Ascolta l'Otologo, a cura della dr.ssa Fabrizia de Falco

Ascolta l'Otologo, a cura della dr.ssa Fabrizia de Falco Pagina a cura della dr.ssa Fabrizia de Falco, specialista in Otorinolaringoiatria, Otoneurologia e Vestibologia.

Titolare di “Studio Medico Silene” e “VertiLab - centro di diagnosi e cura del paziente Vertiginoso” (Napoli) Questa pagina é stata creata dalla Dott.ssa de Falco ed é esclusivamente gestita da lei.

Sono felicissima di comunicare una nuova iniziativa: da novembre prende il via una rubrica di live Instagram dedicata ai...
06/11/2025

Sono felicissima di comunicare una nuova iniziativa: da novembre prende il via una rubrica di live Instagram dedicata ai disturbi dell’equilibrio e alle patologie vestibolari.

L’idea nasce dal confronto con il Dott. Erasmo Galeno, fisioterapista specializzato in riabilitazione vestibolare, che come me da anni dedica il proprio lavoro allo studio e alla cura di queste condizioni, ancora oggi troppo spesso misconosciute o sottovalutate.

Il nostro obiettivo è sensibilizzare e diffondere una conoscenza corretta dei disturbi dell’equilibrio, basata su dati medici e scientifici, superando convinzioni errate e diagnosi approssimative. Ancora in molti pensano che l’equilibrio dipenda dall’artrosi cervicale o che le vertigini siano soltanto espressione di ansia, e non sanno quanto il sistema vestibolare sia in realtà un apparato complesso e centrale per la nostra stabilità.

Ogni mese programmeremo un incontro in diretta, scegliendo un tema cardine intorno al quale svilupperemo una chiacchierata scientifica ma comprensibile a tutti. Una parte della live sarà dedicata alle domande del pubblico, per creare uno spazio di confronto aperto e utile non solo ai pazienti, ma anche a familiari, fisioterapisti e medici interessati ad approfondire l’argomento.

📅 Primo appuntamento: venerdì 28 novembre alle 19:00
Tema: “Il deficit vestibolare – La sinergia tra medicina e riabilitazione.”

ACUFENI.“Esiste un cura?”La domanda da un milione di dollari.“Mi hanno diagnosticato l’acufene. Mi hanno detto che non c...
05/11/2025

ACUFENI.
“Esiste un cura?”
La domanda da un milione di dollari.

“Mi hanno diagnosticato l’acufene. Mi hanno detto che non c’è niente da fare.”
È una frase che sento dire spesso, e ogni volta penso che dietro quel “non c’è niente da fare” ci sia più rassegnazione che realtà. Non perché esistano cure miracolose (non ne esistono) ma perché esistono percorsi più lunghi, attenti e personalizzati che, se seguiti con metodo, possono portare a un miglioramento reale, spesso piú sorprendente di quanto si creda.

L’acufene non è una malattia, ma un sintomo.

E come ogni sintomo, nasce da una causa. Il primo passo è scoprire quale. Si parte quasi sempre dall’udito, ma qui emerge già un problema: molte persone, pur avendo già eseguito un’audiometria, ricevono un referto di “udito normale” che però si basa su test parziali. In molti studi, infatti, non sono disponibili strumentazioni capaci di esplorare l’intero spettro uditivo. Le audiometrie più comuni si limitano a un intervallo compreso tra 250 e 6000 Hz (se va bene arrivando agli 8000 Hz), mentre una valutazione realmente approfondita dovrebbe estendersi dai 125 Hz fino ai 20.000 Hz, includendo le frequenze molto basse e quelle ultrasoniche, dove spesso si annidano le prime alterazioni. È come osservare un paesaggio attraverso una finestra troppo piccola: ciò che si vede è vero, ma incompleto.

Solo un’indagine audiologica completa (con audiometria estesa, analisi del parlato nel rumore e test specifici come l’acufenometria) permette di individuare i deficit nascosti che possono innescare o mantenere il sintomo. Quando una parte del sistema uditivo smette di funzionare correttamente, il cervello tende a “riempire” quel vuoto sensoriale producendo un segnale interno. È un fenomeno di riorganizzazione neuronale, una sorta di errore di compensazione: il cervello cerca un suono che non arriva, e finisce per generarlo da sé. Per questo, correggere anche una perdita minima - con un apparecchio acustico adeguato o con specifiche strategie di riabilitazione uditiva - può ridurre in modo significativo la percezione del rumore.

Naturalmente, non tutti gli acufeni nascono da una perdita uditiva. L’esposizione prolungata a rumori intensi, come nelle città o nei luoghi di lavoro rumorosi, o l’uso continuativo di auricolari a volume alto, possono determinare una forma di “inquinamento acustico” che altera i meccanismi di elaborazione del suono. In questi casi il silenzio assoluto non è terapeutico: al contrario, passare bruscamente dal rumore al silenzio può accentuare il disturbo. È necessario un riadattamento graduale, con l’aiuto di terapie sonore basate su suoni neutri o naturali, che abituino lentamente il cervello a percepire il silenzio senza riempirlo di rumore.

Esistono poi acufeni che non hanno origine nell’orecchio, ma nel sistema muscolo-scheletrico. I disordini dell’articolazione temporo-mandibolare, le tensioni cervicali o le alterazioni posturali possono influenzare le vie nervose che interagiscono con i centri uditivi. Durante la visita eseguo test particolari che prevedono anche manipolazioni della testa e del cavo orale: servono a valutare il ruolo delle tensioni muscolari e delle strutture articolari nella genesi del sintomo. Quando il rumore si modifica o si attenua nel corso di queste manovre, diventa evidente che la sua origine non è esclusivamente cocleare, ma dipende da un’alterazione muscolo-scheletrica. In questi casi, il trattamento più efficace è sempre multidisciplinare, con il coinvolgimento di fisioterapisti e gnatologi specializzati nel riequilibrio del distretto cranio-cervico-mandibolare.

Accanto a queste forme, non vanno dimenticate cause più comuni ma tutt’altro che irrilevanti: infiammazioni croniche dell’orecchio medio, disfunzione tubarica, tappi di cerume ricorrenti o piccoli traumi dovuti all’uso improprio dei cotton fioc. Anche alcuni farmaci, se assunti per lunghi periodi, possono essere ototossici e contribuire alla comparsa del sintomo. In altri casi l’acufene è spia di disturbi sistemici, come problemi tiroidei, anemia o alterazioni della circolazione sanguigna.

A completare il quadro, c’è il ruolo del sistema
nervoso centrale. L’acufene non è solo un suono, è un’esperienza percettiva che coinvolge la sfera emotiva. Il cervello tende a concentrarsi su ciò che considera “una minaccia”, e il rumore costante finisce per occupare l’intera attenzione. Si entra così in un circolo vizioso: più ci si focalizza sul suono, più questo diventa invadente; più aumenta l’ansia, più si rafforza la percezione. Questo fenomeno è chiamato ipervigilanza somatosensoriale, e spiega perché l’acufene peggiori nei momenti di stress o di insonnia.

Oggi la scienza ha chiarito che la gestione dell’acufene deve essere integrata. Nessuna terapia isolata è sufficiente. Gli approcci più efficaci sono quelli che combinano riabilitazione uditiva, terapie sonore, trattamento delle disfunzioni muscolo-scheletriche e, quando serve, supporto psicologico. Le terapie cognitivo-comportamentali, ad esempio, aiutano a ridurre la risposta emotiva al rumore e ad abbassare il livello di attenzione su di esso, favorendo un processo di adattamento e desensibilizzazione.

Per questo dico sempre che non è vero che “non c’è niente da fare”. È vero, invece, che serve tempo e che la strada non è la stessa per tutti. L’acufene è un sintomo complesso e personale, che va esplorato a fondo: nell’udito, nel corpo e nella mente. Una visita approfondita richiede più tempo, ma restituisce un quadro completo e spesso apre prospettive nuove. Non si guarisce dall’oggi al domani, ma con un percorso serio, strutturato e multidisciplinare, si può imparare a convivere con un rumore che progressivamente si attenua, fino quasi a svanire.

Ed è proprio lì, in quel “quasi”, che spesso si ritrova la propria serenità.

L’otorinolaringoiatria, per me, è la branca più bella della medicina. La guardo come una madre innamorata del proprio fi...
01/11/2025

L’otorinolaringoiatria, per me, è la branca più bella della medicina.

La guardo come una madre innamorata del proprio figlio, incapace di coglierne i difetti. È una disciplina unica, perché consente di coniugare in modo naturale l’aspetto clinico e quello chirurgico, offrendo al medico la possibilità di osservare, studiare, diagnosticare e infine intervenire, restituendo funzione e benessere. Poche altre specialità permettono di spaziare con tanta continuità tra la clinica e la chirurgia, tra l’ascolto e la manualità. Eppure, per molti, l’otorino resta ancora “quello dei tappi di cerume”, o al massimo “quello del mal di gola”. Una visione riduttiva che non rende giustizia alla ricchezza e alla complessità di questa disciplina.

C’è la Foniatria, con il suo universo fatto di voce, corde vocali e risuonatori. C’è il naso, organo straordinariamente sofisticato, che può gocciolare per mille motivi oltre al banale raffreddore. Ci sono la Deglutologia, l’Otologia e la Vestibologia, la Laringologia oncologica, lo studio delle ghiandole salivari, dei seni paranasali e della respirazione.

Hai una voce che cambia, dolore alla gola, vertigini, ronzii, ipoacusia, alterazione dell’olfatto o del gusto?
Hai difficoltà a deglutire o respiri male durante il sonno?
Dietro ciascuno di questi disturbi c’è sempre una valutazione otorinolaringoiatrica.

E poi c’è la chirurgia, che rappresenta la naturale estensione della nostra competenza clinica. È un ambito vastissimo, che spazia dall’orecchio (con interventi di ricostruzione del timpano, della catena ossiculare e con impianti cocleari) fino al basicranio, dove l’otorinolaringoiatra interviene per la rimozione di neurinomi e altre lesioni profonde. Comprende la chirurgia endoscopica dei seni paranasali e delle fosse nasali, quella funzionale ed estetica del naso e delle vie lacrimali, e le procedure sull’area laringo-tracheale, dove si trattano stenosi, disfonie e patologie delle vie aeree. Ci sono poi la chirurgia del russamento e delle apnee notturne, e la chirurgia oncologica del distretto testa-collo, che comincia con il cavo orale, ed arriva fin giù alla tiroide, con interventi che spesso richiedono anche ricostruzioni funzionali e morfologiche. Le metodiche spaziano dalla più tradizionale e intramontabile chirurgia “open” a quella mini-invasiva della microscopia, del laser o della robotica, in un equilibrio sempre più preciso tra efficacia, sicurezza e rispetto dell’anatomia.

È proprio per questa vastità di competenze che la nostra disciplina porta oggi il suo nome completo: Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale.
Un titolo che rende giustizia alla complessità di ciò che facciamo.

Ogni otorino, poi, trova la propria strada. C’è chi vive per la sala operatoria, e chi invece si appassiona all’indagine clinica e al ragionamento diagnostico. Due anime diverse, ma complementari - e che a volte coesistono.

Nel mio piccolo, non ho rinunciato del tutto alla chirurgia; ritengo tuttavia fondamentale saper riconoscere quando è giusto delegare, affidando il paziente a colleghi più esperti in un determinato ambito. Sono profondamente convinta che la competenza di un medico non si misuri soltanto in ciò che sa fare, ma anche nella sua capacità di indicare la strada giusta, senza che questo metta in discussione il proprio valore. Un bravo specialista deve saper dire, con onestà (e serenità!): “Posso spiegarle esattamente di cosa si tratta, ma non è il mio campo. Le affido a chi può offrirle il massimo in questo settore.”

Ecco cosa, più di tutto, definisce secondo me la nostra professione: la consapevolezza che la medicina è un lavoro di rete, basato sulla collaborazione, sulla fiducia reciproca e sulla condivisione delle competenze. Una disciplina che unisce la precisione della scienza al rispetto per la persona, e che ogni giorno continua a ricordarmi perché l’ho scelta e perché, dopo tanti anni, non la cambierei con nessun’altra.

P.S. per il resto si sa, come si dice a Napoli, che “ogni scarrafone è bello ‘a mamma soja”…

Tre giorni intensi, pieni, bellissimi. Anche quest’anno, per il settimo consecutivo, ho avuto il privilegio di partecipa...
29/10/2025

Tre giorni intensi, pieni, bellissimi. Anche quest’anno, per il settimo consecutivo, ho avuto il privilegio di partecipare al International Course of Audiology and Vestibular Medicine “Gianni Modugno”, organizzato dal Prof. Luigi Califano presso l’Ospedale di Benevento.

Non è più un semplice corso: è diventato un appuntamento che ogni anno si trasforma in una straordinaria occasione di confronto, crescita e condivisione. Dalla mattina fino a tarda sera, tra lezioni, momenti conviviali e interminabili discussioni sui disturbi dell’equilibrio, si respira un’aria che solo chi vive davvero questo mondo può comprendere.

Confrontarsi e dialogare con maestri come Pagnini, Gufoni, Manzari, Marcelli, Nuti, e con i luminari della Johns Hopkins University come il Prof. Zee, fino ai colleghi degli Emirati Arabi, è un’esperienza che arricchisce e ispira profondamente.

In un panorama medico dove ancora c’è chi attribuisce una vertigine rotatoria o un’illusione di movimento a cervicale, ansia o malocclusione dentale, poter trascorrere giorni interi accanto ai giganti della vestibologia e dell’otoneurologia rappresenta una vera boccata d’ossigeno. Ore di casi clinici, confronti appassionati e riflessioni che non stancano mai, ma alimentano la passione per questo mestiere.

Se tutto questo è possibile, lo si deve a Luigi Califano, amico, mentore e guida. A lui devo l’opportunità di aver imparato, di essermi confrontata e di aver potuto dialogare con quei nomi che da studentessa vedevo solo citati nei libri e negli articoli su cui studiavo.

Ogni anno, verso l’estate, ricevo da lui un messaggio semplice ma prezioso: “Ovviamente ci sarai anche quest’anno?” — come se fosse naturale, ma per me non lo è affatto. Sapere che un maestro del suo calibro trova il tempo e il pensiero di coinvolgermi, di chiamarmi personalmente, è qualcosa che porto dentro con profonda gratitudine. Non è mai scontato, e ogni volta mi ricorda quanto mi senta fortunata e privilegiata a far parte di questa grande famiglia della vestibologia e dell’otoneurologia.

Grazie di cuore, .califano , per continuare a rendere possibile tutto questo 😍 🥰 👂🏻

La scienza dell’ascolto su misura: il significato clinico della protesizzazione acusticaLe protesi acustiche non sono se...
19/10/2025

La scienza dell’ascolto su misura: il significato clinico della protesizzazione acustica

Le protesi acustiche non sono semplici strumenti da acquistare, ma dispositivi medici complessi che devono essere progettati, calibrati e verificati con la precisione di un abito di sartoria, attraverso un percorso clinico strutturato. L’errore più comune è considerarle un semplice ausilio per “sentire di più”, mentre in realtà rappresentano una vera e propria riabilitazione sensoriale, che richiede competenza medica, conoscenza tecnica e un lavoro di squadra costante tra otorinolaringoiatra/audiologo e audioprotesista.

Il punto di partenza è sempre la valutazione specialistica medica, indispensabile per individuare la causa dell’ipoacusia, escludere patologie reversibili o chirurgicamente trattabili e definire la reale indicazione alla protesizzazione. L’audioprotesista, a sua volta, traduce la diagnosi in un progetto di riabilitazione personalizzato, scegliendo il dispositivo più adatto al tipo di perdita e curandone la programmazione. È una collaborazione sinergica e complementare: il medico stabilisce le basi fisiopatologiche, l’audioprotesista costruisce e regola l’interfaccia tecnologica che restituisce al cervello una percezione acustica armonica. Senza questa cooperazione il risultato è parziale, e talvolta controproducente.

Molti pazienti si affidano a test uditivi rapidi o a prove di ascolto sommarie, credendo che basti una semplice soglia tonale per stabilire la necessità di una protesi. In realtà, l’audiometria tonale misura solo la percezione dei suoni puri, ma non la capacità di comprendere il linguaggio, che rappresenta la vera funzione uditiva. L’audiometria vocale, invece, valuta la discriminazione delle parole e consente di programmare il dispositivo in modo che potenzi la comprensione del parlato, non solo la percezione del suono. Trascurare questo passaggio significa rischiare di amplificare il rumore più della voce, con un ascolto distorto e innaturale.

Il fitting è la fase più delicata del percorso protesico. Ogni orecchio ha una propria risonanza, ogni cervello elabora i suoni in modo diverso: per questo la taratura deve essere condotta con misurazioni oggettive in vivo (Real Ear Measurement) e verifiche periodiche. Una protesi mal calibrata può determinare iperstimolazione sonora, distorsione, accentuazione dell’acufene o, al contrario, insufficiente attivazione delle vie uditive centrali con perdita della plasticità neurale. Non tutte le protesi sono uguali, né adatte a ogni tipo di ipoacusia. Le perdite conduttive, neurosensoriali o miste richiedono dispositivi e strategie di elaborazione diverse. Un audioprotesista serio non sceglie ciò che il paziente trova più “gradevole” da vedere, ma ciò che corrisponde alla reale indicazione clinica. La scelta di apparecchi troppo piccoli o completamente endoauricolari, per ragioni estetiche, può compromettere la resa acustica, la direzionalità microfonica e il comfort ventilatorio, riducendo l’efficacia complessiva della riabilitazione.

I benefici di una protesizzazione corretta sono oggi pienamente dimostrati dalla letteratura scientifica. Studi pubblicati su The Lancet Public Health, Journal of the American Academy of Audiology e Trends in Hearing hanno confermato che un uso precoce e ben calibrato delle protesi acustiche riduce il rischio di decadimento cognitivo, migliora la memoria di lavoro e la concentrazione, riduce l’isolamento sociale e la sintomatologia depressiva. Inoltre, il recupero di una corretta stimolazione acustica contribuisce alla stabilità posturale e alla percezione spaziale, grazie al ruolo dell’udito nell’integrazione multisensoriale che coinvolge vista, propriocezione e sistema vestibolare.

Un ulteriore vantaggio, spesso sottovalutato, riguarda il miglioramento degli acufeni. È oggi ampiamente riconosciuto che, in molti casi, l’acufene non è una “malattia” autonoma, ma una conseguenza della ridotta stimolazione uditiva. Quando l’orecchio perde sensibilità, le aree corticali deputate all’elaborazione dei suoni si trovano in una condizione di iperattività compensatoria: in assenza di stimolo reale, il cervello “genera” un segnale interno percepito come rumore. Ripristinare un corretto input acustico tramite protesi riduce questa iperattività e ristabilisce l’equilibrio tonotopico delle aree uditive. Diversi studi (Henry et al., American Journal of Audiology, 2015; Searchfield et al., Frontiers in Neuroscience, 2020) hanno dimostrato che oltre la metà dei pazienti con acufene riferisce un netto miglioramento della sintomatologia dopo la protesizzazione, sia in termini di intensità che di percezione soggettiva. Il motivo è fisiologico: più l’udito migliora, più il cervello riceve informazioni reali e smette di produrne di “fittizie”.

Affrontare la perdita uditiva con superficialità, scegliendo la protesi “più comoda” o “meno visibile”, significa ridurre una riabilitazione complessa a un gesto estetico. Al contrario, un percorso medico e tecnico integrato permette di restituire al paziente una percezione naturale, stabile e armonica, migliorando non solo l’udito, ma anche l’equilibrio, la concentrazione e il benessere psicologico. La protesi acustica, quando è correttamente prescritta, adattata e seguita nel tempo, non amplifica semplicemente i suoni: restituisce al cervello la capacità di ascoltare, interpretare e riconoscere il mondo circostante, riportando silenzio dove prima c’era solo rumore.

“Sento un rumore nell’orecchio”Vi spiego come mai non occorre sempre preoccuparsi.Percepire suoni “senza sorgente estern...
11/10/2025

“Sento un rumore nell’orecchio”
Vi spiego come mai non occorre sempre preoccuparsi.

Percepire suoni “senza sorgente esterna” è più comune di quanto si creda e non equivale, di per sé, a una malattia (il tanto temuto acufene). L’orecchio è un sistema meccanico finissimo, in continuità con il rinofaringe e a stretto contatto con strutture vascolari e muscolari: in alcune circostanze può registrare attività fisiologiche che di solito passano inosservate. Capire come funziona questo sistema aiuta a distinguere ciò che è normale da ciò che richiede un controllo, riducendo l’allarme che nasce dall’incertezza, particolarmente nei soggetti più ansiosi.

La tuba di Eustachio è il regolatore principale dell’orecchio medio. A riposo resta chiusa; si apre per frazioni di secondo quando deglutiamo, sbadigliamo o muoviamo la mandibola. In quei momenti equalizza la pressione tra orecchio medio e rinofaringe e consente di “ventilare” la cassa timpanica. L’apertura può produrre un piccolo passaggio d’aria, avvertito come un “click” o un lieve crepitio: è un evento normale, percepito con maggior facilità nel silenzio o quando l’attenzione è molto focalizzata sull’orecchio. Se la funzione della tuba si riduce — per congestione nasale, rinite, allergia o infezioni delle alte vie respiratorie — la pressione nell’orecchio medio si sbilancia e possono comparire ovattamento, rimbombo della propria voce e sensazione di “orecchio pieno”. Nella cosiddetta otite media effusiva (catarrale), un sottile velo di liquido dietro la membrana timpanica si sposta con la deglutizione: l’interfaccia aria-liquido genera piccoli crepitii o fruscii, descritti spesso come “bollicine che scoppiano”. Anche le variazioni barometriche (volo, immersione, cambi rapidi di quota) mettono alla prova il sistema di equalizzazione e possono rendere più udibili le aperture tubariche.

Un fenomeno correlato è l’autofonia, la sensazione di sentirsi “troppo” e di avvertire la propria voce o il respiro. Può emergere per semplice occlusione del condotto uditivo esterno (tappo di cerume, cuffie molto isolanti) o, più raramente, per una tuba che rimane eccessivamente aperta. In questi casi aumenta la trasmissione dei suoni interni a bassa frequenza: passi, masticazione, respiro e perfino il battito cardiaco diventano più evidenti. Nella grande maggioranza dei casi si tratta di fenomeni fisiologici e transitori.

I rumori pulsati meritano una precisazione. Le strutture vascolari, vicinissime all’orecchio medio, possono trasmettere la loro pulsazione ai tessuti peri-timpanici: in certe posture o con pressioni variate si può percepire per qualche istante un suono sincrono col battito. Episodi sporadici e fugaci rientrano nella normalità. Diverso è quando la pulsazione è costante, unilaterale e perfettamente sincrona con il polso: in quel caso è opportuno un approfondimento mirato.

Esistono poi suoni prodotti da micro-movimenti di strutture muscolo-tendinee dell’orecchio medio e del palato. Il tensore del timpano e lo stapedio, muscoli che modulano la trasmissione sonora, possono contrarsi in modo reattivo a stimoli acustici o meccanici, generando click ripetuti o brevi vibrazioni. Quasi sempre sono fenomeni benigni e intermittenti; solo se diventano prolungati o invalidanti serve un inquadramento più accurato. Anche l’articolazione temporo-mandibolare, per vicinanza anatomica, può produrre scrosci e scricchiolii che il paziente localizza all’orecchio pur originando dall’articolazione.

Un ruolo cruciale lo gioca il cervello nell’interpretazione del segnale. L’attenzione selettiva e l’iper-vigilanza aumentano la “salienza” di stimoli deboli: più ci si concentra sulla ricerca di un rumore, più i circuiti uditivi e quelli legati all’emotività lo amplificano e lo rendono fastidioso. Ansia, insonnia e stress abbassano le soglie di filtraggio corticale: un semplice click tubarico o un crepitio da movimento dell’aria e del liquido può diventare motivo di apprensione. Una spiegazione corretta è già parte della terapia: sapere che il sistema sta lavorando come deve, o che ci si trova in una fase di disfunzione tubarica reversibile, interrompe il circolo ansia-attenzione-percezione che alimenta il sintomo.

Naturalmente, ci sono segnali che richiedono attenzione. Il rimbombo associato a perdita uditiva, dolore, secrezioni, febbre o vertigine suggerisce un processo infettivo o infiammatorio dell’orecchio medio. Un fischio continuo insieme a calo dell’udito, soprattutto se da un solo lato, merita una valutazione audiometrica. Una pulsazione costante e sincrona con il polso, unilaterale, va sempre indagata secondo criteri specifici. Al di fuori di queste situazioni, la maggior parte dei rumori percepiti senza sorgente esterna nasce da meccanismi di pressione, ventilazione e trasmissione osseo-tissutale del tutto fisiologici.

In ambulatorio le domande più frequenti riguardano proprio questi suoni “strani”: perché sento uno scatto quando deglutisco? perché la mia voce rimbomba? perché di notte, nel silenzio, avverto un ronzio leggerissimo? La visita specialistica ha due scopi. Il primo è escludere patologie con esame obiettivo, otoendoscopia e, quando serve, test audiologici e timpanometrici. Il secondo è fornire una spiegazione fisiologica chiara: una tuba che si apre e si chiude correttamente è un segno di buona funzione; il film liquido dell’otite catarrale crea bollicine che il timpano “registra”; l’effetto di occlusione o un’eccessiva attenzione possono far emergere segnali interni che di solito il cervello filtra. Comprendere cosa accade riporta questi fenomeni nella loro cornice naturale e aiuta a riprendere un controllo sereno delle proprie sensazioni.

Sul piano pratico, molte percezioni transitorie rientrano nella normalità del sistema uditivo. Prendersi cura del naso e della funzione tubarica in presenza di rinite o congestione, gestire in modo conservativo l’otite catarrale secondo indicazione medica, evitare manovre pressorie ripetute o lo “sniffing” eccessivo, limitare l’uso prolungato di dispositivi che occludono completamente il condotto, migliorare il sonno e ridurre lo stress: sono interventi semplici che spesso riducono la percezione dei rumori fisiologici. Quando invece il fenomeno è persistente, asimmetrico, associato ad altri sintomi o incide sulla qualità di vita, la valutazione otorinolaringoiatrica serve a definire se si tratta di normale fisiologia percepita o di un segnale che richiede ulteriori accertamenti.

In sintesi, il corpo produce suoni; l’orecchio, a volte, li lascia passare e, altre volte, li filtra. Dare un nome ai fenomeni, comprenderne il meccanismo e conoscere le soglie di allarme permette di trasformare un’esperienza preoccupante in un’informazione utile, riportando l’attenzione dalla paura della malattia alla fisiologia che ci protegge ogni giorno.

Dico sempre ai miei pazienti: “il nostro corpo non è mica silenzioso. Impariamo ad ascoltarlo senza spaventarci!”

Se non volete ascoltare lui, almeno ascoltate l’otologo 😜

Sono vicina, con il cuore, ai colleghi e allo staff tutto, della Polimedica Melfi, oggi costretta a scioperare nella spe...
30/09/2025

Sono vicina, con il cuore, ai colleghi e allo staff tutto, della Polimedica Melfi, oggi costretta a scioperare nella speranza che chi di dovere sistemi gli inevitabili danni derivati dal taglio dei fondi destinati a strutture convenzionate con l’SSN. La speranza è quella di poter tornare ad offrire assistenza a tutti i cittadini le cui prestazioni sono state letteralmente cancellate, dall’oggi al domani, rischiando conseguenze irreparabili.

🧡

Oggi i telefoni e gli sportelli resteranno chiusi: tutta la struttura è in stato di agitazione perché la Regione Basilicata ha tagliato improvvisamente le risorse destinate alle prestazioni in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.

Per questo oggi siamo a Potenza a manifestare in occasione dell’incontro dal prefetto, nella speranza che le istituzioni trovino una soluzione.

Stiamo lottando non solo per il futuro di Polimedica e dei nostri posti di lavoro, ma soprattutto per difendere il diritto alla salute dei cittadini.

Grazie per la comprensione

La paura dell’esame vestibolareNon di rado arrivano presso il nostro centro pazienti profondamente spaventati. Ci chiedo...
28/09/2025

La paura dell’esame vestibolare

Non di rado arrivano presso il nostro centro pazienti profondamente spaventati. Ci chiedono ripetutamente in cosa consista la visita, si mostrano poco collaboranti e, nei casi più estremi, pur avendo prenotato un appuntamento, una volta arrivati in studio decidono affranti di non proseguire per timore di dover affrontare un esame vestibolare.

In queste circostanze non bastano parole di rassicurazione, né la pazienza o il tatto con cui cerchiamo di spiegare. Prima ancora di conoscere la materia scientifica della vertigine, conosciamo bene la sofferenza psichica che spesso l’accompagna. A volte la paura diventa così intensa da impedire a persone già provate nella loro quotidianità di affrontare il problema, come se si trattasse di un salto nel vuoto.

Riceviamo quotidianamente richieste di chiarimenti, consulenze online e documentazione clinica pregressa, ma constatiamo come, al momento di recarsi in studio, molti pazienti perdano la lucidità e rimandino il passo più importante: la valutazione diretta.

Ho quindi scelto di affrontare apertamente questo tema. L’esperienza traumatica di una crisi vertiginosa può, in alcuni casi, configurarsi come un vero e proprio disturbo post-traumatico, con panico e ansia anticipatoria. La letteratura scientifica internazionale ha documentato come tali vissuti possano condurre a evitamento e a una drastica riduzione della qualità della vita. Non sorprende, dunque, che alcuni pazienti rinuncino a viaggiare, smettano di praticare sport, evitino occasioni sociali, non prendano più l’aereo o, addirittura, non dormano più su un fianco da anni per paura di scatenare un nuovo episodio.

Noi di VertiLab scegliamo sempre la trasparenza: non promettiamo l’impossibile e non nascondiamo nulla. Durante una valutazione vestibolare è possibile avvertire sensazioni sgradevoli, legate sia all’ansia sia alle caratteristiche dei diversi disturbi dell’equilibrio. In particolare, se il paziente si presenta in fase acuta di labirintolitiasi, le manovre liberatorie possono evocare una vertigine simile a quella spontanea. Tuttavia, in questi casi l’obiettivo è proprio quello terapeutico: nella maggior parte delle situazioni si entra che si sta male e si esce che si sta meglio. Nelle altre condizioni – come la malattia di Ménière, le emicranie vestibolari o i deficit labirintici – la valutazione non necessariamente provoca crisi, ma rappresenta lo strumento imprescindibile per giungere a una diagnosi corretta e impostare un percorso terapeutico mirato.

Il messaggio che riteniamo fondamentale trasmettere è che gli esami vestibolari non devono essere percepiti come un ostacolo insormontabile, ma come il primo passo verso la soluzione. Ogni giorno assistiamo pazienti che, dopo anni di rinunce e limitazioni, riescono finalmente a riappropriarsi della loro vita. Non si tratta di eccezioni fortunate, bensì della normalità che deriva da un percorso strutturato, supportato da terapie mirate e da una diagnosi accurata.

A differenza di patologie a decorso lineare, i disturbi dell’equilibrio richiedono spesso tempi più lunghi, costanza, follow-up e un approccio multidisciplinare. Per questo, in VertiLab non ci limitiamo a offrire una singola visita, ma ci impegniamo in una presa in carico globale, che garantisca continuità e accompagni il paziente lungo tutto il percorso. Nei casi in cui la componente ansiosa sia predominante, integriamo il percorso con il supporto psicoterapeutico, che in alcune situazioni non rappresenta un complemento, ma un elemento imprescindibile.

Il nostro obiettivo è che la visita vestibolare non venga vissuta come un salto nel vuoto, ma come l’inizio di un cammino di cura. È un percorso che non si affronta mai da soli: lo si compie insieme, passo dopo passo, fino a trasformare la paura in fiducia e in una nuova stabilità.

Nella foto allegata ci sono solo alcuni dei tanti messaggi che testimoniano un comune denominatore: la vertigine ed i disturbi dell’equilibrio non costituiscono una condanna.
Possiamo capirvi e possiamo aiutarvi.

Indirizzo

Via Vincenzo Tiberio 14, Napoli
Naples
80126

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La dr.ssa Fabrizia de Falco si é laureata in medicina e chirurgia con lode presso la “Seconda Università degli Studi di Napoli”, discutendo una tesi sperimentale sulle otomastoiditi in età pediatrica. Negli ultimi anni di università e nell’immediato post-laurea, prima di vincere il concorso per entrare in scuola di specializzazione, ha frequentato come medico volontario l’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria Pediatrica del Santobono Pausilipon di Napoli e l’U.O.C. di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale Monaldi. Successivamente ha conseguito con il massimo dei voti il titolo di specialista in Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale presso l’Università di Napoli “Federico”. Il suo percorso di formazione si é arrichito di numerose esperienze, tra cui diversi periodi di frequenza presso prestigiosi istituti di ricerca nazionali ed internazionali, quali il Gruppo Otologico di Piacenza, diretto dal Prof. Mario Sanna, l’House Ear Institute di Los Angeles ed il Massachusetts Eye and Ear Hospital di Boston. E’ sopratutto presso il “Jenks Vestibular lab” diretto dal Prof. Richard Lewis ed il dipartimento di otorinolaringoiatria ed otoneurologia diretto dal Prof. Steven Rauch della Harvard Medical School che ha avuto modo di approfondire le proprie conoscenze nel campo dell’otologia e dei disordini dell’equilibrio, sviluppando in seguito il proprio lavoro di tesi relativo alla diagnosi differenziale tra pazienti affetti da Malattia di Meniere ed Emicrania Vestibolare. Durante tutto il proprio percorso di specializzazione, la dottoressa de Falco ha partecipato a numerosi congressi nazionali ed internazionali; ha inoltre completato svariati corsi di dissezione chirurgica e di perfezionamento per la pratica clinica. E’ attualmente iscritta alla “Audiology Vestibular International Science Academy” ed é membro delle principali società italiane ed internazionali di otologia ed otoneurologia.