite, pare che solo i secondi bussano alla vostra porta. Vi siete chiesti il perché?
La situazione molto spesso (non sempre certamente, ma di sicuro la maggior parte delle volte) è la seguente:
– stipendi che oscillano tra i 1100 e i 1600 al mese
– contratti che coprono solo una parte del compenso, il resto pagato in nero (a volte anche tutto il compenso)
– straordinari non retribuiti o più semplicemente lo stipendio non viene considerato su una base di ore. Tu sei pagato un tot al mese per un tot di mesi e in quel periodo diventi di proprietà della struttura per cui lavori.
Se un giorno c’è da lavorare di più, si lavora di più.
Se ad Agosto non è possibile dare giorni di riposo, non ci saranno. Sempre se prima i giorni di riposo c’erano!
Si lavora e basta insomma.
– possibilità di crescita scarse. Ovviamente parliamo di crescita professionale, perché dal punto di vista umano spesso può valere come stage per un corso di psicologia.
– stress fisico e psichico elevato, a volte dato esclusivamente dalla mancanza di organizzazione e disciplina.
Volete trovare personale per la prossima stagione?
(Perché questa ormai è andata signori miei!)
Vi diamo qualche consiglio allora:
– innanzitutto chiedetevi esattamente cosa vi serve.
Quanti camerieri in sala e di che livello. Se è un ristorante in cui può servire un direttore, un sommelier, oppure se la sala può essere fatta gestire direttamente a dei chef de rang capaci con un paio di runner che li affiancano.
La cucina! Lo chef è fondamentale che conosca il mestiere, che sappia gestire il personale e che sappia mantenere i ruoli, onde evitare inutili faide interne, affiancato ovviamente da qualcuno in sala.
I suoi aiutanti non possono essere tutti dei tuttofare.
Il lavapiatti ad agosto non può diventare il secondo ai primi.
Se questa è la vostra concezione di ristorante vi sbagliate.
Se è una vostra necessità allora siete un bar, non un ristorante e non vi serve tutto quel personale e non dovreste avere una proposta così ampia.
Se non lo capite voi, dovrebbe probabilmente farvelo capire un controllo.
– se avete un’idea chiara di cosa vi serve, non dategli un prezzo.
Non spetta a voi. Ci sono i CCNL.
Se non vi piacciono quei contratti andate a bussare alle porte dei vari ENTI a cui siete iscritti, che sia CONFCOMMERCIO, CNA, federazioni e quant’altro. Le regole ci sono e finché ci sono, sono quelle che vanno rispettate. Avete presente quella cosa di cui molti di voi si disinteressano perché tanto non cambia nulla? Si quella cosa lì…la POLITICA. Ecco, sappiate che lei non pensa a voi come voi non pensate a lei. Di fatto i contratti sono quelli, con i loro relativi (e ahimè assurdi) costi.
– quello a cui dovete dare un valore e un prezzo sono i benefit.
Traduzione: vitto e alloggio.
Partiamo dal vitto:
Passare da un conviviale “Prendete e bevetene tutti” ad un despotico: “QUI SI BEVE ACQUA DEL RUBINETTO! L’ANNO SCORSO LA BRIGATA MI È COSTATA PIÙ DI BIRRA E VINO CHE DI STIPENDI” è da idioti due volte.
Un caffè e dell’acqua possono essere certamente regalati al dipendente con cui si passerà fianco a fianco 4 mesi di un’estate, ma onde evitare malintesi e situazioni poco piacevoli è meglio mettere un limite e un tetto al consumo in loco. Una soluzione valida per grandi brigate è avere una dispensa a parte per il personale.
Detto questo quando è previsto uno o più pasti non si può pensare di mantenere alto il morale della ciurma con pasta in bianco e pasta al pomodoro.
Brutto da dire e suggerire, ma ricordatevi che quelli della sala poi sono gli stessi che dopo la cena del personale delle 19.00 andranno a vendere il menù preparato dalla stessa cucina che gli ha fatto da mangiare. Se un cameriere non apprezza quello che prepara la cucina pensate che sarà poi invogliato a vendere quando sarà il suo momento tra i tavoli?
Per non parlare del fatto che anche i cuochi sarebbero più contenti di avere a disposizione un minimo di budget per far da mangiare ai propri colleghi (e per se stessi).
Ps: ricordatevi che i benefit sono parte dello stipendio. Non vi si sta chiedendo di regalare nulla!
E ora parliamo dell’alloggio:
Ormai questo è diventato un beneficio rimasto solo agli alberghi, e nemmeno tutti. Eppure ci sono molti ristoranti che d’estate assumono almeno 4 persone in più. Se è previsto che quelle persone possano ve**re da fuori, di certo dovranno provvedere a trovare e pagare un posto dove dormire. Quel posto e relativo affitto inciderà anche sul compenso che quel lavoratore vorrà come base di partenza.
Se nei 1500 fossero presenti anche 300 euro di affitto mensile (cifra che probabilmente non sarebbe così facile da pagare per il singolo lavoratore) potrebbe essere una proposta interessante.
Per voi allora che vivete nella località turistica (o avete comunque maggior contatti), non sarebbe forse il caso di cercare durante il periodo di bassa stagione degli appartamenti con più stanze in modo tale da ottimizzare la spesa e suddiverne i costi in benefit per i vostri dipendenti stagionali?
Non è un’idea nostra, c’è chi lo fa e oltre a dimostrare una maggiore organizzazione ci guadagna anche.
E ci guadagna anche il lavoratore ovviamente.
A cicli di 5 anni la stagione presenta sempre due tipologie di discorsi:
“L’anno scorso ho detto basta con gente improvvisata e extracomunitari. Pago un po’ di più ma quest’anno prendo solo gente che sa fare questo lavoro, tanto sennò è una rimessa…”
Dopo aver tentato di investire (solitamente male o per finta) su personale di qualità si ritorna a dire:
“Basta! Dal prossimo anno faccio anche io come gli altri. Mi metto in cucina 3 “bangla”, in sala ho già trovato due ragazzetti svegli e basta con tutti sti fenomeni che fanno fanno, e poi sono bravi solo a pretendere!”
Ecco signori, a questo punto crediamo che bisogni guardare le cose anche da una prospettiva più ampia.
In questi decenni tanti di voi sono andati avanti assumendo saltuariamente e per brevi periodi giovani studenti inesperti e immigrati che a malapena parlavano italiano.
Forse è il caso di informarvi che nel 2016 sono partiti dall’Italia 120mila giovani all’estero e che le attuali politiche del Ministero degli Interni limiteranno l’accesso futuro degli immigrati in casa nostra.
Non vorremmo essere catastrofici ma come ha detto recentemente qualcuno:
>.
O magari è arrivato il momento di fare le cose come si deve.

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