19/10/2025
La scienza dell’ascolto su misura: il significato clinico della protesizzazione acustica
Le protesi acustiche non sono semplici strumenti da acquistare, ma dispositivi medici complessi che devono essere progettati, calibrati e verificati con la precisione di un abito di sartoria, attraverso un percorso clinico strutturato. L’errore più comune è considerarle un semplice ausilio per “sentire di più”, mentre in realtà rappresentano una vera e propria riabilitazione sensoriale, che richiede competenza medica, conoscenza tecnica e un lavoro di squadra costante tra otorinolaringoiatra/audiologo e audioprotesista.
Il punto di partenza è sempre la valutazione specialistica medica, indispensabile per individuare la causa dell’ipoacusia, escludere patologie reversibili o chirurgicamente trattabili e definire la reale indicazione alla protesizzazione. L’audioprotesista, a sua volta, traduce la diagnosi in un progetto di riabilitazione personalizzato, scegliendo il dispositivo più adatto al tipo di perdita e curandone la programmazione. È una collaborazione sinergica e complementare: il medico stabilisce le basi fisiopatologiche, l’audioprotesista costruisce e regola l’interfaccia tecnologica che restituisce al cervello una percezione acustica armonica. Senza questa cooperazione il risultato è parziale, e talvolta controproducente.
Molti pazienti si affidano a test uditivi rapidi o a prove di ascolto sommarie, credendo che basti una semplice soglia tonale per stabilire la necessità di una protesi. In realtà, l’audiometria tonale misura solo la percezione dei suoni puri, ma non la capacità di comprendere il linguaggio, che rappresenta la vera funzione uditiva. L’audiometria vocale, invece, valuta la discriminazione delle parole e consente di programmare il dispositivo in modo che potenzi la comprensione del parlato, non solo la percezione del suono. Trascurare questo passaggio significa rischiare di amplificare il rumore più della voce, con un ascolto distorto e innaturale.
Il fitting è la fase più delicata del percorso protesico. Ogni orecchio ha una propria risonanza, ogni cervello elabora i suoni in modo diverso: per questo la taratura deve essere condotta con misurazioni oggettive in vivo (Real Ear Measurement) e verifiche periodiche. Una protesi mal calibrata può determinare iperstimolazione sonora, distorsione, accentuazione dell’acufene o, al contrario, insufficiente attivazione delle vie uditive centrali con perdita della plasticità neurale. Non tutte le protesi sono uguali, né adatte a ogni tipo di ipoacusia. Le perdite conduttive, neurosensoriali o miste richiedono dispositivi e strategie di elaborazione diverse. Un audioprotesista serio non sceglie ciò che il paziente trova più “gradevole” da vedere, ma ciò che corrisponde alla reale indicazione clinica. La scelta di apparecchi troppo piccoli o completamente endoauricolari, per ragioni estetiche, può compromettere la resa acustica, la direzionalità microfonica e il comfort ventilatorio, riducendo l’efficacia complessiva della riabilitazione.
I benefici di una protesizzazione corretta sono oggi pienamente dimostrati dalla letteratura scientifica. Studi pubblicati su The Lancet Public Health, Journal of the American Academy of Audiology e Trends in Hearing hanno confermato che un uso precoce e ben calibrato delle protesi acustiche riduce il rischio di decadimento cognitivo, migliora la memoria di lavoro e la concentrazione, riduce l’isolamento sociale e la sintomatologia depressiva. Inoltre, il recupero di una corretta stimolazione acustica contribuisce alla stabilità posturale e alla percezione spaziale, grazie al ruolo dell’udito nell’integrazione multisensoriale che coinvolge vista, propriocezione e sistema vestibolare.
Un ulteriore vantaggio, spesso sottovalutato, riguarda il miglioramento degli acufeni. È oggi ampiamente riconosciuto che, in molti casi, l’acufene non è una “malattia” autonoma, ma una conseguenza della ridotta stimolazione uditiva. Quando l’orecchio perde sensibilità, le aree corticali deputate all’elaborazione dei suoni si trovano in una condizione di iperattività compensatoria: in assenza di stimolo reale, il cervello “genera” un segnale interno percepito come rumore. Ripristinare un corretto input acustico tramite protesi riduce questa iperattività e ristabilisce l’equilibrio tonotopico delle aree uditive. Diversi studi (Henry et al., American Journal of Audiology, 2015; Searchfield et al., Frontiers in Neuroscience, 2020) hanno dimostrato che oltre la metà dei pazienti con acufene riferisce un netto miglioramento della sintomatologia dopo la protesizzazione, sia in termini di intensità che di percezione soggettiva. Il motivo è fisiologico: più l’udito migliora, più il cervello riceve informazioni reali e smette di produrne di “fittizie”.
Affrontare la perdita uditiva con superficialità, scegliendo la protesi “più comoda” o “meno visibile”, significa ridurre una riabilitazione complessa a un gesto estetico. Al contrario, un percorso medico e tecnico integrato permette di restituire al paziente una percezione naturale, stabile e armonica, migliorando non solo l’udito, ma anche l’equilibrio, la concentrazione e il benessere psicologico. La protesi acustica, quando è correttamente prescritta, adattata e seguita nel tempo, non amplifica semplicemente i suoni: restituisce al cervello la capacità di ascoltare, interpretare e riconoscere il mondo circostante, riportando silenzio dove prima c’era solo rumore.