Dott. ssa Daniela Cirrito Psicologa

Dott. ssa  Daniela Cirrito Psicologa Psicoterapia. Riceve su appuntamento in via P. Maroncelli, 73 Padova

30/06/2023

Questo mese Nicolò Targhetta ci coinvolge in un racconto che tocca il tema delle maschere che spesso indossiamo nel corso della vita. Maschere che spesso riflettono le aspettative e le pressioni della società, celando il vero sé.

La maschera può rappresentare un aspetto della propria personalità, o un modo in cui ci si è adattati alle pressioni esterne.

Eppure, anche dietro a queste maschere, rimane la voglia di ricercare se stessi. Questo racconto serve a ricordare che nonostante le varie maschere che potremmo indossare, la vera sfida della vita è cercare di ritrovarci, per riscoprire e riabbracciare la nostra autenticità.

La grafica è dell’illustratrice Amandine Delclos


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La prima maschera me l’hanno regalata i miei genitori, si chiama Non Piangere, ce l’ho da quando ero bambino. La uso ancora.
La seconda maschera serve a nascondere la vergogna. È solida, spessa e pesante. Ce l’ho allacciata alla nuca con tanti di quei nodi che pare saldata.
La terza maschera è omologata. Si può comprare, costa poco, ce l’hanno tutti. È una maschera fatta di serie tv, libri letti, cose viste e sentite. Si toglie e si mette facile. Quando esce un modello nuovo la cambio.
La quarta maschera fa ridere solo a guardarla. L’ho messa un giorno, è piaciuta e non l’ho tolta più.
La quinta maschera ha una faccia cattiva. La uso per uccidere prima di essere ucciso, per menare per primo e menare due volte.

Da un po’ di tempo la metto sempre più spesso.
La sesta maschera si chiama Sto Bene. Anche se leggera, ha un sorprendente potere contenitivo.
La settima maschera è composta da tante responsabilità incollate fra loro a formare un’espressione di vaga consapevolezza, è la mia maschera da adulto. Ogni tanto, col caldo, perde i pezzi.
All’ottava maschera ho insegnato a pronunciare “ti amo”. Mi basta metterla per dirlo e farlo sembrare vero.
La nona maschera vanta una delle costruzioni più lunghe, ci ho lavorato un sacco e ho dovuto scartare una marea di prototipi, ma adesso funziona. Adesso piace a tutti.
La decima maschera è uno specchio, asseconda pregiudizi e alimenta stereotipi. Mi serve per fare amicizia.

L’undicesima sembra me in tutto e per tutto tranne un paio di particolari fondamentali. Ne vado molto fiero. La tiro fuori quando qualcuno mi chiede di fargli vedere il vero Nicolò.
La dodicesima è solo ansia, migliaia di insetti d’ansia ronzanti e brulicanti sopra quella che credo sia carne marcia. Non l’ho fatta io, un giorno semplicemente me la sono ritrovata addosso.
La tredicesima è fatta di fatture, di codici, di username, di caffè alla macchinetta e di professionalità. È la maschera del lavoro. Ha l’espressione di chi sa esattamente cosa sta facendo.

La quattordicesima è contorta in un urlo perpetuo. La metto sempre insieme alla tredicesima.
La quindicesima è uno dei pezzi più rari. Non è in commercio, devi recuperare specifiche materie prime e fartela da solo. Se la metto provo vergogna per la mia felicità.
La sedicesima è bianca e pulita come una bauta. Ci copro tutte le cose che non dico.
La diciassettesima è di pelle e serve per il sesso. Non l’ho assemblata io. Me l’hanno messa addosso i p***o.
La diciottesima è molto utile, serve per farmi i cazzi miei. La metto e fa tutto lei, risponde, domanda, ride nei momenti giusti. Intanto dietro io sbrigo altre faccende.
La diciannovesima è un vecchio che si lamenta di tutto. Tutta spigoli, è intagliata sulla faccia di Clint Eastwood. È l’unica che invecchia più veloce di me.

La ventesima è la porta di un caveau e pesa cento tonnellate. Tiene dentro un paio di paure e qualche dolore. Neanche volendo saprei come toglierla.
La ventunesima è terrificante. Mi guarda, dal vuoto, chiedendomi chi sono.
Ogni tanto penso che da qualche parte, sotto tutte queste maschere ci dovrei essere io.
E che forse la vita è solo il lungo tentativo di ritrovarmi.

"Amare e accompagnare un figlio nella vita significa insegnargli a staccarsi da noi, avendogli fornito la certezza che n...
07/12/2022

"Amare e accompagnare un figlio nella vita significa insegnargli a staccarsi da noi, avendogli fornito la certezza che noi rappresenteremo per sempre la base sicura, il porto verso cui potrà direzionare la sua navigazione quando le onde diventeranno spaventevoli o il mare della vita diventerà tempesta. Questa certezza rappresenta per lui la fonte della sua sicurezza emotiva e gli permetterà di diventare un esploratore del mondo che lo circonda, un appassionato protagonista di relazioni, un soggetto desideroso di andare incontro al nuovo, al bello e all'ignoto che riempie ogni giorno del suo presente e del suo futuro". (Io gomitolo, tu filo di Alberto Pellai)

16/11/2022
10/11/2022

Penso sia arrivato il momento di esprimere il mio pensiero sui recenti avvenimenti…✍️
Ho rifiutato interviste per evitare strumentalizzazioni delle mie parole
Quando sono comparse le prime notizie sulle denunce, da parte dei ginnasti di Ritmica e Aerobica, non sono rimasta affatto sorpresa... Anzi, anni fa scrissi un libro nel quale parlai anche di alcuni di questi aspetti. All'alba dei 32 anni, di cui 25 passati nel mondo della ginnastica, voglio dire che ho vissuto tante esperienze positive ma anche tante negative. Durante la mia carriera fortunatamente però ho vissuto anche qualche cambiamento nel mio ambiente e mi spiace che ancora oggi ci siano luoghi dove si verificano questi orrori. Conosco perfettamente questi aspetti, l'ho detto piu volte, come tanti altri ho vissuto sulla mia pelle i problemi alimentari e all'etá di 19 anni mi mandarono in una clinica a Verona e grazie al supporto di esperti e dopo un paio di anni di percorso sono riuscita a guarire. Quindi invito chiunque ne soffra a farsi aiutare perché é davvero fondamentale. Ho avuto modo di confrontarmi anche con il pensiero di altri ginnasti ed ex ginnasti e spero che finalmente si possa intervenire definitivamente affinche la ginnastica, lo sport che amiamo, senza distinzione di sezioni o di livello sia pulito. Crediamo a quello che è stato denunciato e siamo vicinini a tutti voi, lo sport é fatto di sacrifici e di rinunce ma prima di tutto, prima di qualsiasi risultato, vengono le persone e la loro salute. Quindi faccio appello all'umanitá delle persone perché
penso che debba esserci un confine netto tra severità in ottica di disciplina e cattiveria.
Detto ciò non sto cercando colpevoli e probabilmente nel profondo le persone non cambieranno mai, ma parlandone costantemente e denunciando tempestivamente spero che si possa far ragionare chi commette queste azioni e scegliere il modo migliore di agire.
Concludo invitando a non demonizzare la ginnastica, non è prendendo le distanze da un ambiente che le cose cambiano, perché la ginnastica é un mondo magnifico benché complesso, quindi non rendiamolo ancora piu difficile, sta a noi il compito di proteggerlo.

Vanessa Ferrari

08/11/2022

Dal libro "Vita con Lloyd" di Simone Tempia:
"Cerca qualcosa, sir?"
"Me stesso, Lloyd. Temo di essermi perso qui da qualche parte"
"Credo che sia ora di mettere un pò di ordine nella sua vita, sir"
"Quello è un lavoro senza fine, Lloyd"
"Senza fine, ma con un ottimo principio, sir"
"Quale principio, Lloyd?"
"Quello di un nuovo disordine in cui potersi finalmente ritrovare, sir"
"Rimbocchiamoci le maniche, Lloyd".
"Con piacere, sir".

Quando la vergogna irrompe, qualcosa si infrange, l'immagine sociale è spazzata via dallo sguardo sprezzante dell'altro....
07/11/2022

Quando la vergogna irrompe, qualcosa si infrange, l'immagine sociale è spazzata via dallo sguardo sprezzante dell'altro. Centrale diventa allora il tema dello sguardo, il nostro su di noi e quello dell'altro: " lo sguardo è prima di tutto un intermediario che mi rimanda da me a me stesso. Io mi vedo perché mi si vede" (Sartre, 1943). Con lo sguardo, l'altro limita le nostre possibilità e ci priva della nostra soggettività, ma nello stesso tempo è colui che detiene il segreto del nostro essere. Lo sguardo della vergogna non è destinato a ospitare e accogliere la persona nel suo essere più intimo, ma piuttosto è proteso a misurarla e a valutarla come se fosse un oggetto. La vergogna sembra essere il risultato di uno sguardo esterno interiorizzato e posto come giudice. Ci si trova soli con la propria coscienza che rimprovera di non essere stati all'altezza delle proprie e altrui aspettative, tanto da avere la sensazione di sentire, dentro di sé, una voce ostile che giudica severamente senza appello. Ci sono sguardi, come nel fenomeno della vergogna che "tengono lontano e alienano l'altro, che raggelano ogni comunicazione e trascinano con sé inquietudini e lacerazioni emozionali insopportabili" (Borgna, 2008), ma ci sono altri diversi modi di guardare, ai quali dovremmo educarci: sguardi non giudicanti ma accoglienti, che consentono all'umana presenza di mantenere la propria unicità e irripetibilità, facendo sì che essa non si esaurisca mai totalmente in quello che appare immediatamente alla vista.

Dal libro "Noi siamo un dialogo" (2017) di G. Stanghellini: - Cos'è l'essere umano? E' un dialogo con l'Alterità che si ...
03/11/2022

Dal libro "Noi siamo un dialogo" (2017) di G. Stanghellini:
- Cos'è l'essere umano?
E' un dialogo con l'Alterità che si manifesta nel rapporto con il mondo esterno e con noi stessi (...).
- Cos'è la patologia mentale?
E' l'interruzione del dialogo con l'Alterità (...) Un'Alterità inascoltata che grida per essere ascoltata e decifrata (...) E' ciò che accade nel momento in cui si interrompe la dialettica identitaria che si fonda sul Riconoscimento dell'altro e sul desiderio di essere riconosciuto dall'altro (...).
- Cos'è la cura?
Un dialogo che ha un metodo il cui scopo è riallacciare il dialogo con l'Alterità. Rappresenta una sorta di palestra dialogica nell'ambito della quale il paziente insieme al terapeuta compie un esercizio dialogico con la propria alterità interna e con quella esterna (incarnata dal terapeuta) nello sforzo reciproco di fornire all'altro gli elementi per essere riconosciuto (...).

Che cos'è l'essere umano? Che cos'è la malattia mentale? Che cos'è la cura? Queste le domande che muovono la riflessione del professor Giovanni Stanghellini ...

03/11/2022

Inizia il viaggio dell'Ordine delle Psicologhe e Psicologi del Veneto in partnership con per sensibilizzare cittadini e cittadine sulle più comun...

27/10/2022

Dal libro "La filosofia in 32 favole" di Ermanno Bencivenga:
"C'ero una volta io, ma non andava bene. Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole, e per un po’ la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva: “Chi sei?” e io rispondevo “Sono io”, e non andava bene. Era vero, perché io sono io, è la cosa che sono di più, e se devo dire chi sono non riesco a pensare a niente di meglio. Eppure non andava bene lo stesso: l’altro faceva uno sguardo imbarazzato e si allontanava il più presto possibile. Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo “Sono io”, ed era vero, e non c’era modo migliore, più completo e più giusto per dirgli chi ero, ma l’altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava. Così mi sono dovuto adattare. Prima di tutto mi sono dato un nome, e se adesso mi si chiede chi sono rispondo: “Giovanni Spadoni”. Non è un granché, come risposta: se mi si chiedesse chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io. Ma, chissà perché, dire che sono Giovanni Spadoni funziona meglio (....).

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