Dott.ssa Rita Marinelli Psicoterapeuta

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13/11/2025

10/11/2025

LO SAI CHE.....QUANDO VAI A PRENDERE TUO FIGLIO AL NIDO, DEVI POSARE IL CELLULARE?

Quando arrivi, posa il cellulare. Il tuo bambino ti sta guardando.

Ci sono scene che dovremmo avere il coraggio di vedere davvero.
Un bambino che corre verso il genitore all’uscita del nido, con gli occhi pieni di luce, le braccia tese…
e una mano che invece di aprirsi per accoglierlo, stringe ancora un telefono.
Uno sguardo che invece di incrociarne un altro, scivola su uno schermo acceso.

Non serve essere psicologi per capire quanto faccia male.
Basta immaginare il silenzio che attraversa quel piccolo corpo, quella corsa che rallenta, quella gioia che si spegne.
Perché in quell’istante, il bambino riceve un messaggio chiaro:

“Qualcos’altro è più importante di te.”

Non c’è nessuna chiamata, nessun messaggio, nessuna urgenza che valga più dello sguardo di un figlio che ci aspetta.
Il momento del ricongiungimento è sacro: è lì che il bambino misura il suo valore, la sua sicurezza, la sua appartenenza.
È in quell’abbraccio che impara a fidarsi del mondo.

Quando arrivate con il telefono in mano, non state solo distraendovi: state negando la reciprocità di uno dei gesti più profondi dell’infanzia.
E nessuna spiegazione, nessun “un attimo solo” può cancellare l’impronta che lascia.

Al Nido chiediamo ai genitori di sospendere il mondo per un minuto.
Di fermarsi, guardare, accogliere.
Perché educare significa anche insegnare, con l’esempio, che l’amore non si divide.
Che quando si è insieme, si è davvero insieme.
Posare il telefono non è una regola.
È un atto di rispetto.
È dire al proprio bambino: “Tu sei più importante di tutto il resto.”

07/11/2025

“Dottorè, se non gli do il telefono urla.”
È una frase che sento sempre più spesso, detta con stanchezza e un po’ di vergogna.
Quando un bambino piccolo si calma solo con uno schermo, non è perché “ama la tecnologia”.
È perché lo schermo regola al posto suo le emozioni che non sa ancora gestire.
E se succede troppo presto, troppo spesso, quel meccanismo si fissa:
ogni disagio, ogni no, ogni frustrazione diventa un “accendi”.
La dipendenza digitale non nasce da un gioco.
Nasce quando l’emozione di un bambino viene spenta invece che accolta.
E il primo passo per evitarla è ricordare che nessuna app potrà mai sostituire un abbraccio, una parola ,una carezza.

04/11/2025
02/11/2025

𝐋𝐎 𝐙𝐀𝐈𝐍𝐎 𝐈𝐍𝐕𝐈𝐒𝐈𝐁𝐈𝐋𝐄 🎒

Quando un bambino varca la soglia della scuola, porta con sé due zaini.

Uno è visibile, colmo di quaderni, libri di testo, e magari un piccolo cestino con il pranzo. Ma l’altro è invisibile, ed è proprio quello che pesa di più.

Dentro ci sono emozioni, paure e sogni.
Ci sono le risate del giorno prima e le lacrime che nessuno ha notato. Il calore di un abbraccio o il silenzio dopo un litigio. Il bisogno di sentirsi amato, accolto e compreso. In quello zaino invisibile ci sono piccole vittorie che sembrano enormi e aspettative troppo grandi per spalle così piccole. A volte è leggero come la spensieratezza, altre volte è così pesante da piegare il cuore.

E quel secondo zaino?
Non possiamo vederlo, ma possiamo riconoscerlo nei loro occhi, nei loro silenzi, nei loro gesti che chiedono attenzione. Ogni bambino porta con sé uno zaino invisibile che aspetta solo di essere alleggerito con un po’ di amore e comprensione. ❤️

29/10/2025

L’educazione emotiva non è una materia che si insegna a scuola. È quella che impari tardi, spesso quando hai già fatto qualche danno. È la capacità di stare dentro le tue emozioni senza scagliarle addosso a chi ami. E sì, dovrebbe essere il primo compito di un genitore, non l’ultimo. Perché un figlio non impara da ciò che gli dici, ma da come vivi davanti a lui. Puoi insegnargli mille parole giuste, ma se ti vede esplodere, imparerà la rabbia. Se ti vede chiuderti, imparerà la distanza. Se ti vede respirare, imparerà la calma.

I figli non ascoltano. Assorbono. E quello che assorbono da te diventa la voce che sentiranno dentro per tutta la vita. Ecco perché l’educazione emotiva non è fargli leggere libri sulla felicità, ma mostrargli che la tristezza non uccide, che la paura si attraversa, che la rabbia si può contenere senza farla marcire. Non è dire “non piangere”, ma dire “puoi piangere, io resto qui”.

Molti genitori pensano di dover essere forti, e così crescono figli che imparano a nascondersi. Non serve mostrarsi invincibili: serve mostrarsi veri. Perché un bambino non nasce fragile — lo diventa quando cresce in un mondo dove gli adulti fingono di non avere dolore. E così smette di chiedere, smette di mostrarsi, smette di fidarsi.

Ogni volta che ti scusi, gli insegni che si può sbagliare senza smettere di valere. Ogni volta che ti fermi prima di reagire, gli insegni che la libertà comincia dal controllo di sé. Ogni volta che ti concedi di essere umano, gli mostri che non serve essere perfetti per essere degni d’amore.

L’empatia non è capire tuo figlio. È ricordarti com’eri tu quando nessuno ti capiva. È quel momento in cui smetti di ripetere ciò che hai subito e scegli di interrompere la catena.

L’educazione emotiva non nasce dai figli, ma dai genitori che decidono di guarire prima di crescere qualcuno. Perché non puoi insegnare la pace se non la abiti. Non puoi insegnare l’amore se non lo sai dare a te stesso. E non puoi insegnare la calma se la tua mente è un campo di battaglia.

Un genitore non è colui che spiega come si vive. È colui che mostra, giorno dopo giorno, che vivere significa sentire, non scappare.

Enrico Chelini

29/10/2025

👻Con le paure dei bambini non si gioca: ad Halloween bisogna stare attenti.🎃

I bambini, soprattutto quelli sotto i sei anni, non hanno ben chiaro il confine tra realtà e fantasia, e faticano a riconoscere le paure che provengono dal mondo esterno da quelle che nascono nel loro mondo interiore.

Vi ricordate quando eravate piccoli come percepivate i rumori della notte? Amplificati, indefiniti, sospetti. Vi ricordate quanta protezione vi dava una coperta rimboccata e quanta inquietudine generava tenere un piede fuori dalle lenzuola? Certe sensazioni forse ce le siamo dimenticate ora che siamo adulti.

Le paure dei bambini possono essere innescate da una voce sconosciuta, da un suono, da una maschera che copre un volto.
Aggiungiamoci la simbologia, che nel periodo dell’infanzia è un aspetto di enorme portata. I simboli di Halloween sono molto forti e in tenera età i bambini sono estremamente permeabili alla simbologia che gli tocca direttamente e profondamente le corde dell’anima. E stiamo parlando di scheletri, fantasmi, zombie, parti del corpo mutilate, vampiri…

Per un bambino a volte tutto questo non è divertente e, soprattutto, non ne ha bisogno. In tantissime scuole in occasione di Halloween si “lavora” sulle paure. Mi chiedo perché e soprattutto come.

Non si smuovono le paure dei bambini a fine ottobre ma li si accompagna a trasformare la paura in coraggio quotidianamente a partire dalle loro piccole fatiche: c’è chi ha paura davanti ad un foglio bianco, c’è chi ha paura di versare l’acqua, c’è chi ha paura di dire il suo nome ad alta voce o di andare dall’insegnante dell’aula accanto a chiedere un pennarello. Questi sono i timori dei bambini che abbiamo la responsabilità di accompagnare a questa età, dimostrandogli che dentro di loro ci sono le risorse per fare piccole conquiste e rafforzare così la loro autostima. Aiutarli a consapevolizzare le emozioni è una responsabilità e un impegno delicato.

La paura del buio o dei mostri probabilmente la vivono già naturalmente la sera quando chiedono a mamma e papà di tenere accesa una piccola lucina nella stanza, non hanno bisogno che vengano enfatizzate esponendoli gratuitamente a temi per loro indecifrabili. Perché poi, una volta che qualcosa si è smosso dentro di loro, non li possiamo liquidare dicendo loro: “tanto i mostri non esistono”, perché si è vero che non esistono ma è la loro paura che, a questo punto, esiste davvero. E quella paura, reale, resta lì, incastrata dentro.

Quindi quando diciamo: “Un po’ di leggerezza, ma cosa c’è di male?” proviamo a domandarci invece: “Ma cosa c’è di bene?”

26/10/2025

L' INTENSIVE PARENTING (GENITORI INTENSIVI)
è uno stile di genitorialità caratterizzato da un elevato coinvolgimento e da un controllo costante sui figli, con lo scopo di garantirne il successo e il benessere. I genitori che adottano questo approccio spesso dedicano tempo e risorse considerevoli per organizzare attività, supervisionare ogni aspetto della vita del bambino e cercare di prevenire qualsiasi fallimento o difficoltà. L'intento è di assicurare che il figlio raggiunga i migliori risultati possibili, sia a livello accademico, sociale, che emotivo.

✅Caratteristiche dell'intensive parenting:

1. Coinvolgimento costante: I genitori tendono a monitorare in modo assiduo tutte le attività del figlio, dalle attività scolastiche agli hobby.

2. Supervisione estrema: Decisioni come chi può essere amico del bambino, quali attività fare e persino la scelta delle scuole vengono prese direttamente dai genitori.

3. Pressione sul successo: Il focus è sul raggiungimento di risultati eccellenti, sia accademici che in altre attività, come lo sport o la musica.

4. Programmazione eccessiva: Le giornate dei figli sono spesso riempite da attività programmate e organizzate dai genitori, con poco spazio per il tempo libero e il gioco non strutturato.

✅Cause dell'intensive parenting:

1. Paura del fallimento: Molti genitori temono che, se non intervengono costantemente, i loro figli non raggiungeranno il loro pieno potenziale.

2. Competizione sociale: L'ansia di essere competitivi rispetto ad altri genitori e famiglie può alimentare questa tendenza.

3. Cultura della performance: La società moderna spesso misura il successo attraverso parametri di performance, come voti scolastici o successi sportivi, incentivando i genitori a mettere pressione sui figli.

✅Effetti negativi sui figli:

Ansia e stress: Essere sotto costante pressione per eccellere può portare a problemi di salute mentale.

Mancanza di autonomia: I figli di genitori "intensivi" possono avere difficoltà a sviluppare l'indipendenza e la capacità di prendere decisioni.

Rapporto con il fallimento: Non sperimentare il fallimento durante l'infanzia può portare a un'incapacità di gestire le difficoltà da adulti.

✅Come superare l'intensive parenting:

1. Fiducia nelle capacità dei figli: Riconoscere che i bambini hanno la capacità di risolvere problemi e fare scelte autonomamente, anche sbagliando.

2. Promuovere l'autonomia: Lasciare ai figli la libertà di esplorare, prendere decisioni e affrontare i propri problemi, sviluppando così resilienza e capacità di adattamento.

3. Ridurre le aspettative e la pressione: È importante non sovraccaricare i bambini con aspettative irrealistiche. Valorizzare il percorso, non solo il risultato.

4. Sostenere, non dirigere: Essere presenti come supporto, ma senza cercare di controllare ogni aspetto della vita del bambino.

5. Spazio per il gioco libero: Consentire ai bambini di avere tempo libero non strutturato, fondamentale per lo sviluppo della creatività e della capacità di socializzare.

6. Modellare la gestione delle emozioni: Insegnare ai figli che il fallimento è parte della vita e che è normale non eccellere in tutto.

✅Superare l'intensive parenting richiede consapevolezza e un cambiamento dell'atteggiamento del genitore verso uno stile di educazione che promuova la crescita personale e la fiducia nelle capacità del bambino e/o dell' adolescente di affrontare il mondo autonomamente.

22/10/2025

Un social-dipendente di 15 anni mi ha detto: ho fatto 500 amicizie e in un giorno. Cosa sta diventando l'amicizia?Ma quanti amici può davvero avere un essere umano?. Quale è la quantità massima di persone che possono far parte del nostro paesaggio emotivo ed esser definite AMICHE?. Poche . Molto poche.Andare oltre sarebbe un esubero, uno spreco di tempo. Riflettiamoci

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