Società Italiana di Sessuologia ed Educazione sessuale

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Società Italiana di Sessuologia ed Educazione sessuale La sessuologia clinica affronta, con metodi psicoterapeutici, le difficoltà della vita sessuale. David Winter (University of Hertfordshire)

La Società Italiana di Sessuologia ed Educazione sessuale (S.I.S.E.S.) si è costituita con lo scopo di promuovere lo studio, la ricerca e l’intervento nell’ambito della Sessualità umana e delle sue problematiche disfunzionali, sia biologiche che psicologiche, attraverso un approccio multidisciplinare, che interroga e mette in dialogo i diversi saperi che si occupano dell’umano, della sua cura, del suo benessere psichico, delle sue culture e delle sue società. L'epistemologia che organizza e orienta le sue prassi cliniche, psicoterapeutiche e socio-educative fa riferimento al modello e alla prospettiva costruttivista, cercando in tal modo di non ridurre la persona solo una "macchina biologica" da riparare. Questo proprio perché la sessualità umana, oltre ad avere implicazioni di carattere bio-medico, è soprattutto “qualcosa per qualcuno”, ossia non può essere mai disgiunta dai significati che le persone attribuiscono alle loro esperienze. In poche parole, la sessualità umana non è mai un fatto meramente “meccanico”, quanto piuttosto essa si caratterizza essenzialmente per un suo coinvolgimento di natura emotiva, psichica e affettiva. Comitato scientifico

Dr.ssa Alessandra Andrisani (Università di Padova)

Prof. Decio Armanini (Università di Padova)

Prof.ssa Francesca Brencio (University of Western Sydney)

Prof. Gabriele Chiari (CESIPc Scuola di Psicoterapia Costruttivista)

Prof. Costantino Cipolla (Università di Bologna)

Prof.ssa Sabrina Cipolletta (Università di Padova)

Prof.ssa Elena Faccio (Università di Padova)

Prof. Mario Galzigna (Università di Venezia)

Dr. Massimo Giliberto (Institute of Constructivist Psychology)

Prof. Antonio Maturo (Univeristà di Bologna)

Dr. Carmelo Miola (ULSS 16- Padova)

Dr. Giovanni Narbone (Institute of Constructivist Psychology)

Dr.ssa Maria Cristina Ortu (CESIPc Scuola di Psicoterapia Costruttivista)

Prof. Harry Procter (University of Hertfordshire, Clinical Psychology Department)

Prof. Cirus Rinaldi (Università di Palermo)

Prof.ssa Elisabetta Ruspini (Università di Milano-Bicocca)

Prof.ssa Ines Testoni (Università di Padova)

Prof.ssa Valeria Ugazio (Università di Bergamo; EIST - European Institute of Systemic-relational Therapies)

Prof. Paolo Valerio (Univeristà Federico II, Napoli; presidente O.N.I.G - Osservatorio Nazionale sull'Identità di Genere)

Prof.

Perché le statue greche hanno un pene piccolo?Un’analisi storico-culturale tra estetica e simbolismoOsservando le statue...
30/09/2025

Perché le statue greche hanno un pene piccolo?

Un’analisi storico-culturale tra estetica e simbolismo

Osservando le statue della Grecia classica, dai Bronzi di Riace al Doriforo di Policleto, colpisce un apparente paradosso: la perfezione anatomica nella resa dei corpi contrasta con la rappresentazione di attributi genitali sorprendentemente ridotti. Lungi dall’essere una scelta casuale o dettata da limiti tecnici, questa caratteristica è il riflesso di un preciso codice estetico e simbolico.

L’ideale della misura e della sophrosyne

Nella cultura greca il corpo non era mai rappresentato in maniera eccessiva, ma sempre in armonia con i principi di kalokagathia, l’ideale che univa bellezza fisica e virtù morale. Un pene piccolo e proporzionato era segno di sophrosyne, cioè temperanza, autocontrollo e misura (Lear, 2015). Al contrario, l’eccesso corporeo era visto come segno di mancanza di dominio di sé.

Il contrasto con l’“altro”

Nell’arte e nella letteratura greca, i falli grandi erano associati a figure caricaturali: satiri, sileni, barbari, esseri rozzi e dominati dall’istinto (Osborne, 2018). L’eroe o il cittadino ideale, invece, si distingueva proprio per il controllo della sessualità, e dunque per una rappresentazione sobria e contenuta del corpo.

Mascolinità e virtù sociale

Nell’antica Grecia, la mascolinità non era misurata in termini di virilità genitale, ma di areté (virtù, eccellenza): coraggio, eloquenza, disciplina e capacità di guidare la polis. Il corpo, idealizzato nelle statue, era specchio dell’anima e veicolo di valori civici e morali (Boardman, 1985).

Continuità e trasformazioni: da Roma al Rinascimento

I Romani ereditarono questa estetica e la riprodussero nelle proprie rappresentazioni, pur enfatizzando maggiormente la forza fisica. Con il Rinascimento, la riscoperta dell’arte classica riportò in auge questi ideali: il David di Michelangelo, nonostante la sua origine biblica, rispecchia perfettamente l’ideale greco di armonia proporzionata, in cui il membro ridotto esprime disciplina spirituale e non carenza virile (Panofsky, 1968).

Differenze con il presente

L’epoca contemporanea ha rovesciato questo paradigma. Influenzata dalla p***ografia, dalla chirurgia estetica e da un’idea consumistica del corpo, la nostra cultura tende a valorizzare la dimensione del pene come simbolo di potenza e desiderabilità (Mulvey, 1989). Il corpo non è più tanto specchio dell’anima, quanto oggetto di prestazione e di consumo.

Conclusione

Le statue greche, con i loro peni piccoli, ci ricordano che ogni rappresentazione corporea è il riflesso di un sistema di valori. Là dove oggi si celebra l’eccesso e la visibilità, l’antichità classica celebrava la misura, l’armonia e l’autocontrollo. Non si trattava di negare la sessualità, ma di incorniciarla entro un ideale più ampio di equilibrio e razionalità.

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Bibliografia essenziale

Boardman, J. (1985). Greek Sculpture: The Classical Period. London: Thames and Hudson.

Lear, A. (2015). Images of Ancient Greek Pederasty: Boys Were Their Gods. Routledge.

Osborne, R. (2018). The Transformation of Athens: Painted Pottery and the Creation of Classical Greece. Princeton University Press.

Panofsky, E. (1968). Renaissance and Renascences in Western Art. Harper & Row.

Mulvey, L. (1989). Visual and Other Pleasures. Palgrave Macmillan.

18/07/2025

Figure della sessualità: affetto, erotismo, sensualità, p***ografia, perversione, meccanicità, performance

La sessualità umana si manifesta in forme molteplici, non riconducibili a un’unica matrice biologica o pulsionale. È un fenomeno incarnato e situato, che riflette vissuti soggettivi, modelli relazionali e codici culturali. All’interno di questa complessità, è possibile distinguere diverse configurazioni fondamentali della sessualità: affettiva, erotica, sensuale, p***ografica, perversa, meccanica e performativa. Ciascuna esprime un diverso modo di intendere il corpo, l’altro, il desiderio e la relazione.

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1. La sessualità affettiva: desiderare l’altro come persona

La sessualità affettiva si radica nel legame emotivo e nella reciprocità. L’altro è vissuto non come mezzo per il piacere, ma come fine, come soggetto di valore. La relazione sessuale diventa espressione dell’amore, della cura, della fiducia, e si colloca in una dimensione di riconoscimento e co-esistenza.

Come scrive Martin Buber, «nell’autentico rapporto io-tu, l’altro non è oggetto ma presenza viva» (Il principio dialogico, 1923). L’atto sessuale, in questa cornice, è una forma di comunicazione profonda, un modo di dire “ti vedo, ti accolgo, ti voglio bene anche con il mio corpo”.

Questa modalità non annulla il desiderio, ma lo integra nella relazione, ne fa uno strumento di avvicinamento e non di possesso. Come ricorda Merleau-Ponty, «il corpo non è una cosa, ma un nodo di intenzionalità» (Fenomenologia della percezione, 1945).

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2. La sessualità erotica: il rischio dell’eccesso

La sessualità erotica si struttura attorno alla tensione, al mistero, all’eccesso del desiderio. L’erotismo implica una soglia, una distanza, un “gioco pericoloso” tra l’attrazione e il limite. Come osserva Georges Bataille, «l’erotismo è un’affermazione della vita sino nella zona in cui essa si confonde con la morte» (L’érotisme, 1957).

L’erotico si alimenta del proibito, della trasgressione, della sospensione. Roland Barthes ha colto questa dinamica: «l’erotismo è nell’attesa, nella retorica dell’allusione» (Frammenti di un discorso amoroso, 1977). Non è il n**o a essere erotico, ma ciò che lo precede e lo ritarda: lo sguardo, la voce, il non detto.

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3. La sessualità sensuale: il corpo come esperienza estetica e percettiva

La sensualità è centrata sul piacere dei sensi, sul godimento immediato del contatto corporeo, sul sentire incarnato. Non è idealizzante, né necessariamente affettiva o trasgressiva: è una forma percettiva, fondata sull’intensità della presenza, sulla qualità del tocco, sul ritmo del respiro.

Come osserva Paul Valéry, «quello che c’è di più profondo nell’uomo è la pelle». La sensualità restituisce al corpo il suo carattere fenomenologico, il suo essere soglia di esperienza e non semplice superficie.

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4. La sessualità p***ografica: il corpo come funzione tecnica

La sessualità p***ografica è una forma reificata e decontestualizzata del desiderio. Il corpo è ridotto a macchina erotica, serializzato e visualizzato per il consumo. Come nota Byung-Chul Han, «la p***ografia elimina ogni distanza e mistero, rendendo l’eros impossibile» (La società della trasparenza, 2012).

Žižek osserva che «la p***ografia è il luogo in cui il godimento è ordinato, programmato, prodotto su scala industriale» (Violence, 2008). La p***ografia dissolve la reciprocità e riduce il corpo a performance visiva, anestetizzando la soggettività.

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5. La sessualità perversa: la messa in scena del godimento come scarto

La sessualità perversa non va intesa in senso moralistico, ma strutturale: è la sessualità che, come scrive Lacan, «non mira all'altro come soggetto ma al godimento come oggetto parziale» (Seminario XI, 1964). Il desiderio si organizza intorno a un elemento marginale, feticizzato, che sostituisce la totalità relazionale.

La perversione rappresenta una teatralizzazione del desiderio, spesso caratterizzata dalla compulsività e dalla ripetizione. Essa mira non tanto al piacere dell’altro, quanto alla messa in scena del proprio godimento, che talvolta s’installa come sfida alla norma, al divieto o alla Legge.

Come suggerisce Jean Laplanche, il perverso «non desidera tanto il corpo dell’altro, quanto il proprio scenario fantasmatico incarnato» (La rivoluzione copernicana incompiuta, 2007).

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6. La sessualità meccanica: l’automazione del piacere

La sessualità meccanica è quella in cui il corpo diventa macchina operativa, strumento funzionale alla produzione del godimento. Qui il desiderio è svuotato di contenuto simbolico e relazionale: è sequenza, ripetizione, azione senza intenzione.

Non si tratta solo del p***o industriale, ma anche della sessualità vissuta come compito, come routine automatica, spesso priva di soggettività. L’altro è intercambiabile, il gesto standardizzato, il piacere cronometrato. È una sessualità che imita la vita ma ne perde il senso, come scrive Baudrillard: «la riproduzione tecnica cancella l’evento» (Lo scambio simbolico e la morte, 1976).

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7. La sessualità performativa: l’io erotico come spettacolo

La sessualità performativa si struttura attorno alla rappresentazione: il soggetto agisce come per un pubblico implicito, cercando di rispondere a un immaginario sociale, estetico o identitario. Il piacere è mediato dallo sguardo dell’altro, reale o virtuale.

Qui il corpo non è vissuto, ma mostrato. L’identità sessuale diventa narrazione, esibizione, branding del sé erotico. Come suggerisce Michel Foucault, la sessualità non è solo un fatto naturale ma «un dispositivo storico, produttore di soggettività» (La volontà di sapere, 1976).

La sessualità performativa oscilla tra libertà espressiva e alienazione narcisistica, tra agency e conformismo estetico.

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Conclusione: sette forme, sette mondi del desiderio

Le sette forme della sessualità qui delineate corrispondono a sette modi differenti di abitare il corpo, l’altro e il desiderio:

La sessualità affettiva è dialogica e riconoscente.

La sessualità erotica è simbolica, inquieta, eccedente.

La sessualità sensuale è percettiva, estetica, incarnata.

La sessualità p***ografica è tecnica, serializzata, disincarnata.

La sessualità perversa è deviata, feticizzata, teatralizzata.

La sessualità meccanica è automatica, ripetitiva, svuotata.

La sessualità performativa è spettacolare, estetizzata, mediatizzata.

Queste forme non sono mutuamente esclusive. Spesso coesistono, si contaminano, si confondono. Tuttavia, distinguerle è fondamentale per una fenomenologia situata della sessualità, che restituisca voce all’esperienza vissuta nei suoi chiaroscuri.

In ambito clinico, esse offrono mappe per comprendere non solo i comportamenti sessuali, ma le strutture profonde del Sé, il modo in cui il soggetto si relaziona alla propria carne, all’altro e al mondo.

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Bibliografia essenziale

Barthes, R. (1977). Frammenti di un discorso amoroso. Torino: Einaudi.

Bataille, G. (1957). L’érotisme. Paris: Éditions de Minuit.

Baudrillard, J. (1976). Lo scambio simbolico e la morte. Milano: Feltrinelli.

Buber, M. (1923). Il principio dialogico. Milano: San Paolo.

Foucault, M. (1976). La volontà di sapere. Milano: Feltrinelli.

Han, B.-C. (2012). La società della trasparenza. Venezia: Nottetempo.

Han, B.-C. (2016). La salvezza del bello. Venezia: Nottetempo.

Lacan, J. (1964). Il seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Torino: Einaudi.

Laplanche, J. (2007). La rivoluzione copernicana incompiuta. Roma: Borla.

Lévinas, E. (1961). Totalité et Infini. La Haye: Martinus Nijhoff.

Merleau-Ponty, M. (1945). Fenomenologia della percezione. Milano: Bompiani.

Žižek, S. (2008). Violence. London: Profile Books.

Valéry, P. (cit. in Han, La salvezza del bello).

Indirizzo

Galleria Giovanni Berchet, 4
Padua
35131

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