Dott. Michele Storti - Psicologo

Dott. Michele Storti - Psicologo Psicologo e Psicoterapeuta a indirizzo cognitivo-comportamentale. Iscritto Ordine Psicologi Marche.

Appunti sull’educazione sessuale e affettiva nella scuola italiana.1—Alcuni dati (2/2)Lo scenario italiano spicca misera...
16/10/2025

Appunti sull’educazione sessuale e affettiva nella scuola italiana.

1—Alcuni dati (2/2)

Lo scenario italiano spicca miseramente anche in Europa: secondo il rapporto “Comprehensive Sexuality Education (CSE) Country Profiles dell’UNESCO, 19 Paesi hanno reso obbligatoria l’educazione sessuale a scuola, spesso ampliandola oltre gli aspetti biologici per includere temi come relazioni, consenso e ruoli di genere. Alcuni ce l’hanno dagli anni ’50 o ’60 (come Norvegia, Svezia e Germania); l’Italia, tra le poche in cui l’educazione è stata sempre opzionale e mai integrata organicamente nei curricula, l’età di inizio era (ormai lo possiamo dire, perché ora si alzerà ancora) la più alta di tutte, a 14 anni, insieme soltanto a Cipro.

Eppure, non mancano modelli di riferimento sviluppati da organismi scientifici ed esperti.

Uno degli approcci educativi con le basi più autorevoli (documenti e linee guida di organismi come OMS, UNESCO ecc.) è l’“educazione sessuale comprensiva” che integra prevenzione, emozioni, relazioni, autodeterminazione personale: enfatizza rispetto, consenso e benessere, promuove consapevolezza, curiosità e autonomia e affronta tematiche come violenza di genere e discriminazione, andando quindi molto oltre la conoscenza dell’apparato riproduttivo e la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili. Su questo modello si sono costruite sperimentazioni anche nel contesto italiano.

Le principali linee guida nazionali e internazionali indicano che i programmi di educazione sessuale e affettiva sono per prima cosa un diritto alla salute fondamentale per la crescita della persona e la parità di genere nella società.
Questi risultano più efficaci quando sono gestiti da professionisti qualificati, avviati fin dall'infanzia e calibrati per accompagnare lo sviluppo della persona. L’educazione all’affettività e sessualità raggiunge la massima efficacia quando si basa su progetti integrati, che coinvolgono attivamente genitori e insegnanti, in collaborazione con le istituzioni territoriali per creare una rete di supporto e coordinamento.

Appunti sull’educazione sessuale e affettiva nella scuola italiana.1—Alcuni dati (1/2)In Italia l’educazione sessuale e ...
16/10/2025

Appunti sull’educazione sessuale e affettiva nella scuola italiana.

1—Alcuni dati (1/2)

In Italia l’educazione sessuale e affettiva continua a essere un tema di dibattito dal 1975, quando il Partito Comunista con il Dep. Giorgio Bini ha proposto il primo disegno di legge sull’educazione sessuale in classe, e poi nel 1980 con la proposta di Tina Anselmi.
Dopo 50 anni, ancora il nostro Paese dibatte, ma non dispone di una legge che garantisce e regola questa necessità educativa.

Nel mentre, i giovani pagano il costo di questa lacuna culturale e educativa.
Secondo l’IPSOS con Save The Children che hanno condotto la ricerca del 2025 “L’educazione affettiva e sessuale in adolescenza: a che punto siamo?” su 800 adolescenti 14-18 e 400 genitori in Italia, 1 adolescente su 4 ritiene la pornografia una rappresentazione realistica dell’atto sessuale, la principale fonte di informazione dei ragazzi e delle ragazze sui temi dell’affettività e della sessualità è il web, e meno di 1 adolescente su 2 ha fatto educazione sessuale a scuola (solo il 37% al sud e nelle isole).
In tema di stereotipi, nell’indagine dell’Istituto di ricerca Iard del 2018, il 46,8% del campione di studenti delle superiori era d’accordo con l’affermazione per cui “la donna è, almeno in parte, corresponsabile delle violenze che subisce”.

In effetti il panorama italiano dei progetti di educazione sessuale e affettiva negli ultimi anni è sempre stato frammentato e distribuito in modo ineguale, con interventi di educazione affettiva e sessuale demandati alla motivazione di enti, associazioni e professionisti locali, con tutti i limiti economici e organizzativi implicati.

(continua...)

Nel mondo antico la tragedia aveva una funzione catartica e in definitiva sociale: partecipare alle vicende terribili ch...
11/08/2025

Nel mondo antico la tragedia aveva una funzione catartica e in definitiva sociale: partecipare alle vicende terribili che accadevano ai personaggi in scena aveva il fine di innescare negli spettatori forti emozioni di paura e di pietà che avrebbero dovuto purificare i loro animi e l’intero corpo sociale da impulsi distruttivi, affinché questi non ricadessero sul mondo reale.

Ieri guardando l’opera del Macbeth di Verdi, ascoltando questo personaggio – e sua moglie Lady Macbeth - assetato di potere e disposto a tutto per mantenerlo, sempre più solo nella sua discesa verso la morte, mi sono venuti in mente i “Macbeth” del presente.

Poi però, a pensarci un poco, questa tragedia mi è apparsa quasi come una versione consolatoria della realtà che viviamo.
Lì, Macbeth e la sua Lady finiscono per consumarsi dal senso della colpa per i loro delitti, ossessionati dai fantasmi delle loro vittime al punto da impazzire.
Qui, i potenti che commettono crimini di guerra e genocidi li immagino, nella loro vita quotidiana, molto più freddi, lucidi, capaci di fare sonni tranquilli la notte, e, nel loro impeccabile e candido abbigliamento, di non sentirsi scorrere addosso nemmeno una goccia del sangue che hanno versato di migliaia o decine di migliaia delle loro vittime.

Casa.
09/08/2025

Casa.

...cioè giudicare quella persona come poco “garbata” – ma forse sociologica. Cioè, pensare a questi esempi ripetuti come...
23/03/2025

...cioè giudicare quella persona come poco “garbata” – ma forse sociologica. Cioè, pensare a questi esempi ripetuti come il riflesso del tempo in cui viviamo. Le nostre vite sono fatte di giornate dove la relazione spesso si frammenta in infinite particelle di contatti che durano a volte lo spazio di pochi secondi, al massimo di minuti. Una notifica ci segnala che qualcuno ci sta dicendo “ti sto pensando” o “mi piace quello che fai, o che scrivi”. Questa persona emerge sul bordo della nostra coscienza, ma subito scompare, coperta da qualcun altro che ci scrive in chat. Qualcun altro ancora si prende il suo spazio imponendosi sulle chat rimaste non lette, entrando a gamba tesa con un vocale che ci cattura l’attenzione con la sua voce. Poi tocca a noi a farci vedere da tutti gli altri, magari mentre siamo con qualcuno, e ci facciamo un selfie come se entrambi dovessimo occuparci dei nostri rispettivi pacchetti di legami. E poi accade qualcosa nel mondo fisico attorno a noi – magari dobbiamo parlare con un collega, o uscire per la spesa, o incontriamo un amico – e questa squadra di altri con cui abbiamo iniziato “qualcosa che assomiglia a una comunicazione”, viene archiviata fino al prossimo momento in cui sentiamo liberarsi dello spazio disponibile per loro.

In questa parcellizzazione delle relazioni, la sensazione può essere quella di essere sempre attorniati di persone, sempre con le spalle coperte, che ci sia sempre qualcuno disponibile a darci attenzione. Ma non si pensa spesso che anche altre persone sono, come noi, avvolte da questo fasciame di impulsi digitali che sembrano dire “in questo preciso istante ci sono per te!” o “in questo preciso istante, ci sei per me?”. Gli altri potenzialmente ci sono tutti, o potrebbero esserci, ma mancano i tempi naturali perché la relazione possa superare un farsi compagnia per un po’.

Che cosa c’entra la questione del mancato saluto? Forse, questa forma mentis che nasce dentro l’epoca dell’iperconnessione sta fuoriuscendo nel mondo fisico, e ci porta a vivere gli altri un po’ come fossero “distributori di dosi usa e getta”, fornitori di attenzione, di stimolazione, di gratificazione.

Che ne pensate?

Nei manuali di psicologia evoluzionistica si trova scritto che l’atto del saluto tra gli umani svolge una funzione di ma...
23/03/2025

Nei manuali di psicologia evoluzionistica si trova scritto che l’atto del saluto tra gli umani svolge una funzione di mantenimento dei legami della tribù: se saluto un simile quando lo incontro – che sia con la voce o con un gesto - anche solo da lontano mentre passo e vado, quando lo incontro per restare in un luogo, o quando uno dei due se ne va, sto confermando il mio desiderio di mantenere un legame anche in futuro con lui. È il riconoscimento che l’altro appartiene al mio mondo delle relazioni, che lo tengo in considerazione e vorrei che lo stesso facesse l’altro. Non salutare qualcuno che si conosce è ugualmente un messaggio, e comunica al contrario che non siamo disposti a coltivare una conoscenza, vogliamo fare a meno di quella conoscenza appena iniziata o mettere fine a un rapporto presente nel passato.

Questa è la teoria.

Nelle ultime settimane mi è capitato almeno 2 o 3 volte un fenomeno che mi ha fatto riflettere sulla tendenza dei costumi sociali. Mi trovavo in alcuni locali la sera, e qui ho trovato per caso delle persone verso le quali provo sentimenti positivi, anche se di diverso tipo e intensità: un’amica, un paio di conoscenti che mi fa piacere incontrare, delle persone interessanti che conosco da pochi mesi. In tutti i casi, è successo che ci siamo persi di vista per qualche minuto - per uscire dal locale a fumare o parlare, per andare a cercare qualcosa da mangiare… – e quando mi sono mosso per riprendere una chiacchierata con loro, ho scoperto che se ne erano andati, appunto, senza salutare o senza avvisare, sebbene ci fosse stato appena prima un tempo di relazione condiviso, almeno un breve tempo di riconoscimento, il piacere reciproco dello stare insieme.

(Fine parte 1/2)

Tutto inizia con un giorno al cimitero, al funerale del loro padre. Due fratelli che restano lontani, non si parlano qua...
01/03/2025

Tutto inizia con un giorno al cimitero, al funerale del loro padre. Due fratelli che restano lontani, non si parlano quasi. Questo evento, prevedibile ma non preparabile, rompe gli equilibri emotivi di Peter e Ivan: fratelli che hanno costruito le loro esistenze su binari separati da un’infanzia che li ha uniti più nella sofferenza che per altro.

Peter è un avvocato di successo, che dalle macerie seguite alla separazione dei genitori ha messo la sua mente indomita, il suo temperamento appassionato e una profonda vocazione alla difesa degli ultimi dalle ingiustizie, al servizio di una carriera brillante. Ma la sua vita dietro la facciata è una landa fatta di amori e disperazione, che prende la forma di un movimento continuo tra una giovane studentessa dalla straordinaria carica erotica, una donna che rappresenta l’intesa e l’amore romantico ma che per proteggerlo non gli permette più di amarla come un tempo, e i momenti della solitudine che si popolano di fantasmi.

Ivan è un giovane campione di scacchi che ha sempre guardato il mondo a distanza, con la sensazione di non possedere le chiavi per capire e padroneggiare le relazioni e l’amore. Ha investito la sua giovinezza per riuscire a dominare partite più codificabili di quelle sentimentali, giocate su una scacchiera. Dietro a una facciata di indecifrabilità, guarda al fratello con invidia, ammirazione e risentimento per essersi sempre sentito rifiutato.

Tutto il libro è una navigazione dentro i flutti interiori di questi due fratelli e delle donne che mescolano con loro la vita. Per me, oltre che una narrazione appassionante, un inno alla complessità del mondo emotivo. Che mi ricorda ancora una volta che, per quanto sia utile creare modelli maneggiabili che spieghino come ciascuno di noi “funziona”, l’essere umano è più complesso, più incostante, più contraddittorio, più imperfetto e fallibile di quanto a volte vogliamo credere, o desideriamo.

Ma allora cosa resta fermo, se “niente è fisso", se la vita è "qualcosa di precario"? La Rooney sembra suggerire nell'ultima pagina: la possibilità di dare e ricevere cura, facendo del nostro meglio...




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